Si può esprimere ciò che si prova, e condividerlo, sia dandone una semplice descrizione, sia attraverso forme artistiche che portino gli altri ad esperirlo in modo più diretto. Ora, certamente non è detto che si debba esprimere e condividere solo disagio. Tuttavia di condividere i propri disagi, a me sembra che talvolta vi sia maggiore necessità; forse perché le situazioni di disagio richiedono una risposta, e ci sembra bene elaborarne una collettiva.
domenica 24 marzo 2024
martedì 19 marzo 2024
L'autenticità nel mondo
Questo brano, "Giuseppe", è la versione italiana di Bruno Lauzi e dello stesso Moustaki, della canzone originale francese di Georges Moustaki, "Joseph".
Io lo trovo stupendo nella sua potenza espressiva, con cui evoca una toccante immagine di San Giuseppe e della sua "paternità", e al tempo stesso fa emergere un'immagine di Gesù così diversa da quella usata dall'establishment privilegiato per frenare il dissenso sociale.
Segue una mia poesia ispirata da questa canzone, nel retroterra della mia riflessione sulle analisi kierkegaardiane.
L'autenticità nel mondo
Chi è stato Gesù?
È stato uno che ha insegnato
L'autenticità del sentimento religioso,
Illustrando come
Portare sempre debba
All'amore verso il prossimo,
Il nostro amore verso un Dio
Di tutti padre,
Nostro unico creatore.
Praticando la coerenza
Con questi insegnamenti,
Per questo è stato messo a morte
Dai custodi delle istituzioni.
Fedele fino in fondo
Ai propri insegnamenti
Egli ha accettato di morire,
Testimoniando con la morte
La sua fede,
La sua adesione a quanto
Egli predicava.
Maurizio Proietti iopropars
sabato 16 marzo 2024
Verso l'alba di un nuovo giorno
“Sei incancellabile tu” di Charles Bukowski
Charles BukowskiDonne sbagliate È meglio stare soli Che cadere vittima Delle donne sbagliate, Perché quando più non ci sono E di loro avrai solo il ricordo, Sarai ancora più solo Di quanto solo Tu non saresti stato Se mai non le avessi incontrate. Ancora più solo Perché c'è sempre un motivo Per cui ti hanno lasciato, C'è sempre un motivo Per cui se ne sono andate, Lasciandoti quel motivo A lacerarti il cuore, E a renderti impossibile Continuare ad amare, E se poi ti riprendi A caricare Di rimorso e rimpianto Il tuo amore. Ma è stato il mio amore Che mi ha fatto capire Quanto fossero donne sbagliate Coloro che mi hanno devastato, Anche se sempre Per qualcosa che ho fatto, Senza sperare In un mio cambiamento, Ma facendo esse stesse Di peggio, perché non è strano Che le persone malvage Disprezzino l'amore, Ed è stato per questo Che non sono riuscite a capire Che erano amate. Maurizio Proietti iopropars Ci sta di sicuro Non dico che la violenza Sulle donne non ci sia, O che sia giustificata. Dico che il male, Nel genere umano diffuso In differenti forme, Tra uomini e donne È distribuito equamente. Maurizio Proietti iopropars |
domenica 3 marzo 2024
La Marcia dei Figli del Vento
Per chi ha qualche nozione musicale, la composizione può essere definita come un breve poema musicale. È costruita con variazioni tematiche sui modi della scala di Re min. Ho dato la descrizione del poema musicale, nel breve racconto fantastico che segue:
Ho potuto comporre la musica e produrre il video, attraverso un programma di notazione musicale, che permette di scrivere le note sul pentagramma, con le parti dei vari strumenti, e anche di riprodurre la composizione che uno ha trascritto, e poi di esportarla in un video.
A questo punto, esprimere una mia valutazione personale sulla composizione, è qualcosa che voglio fare per capire innanzitutto il senso che ha per me, prima di interrogarmi su cosa vado a proporre agli altri, su che cosa comunico loro.
Io propongo questa Marcia, come una Marcia vittoriosa, e dunque esprimo una speranza di liberazione, e la esprimo secondo una certa modalità. Diciamo che sia nella generica speranza di liberazione, sia nella modalità espressa dalla Marcia, io mi riconosco. Dunque la marcia esprime qualcosa che sento e che può essere condiviso.
Come esprime ciò che sento, sono per questo soddisfatto di questo lavoro. La volontà di condividere un percorso di liberazione, insieme alla speranza di uscirne vittoriosi, è questo ciò che esprimo. Quanto all'impalpabile eppure così concreta e poderosa forza del vento, penso che sia inutile scavare nella sua simbologia.
Maurizio Proietti iopropars
venerdì 23 febbraio 2024
Liberare Assange in difesa della democrazia
Se dico che allo scopo di difendere la democrazia, Julian Assange non deve essere processato, non mi associo soltanto agli appelli generici alla libertà di informazione giornalistica, che da più parti sono stati lanciati. Dico che a dover essere difesa, è la libertà di decidere che i cittadini negli stati democratici devono avere. Perché se i cittadini non sono correttamente informati, il loro consenso alle decisioni politiche è manipolato, e dunque non più libero. È sulla base di questo presupposto che traccio una linea difensiva. Dico che il segreto militare non può coprire gli abusi.
Dal mio passato di militanza politica nella cosiddetta sinistra extraparlamentare negli anni '70 ed '80, mi viene il pensiero che a molti la mia posizione può apparire piuttosto tiepida, il fatto di soffermarmi semplicemente alle limitazioni al segreto militare. Io rispondo, come ero solito rispondere a questa obiezione nel passato, che la mia non è una posizione tiepida, ma una posizione politica.
Questo ho sempre affermato e continuo ad affermare, che in politica si deve usare la regola con cui in matematica si calcola il massimo comune divisore tra due o più numeri, ovvero il numero più grande capace di dividere tutti i numeri considerati. Si prendono i soli fattori comuni, una sola volta, con il minimo esponente. Tra 6 e 12 per arrivare al numero massimo che li divide entrambi, bisogna prendere 2 e non 4, perché 4 dividerebbe solo 12. Il massimo divisore comune è 6. Il problema invece, motivato da impulsi demagogici, è che dappertutto e soprattutto in Italia, si cerca di costruire il consenso su basi emotive. Così poco importa se le motivazioni non sono condivise, perché si cerca di colpevolizzare la parte avversa, o di metterla in ridicolo ecc.
Eccoci allora, che da bravi imbonitori di folle, c'è chi cerca di esaltare la figura di Julian Assange da una parte, chi dall'altra di denigrarla, e anche chi, con tecnica ormai consolidata, in Italia più che mai, proprio non ne parla, che è una tecnica pure questa legata al consenso costruito su base emotiva: non gli si dà importanza. Qualcuno grida "Se si continua in questo modo tra qualche giorno non potremo più respirare", e nessuno risponde nulla. Non importa che sia vero o falso, perché il fatto stesso di ignorarlo lo mostra come irrilevante. Si dice però che qui da noi la stampa è indipendente. Sarà pure così. "Così è se vi pare".
Però a me sembra che un po' tutti siano troppo faziosi. Ad esempio "Il Post", che dovrebbe essere un quotidiano indipendente, ha pubblicato un articolo intitolato "Non abbiamo ancora capito Julian Assange" https://www.ilpost.it/2024/02/21/julian-assange-storia-wikileaks/
A me non importa di capire Assange e se ha pestato o meno i piedi ad Hillary Clinton. A me non interessa collocare politicamente Assange. A me interessa difendere la democrazia, e per questo motivo lo difendo. Per questo motivo è a tutti i democratici che mi rivolgo, con argomentazioni che a tutti i democratici possono interessare.
È proprio perché penso che sia giusto difendere la libertà di Assange, che cerco di portare in sua difesa, argomentazioni che siano il più possibile condivise. Per questo motivo assumo come linea difensiva che il segreto militare non può coprire gli abusi. Può esservi infatti chi pensa che anche difendere il segreto militare sia importante per difendere la libertà di una nazione, e dunque quella dei suoi cittadini. È a costoro che io rispondo che vanno posti limiti anche al segreto militare perché non diventi uno strumento antidemocratico.
Io mi rifiuto di unirmi a coloro che sostengono che chi pensa che sia necessario difendere anche il segreto militare, se si presenta come democratico, non può in buona fede assumere questa posizione. A me non interessa giudicare queste persone. A me non interessano le loro intenzioni, perché la mia è una posizione politica. Pertanto ciò che mi interessa è capire se tale posizione è politicamente legittima, e pertanto muovo le mie obiezioni a questa posizione politica. Non affermo che in generale vada sempre respinta. Dico che nel caso di Julian Assange viene a cadere di fronte ad interessi comuni di ordine superiore.
Le ragioni addotte per processare Julian Assange devono cadere per interessi collettivi, interessi nazionali e internazionali, di ordine superiore.
Maurizio Proietti iopropars
domenica 11 febbraio 2024
Meritocrazia ed etica sociale
L’analisi marxista ha messo in evidenza come l’ideologia sociale sia il risultato dei rapporti di produzione, che secondo il modello marxista costituiscono la struttura fondamentale di ogni qualsiasi società, di cui va a determinare gli altri aspetti della vita che vi si conduce, e dunque della stessa ideologia sociale, che viene ad essere il risultato dei rapporti economici.
A me è sembrato di poter osservare, che dopo il crollo dello Stato Sovietico, sia stata predicata un’ideologia neoliberista tesa a una ristrutturazione dei rapporti di produzione, e che pertanto la formazione dell'ideologia sociale, fermo restando il rapporto funzionale tra le due componenti, ha preceduto la ristrutturazione produttiva.
In realtà, una spinta nel senso che ho detto, già c’era in precedenza in Italia e nelle altre società occidentali, ma il crollo dello Stato Sovietico è stato portato a prova che la mancanza di competitività all’interno del mercato e delle relazioni lavorative, dovesse portare a una drastica riduzione della produttività.
Tra le linee ideologiche che sono state esposte per teorizzare gli aspetti motivazionali su cui organizzare la produzione, a me sembra di poterne individuare una più drastica, che si fonda su una semplicistica concezione della natura umana e sostiene che se non vi è competizione non vi sono stimoli alla vita produttiva, ed un'altra più orientata a stabilire una concezione di giustizia sociale, e che sostiene che quando l’impegno da parte di alcuni a produrre migliori risultati non viene premiato dalla società, una perdita di motivazione al miglioramento viene generata in questi che si impegnano, ovvero nei “meritevoli”.
Nel mio post precedente ho ammesso che in certe situazioni di lavoro che si potrebbero descrivere come modalità comunitarie, anche io ho fatto l'esperienza di trovarmi che fare con persone che si servivano degli altri, che ne sfruttavano il lavoro trascurando di fare la propria parte. Ho detto anche, tuttavia, che la competizione non è il solo aspetto motivazionale per gli esseri umani, e che anzi, gli ingegni migliori sono motivati da altri interessi nel produrre la loro opera, che non siano quello di dimostrare di essere migliori di altri. Poi ho aggiunto che le differenze di reddito, anche all’interno della società italiana, sono così elevate, da fare dubitare che i redditi più alti siano giustificati dal maggiore impegno di coloro che ne beneficiano, o anche solo da un loro maggiore contributo a formare la ricchezza nazionale.
Voglio però sottolineare, che il punto fondamentale della mia critica all’ideologia meritocratica, non riguarda quanto questa sia atta a produrre effettiva giustizia nei rapporti di produzione, quanto il tipo di etica sociale che viene favorita da una produzione organizzata secondo i criteri di tale ideologia. Osservo che produce una spinta a sviluppare le relazioni interpersonali, secondo modalità che sacrificano il pieno sviluppo della persona umana, e indeboliscono anche, invece di rafforzarla, l’efficienza organizzativa, perché gli individui sono meno capaci di cooperare.
Io penso che le scelte etiche degli individui siano in una certa misura indipendenti dalle pressioni sociali, ma che siano anche influenzate da queste. Dico pertanto che ad essere penalizzate nella società italiana, che sempre di più si va strutturando in senso mercantilistico in ogni suo settore, sono proprio le persone più motivate a mettere sullo stesso piano il proprio benessere individuale e quello collettivo. Sono penalizzati coloro che trovano in questa scelta etica la loro motivazione, e solo per questo motivo riescono a resistere a una spinta sociale verso un individualismo cieco ed eccessivo.
Maurizio Proietti iopropars
Riporto di seguito la poesia dal dipinto:
Vuoto d'amore
Stare in compagnia per nascondere
Il disagio di essere soli,
Sento che questo fanno
Coloro che mi circondano,
Soli perché rifiutano d'amare
Ma vogliono nasconderlo.
Maurizio Proietti iopropars
lunedì 29 gennaio 2024
La cultura del confronto non è meritocratica
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"Basta coi muri" dipinto digitale di Maurizio Proietti iopropars |
La mia penosa impressione, ricavata seguendo pubblici dibattiti sui media, ma anche parlando con amici e conoscenti, è che siano troppo poche le persone in Italia, disposte all'ascolto e al confronto, e dunque all'incontro con l'altro. Forse non è un problema che affligge solo il nostro paese, anche se mi sembra che nel nostro, sia più accentuato che in alcuni altri. Come che sia, si tratta comunque di rifondare e difendere la cultura del confronto, se si vuole salvare la civiltà. In questa direzione esorto ad andare, laddove attualmente, io ravviso nel linguaggio come nella vita della gente, delle persone, di noi esseri umani, una perdita di senso.
***
Io questo sostegno, che non vi può essere senso per l'essere umano nell'esercitare dominio, ma solo nel comprendere. Il senso risiede nella realizzazione di sé stessi. Ci faceva appunto sorridere, l'espressione divenuta popolare: "Wilma la clava!" (tratta dal celebre cartone animato "I Flintstones" ).
Per impostare il problema in termini cibernetici, anche se semplici, diciamo che possiamo operare su un sistema, solo se lo conosciamo abbastanza da prevedere le sue reazioni ad una nostra determinata azione. Quello che voglio illustrare è che l'intelletto non domina l'oggetto della sua comprensione, ma entra in relazione conoscitiva con esso, anche se poi deve anche essere possibile un'azione su questo oggetto per poterlo utilizzare per i propri scopi. Però prima di agire, nel conoscerlo, il nostro intelletto assume in sé stesso l'oggetto a cui si rivolge. Io penso che sia questa, la circostanza che ci porta a dire che lo comprende, o analogamente che lo capisce, e cioè lo contiene.
Dobbiamo soffermarci a pensare che l'interesse scientifico ha un senso indipendentemente dai suoi risvolti applicativi. Il pensiero scientifico si è sviluppato prima che se ne intravedessero le possibilità applicative. Il pensiero scientifico è squisitamente umano, utile alla realizzazione di noi stessi al di là dei suoi risvolti applicativi.
Ora però, a quanto detto riguardo alla relazione conoscitiva con gli oggetti inanimati del mondo che ci circonda (con piante ed animali è anche più scontato parlare di “relazione”), aggiungo che con gli esseri umani il discorso si amplifica, perché essi a loro volta sono in grado di entrare in relazione con noi, nel modo stesso in cui noi entriamo in relazione con loro. È da questa reciprocità nella relazione conoscitiva che nasce il confronto. E io sostengo che sia proprio dalla possibilità del confronto che si sviluppa il linguaggio. Vedo dunque la genesi del linguaggio nella condivisione della comprensione, che in tal modo non è più funzionale soltanto alle necessità operative di colui che la sviluppa, ma viene offerta all'altro. In tal modo il linguaggio può essere anche intrapsichico, quando del confronto è ammessa la possibilità.
Mi sembra che non si possa dubitare che il linguaggio sia interazione, dunque azione reciproca, in una certa misura fusione nella comunione di intenti, ovvero collaborazione. In tal modo la collaborazione deve essere caratteristica peculiare della specie umana, più della struttura gerarchia del branco. Allo scopo di evidenziare che questa nuova forma di darwinismo sociale che nella mia opinione è la meritocrazia, non ha una base scientifica, si potrebbe anche aggiungere che forme di collaborazione vi sono anche nel resto del regno animale. Anche lì non vi è solo lotta per il predominio. Come afferma Linneo "Natura non facit saltus”. Ma è la straordinaria complessità e ricchezza che assume il linguaggio nella specie umana, che ce la deve far pensare come una specie straordinariamente collaborativa.
Io dunque sostengo, che l'intelligenza dell'essere umano, non è una caratteristica di individui in competizione con altri individui per stabilire chi di loro debba comandare sull'altro. Sostegno invece che nasce e si sviluppa in una modalità sociale di cooperazione. Pertanto ciò che sostengo, è che l'amore fonda l'intelletto. E in questo mi riconosco pienamente cristiano.
***
Tornando alla perdita di senso, il linguaggio perde senso quando non si riesce a comunicare, come succede quando invece di trovare arricchimento nel confronto con opinioni diverse dalle nostre, si entra in competizione per dimostrare che siamo più bravi del nostro interlocutore.
Eppure più ancora, è la nostra vita a perdere senso quando è priva di amore.
Questo lo dico, per dare idea di quanto sia falsa per me l'affermazione che con la competizione si valorizzano le eccellenze.
La mia esperienza è che sempre i mediocri si coalizzano per affossare le persone più intelligenti, che per la natura stessa dell'intelligenza sono meno competitive. Queste vengono ad essere anche demotivate in questa organizzazione sociale che fa della competizione la sua virtù forsennata, appunto perché essendo intelligenti hanno interessi più sensati che non sia quello di far vedere che sono più bravi di altri. A me sembra che nella nostra società, che pretende di proporsi come inclusiva ma è dominata da questa cultura del degrado morale e civile, a venire esclusi ed emarginati siano proprio le persone più intelligenti.
***
Che si voglia premiare l'impegno è un conto, ma che a quello che era il Ministero della Pubblica Istruzione, si sia dato il nome di Ministero dell'istruzione e del Merito, mi sembra che riveli una tendenza a dare un'impronta ideologica all'istruzione.
La mia esperienza è che molte volte il merito corrisponde all'andare in simpatia a coloro che sono preposti alla valutazione. È un problema questo che io non penso che possa essere risolto con i test di valutazione, che a me non sembra che siano in grado di valutare la profondità di pensiero e la reale assimilazione degli argomenti trattati.
Premiare l'impegno, ma magari anche evitare che qualche giudizio ingiusto possa marchiare a vita degli ingegni brillanti, privandoli per sempre di ogni possibilità di ascolto. Penso poi, che non sia solo mia esperienza, che un ambiente scolastico ostile possa influire sul rendimento. Per questo motivo mi sembra che si debba anche stare attenti ad evitare, per esempio, che una vittima di bullismo, portato avanti con la complicità anche inconsapevole degli insegnanti, debba subire in aggiunta della persecuzione che ha dovuto subire, una condanna a vita alla disistima generale, privando poi la collettività del contributo che questi potrebbe dare al benessere collettivo.
L'impegno individuale non può essere considerato come avulso dalla relazione che l'individuo ha con il contesto.
Magari qualcuno potrà sentirsi confortato dal pensiero che se il talento riguarda l'imprenditoria e il commercio, le cose cambiano. Ma anche qui, in fin dei conti, avere importanti appoggi, può aiutare un pochino.
Se sento parlare di riconoscimento dei meriti, la mia prima reazione è di pensare che si farebbe meglio, prima, ad abbattere il clientelismo, e la mentalità clientelare che affligge il popolo italiano come altri popoli.
***
Intendiamoci, io ho sperimentato forme di lavoro di tipo, per così dire, comunitario, e ho potuto vedere come anche lì vi erano persone che sfruttavano il lavoro degli altri, perché non facevano la loro parte nella ripartizione dei compiti. Possiamo chiamarli scansafatiche. Io non credo che esistano forme di organizzazione del lavoro che generino automaticamente esseri umani altruisti. Io credo che qualunque sia la forma di organizzazione del lavoro che una nazione voglia darsi, vi saranno sempre persone più altruiste e persone meno altruiste, come persone per niente affatto altruiste. Di questa circostanza si deve certamente tenere conto nello stabilire le caratteristiche da dare all'organizzazione del lavoro. Però non si può fare della competizione il parametro assoluto dell'efficienza organizzativa, perché anche differenze abnormi nella distribuzione delle ricchezze sono disfunzionali, oltre che ingiuste.
Tra acqua fredda gelata e acqua calda bollente che possono uscire da un rubinetto, vi deve essere una miscelazione adeguata che sia gradevole per il nostro corpo. Le forme di organizzazione più idonee alle circostanze, io dico, possono essere trovate, purché vi sia una forma di reale democrazia, e cioè le decisioni vengano prese attraverso la partecipazione e il confronto.
***
Veniamo a parlare allora della cosiddetta meritocrazia. Rilevo che mentre le conoscenze, le capacità, e le competenze, sono condizioni verificabili, il merito è una valutazione soggettiva. Ciò che è giudicato meritevole da alcuni, può essere invece una cosa da biasimare nel giudizio di altri. Penso che sia circostanza fin troppo nota, che il valore sociale dell'opera di molti artisti, scrittori e scienziati, sia stato riconosciuto solo dopo la loro morte.
Ecco, io penso che per arginare il fenomeno di importanti contributi alla collettività, che da questa non vengono riconosciuti, occorre che essa sia più capace di ascoltare ed accogliere l'altro, invece di essere composta da individui in perenne competizione tra loro, che perfino si oppongono al contributo che persone anche di genio potrebbero dare alla collettività, perchè smaniano di primeggiare. Una collettività più capace di accogliere e ascoltare sarebbe, a mio avviso, anche una collettività più efficiente, oltre che più umana, perché capace di valorizzare le proprie risorse, tutte le proprie risorse, e non solo le (supposte) "eccellenze".
In tal modo, tornando alla meritocrazia, posso dire che nella mia percezione, già di per sé "meritocrazia" è un termine che mette in luce il pesante fraintendimento valoriale che si vuole dare alle capacità. È come se si sottintendesse che, essendo le capacità associate al merito, giustificano i privilegi. Innanzitutto allora bisogna chiarire che l'autorità assegnata a certe figure professionali, non deve essere assegnata come privilegio, ma deve esserlo per permettere al professionista di svolgere la sua mansione. In tal modo non viene ad essere associata al merito ma alla funzione, e non deve superare i limiti della funzione che la giustifica.
Chiarito quanto sopra, al merito - e non alla meritocrazia - può essere associato un altro significato. Ovvero, quando diciamo che è giusto riconoscere i meriti di ciascuno, intendiamo dire che i contributi che ciascun individuo dà alla collettività, devono essere da questa riconosciuti e in qualche misura ricompensati. Però, se "a metà del 2019 la quota di ricchezza in possesso dell' 1% più ricco superava la quota di ricchezza complessiva detenuta dal 70% degli italiani più poveri dal punto di vista patrimoniale" [ da "La Repubblica" https://bit.ly/3Hz9YDI ] c'è da chiedersi che farà mai per la collettività questo 1% della popolazione italiana. È più ovvio dedurre che non si tratta di merito, ma che la retribuzione da garantire per investimenti di capitale è ipervalutata rispetto al reddito da lavoro.
Il punto è che se - come io penso - l'organizzazione della produzione non determina univocamente l'etica degli individui che vivono nella società - come sostiene invece la teoria marxista - una pressione anche forte la esercita. La mia impressione è che se lo slogan olimpico recita: "Tu sei il mio avversario, non il mio nemico", questo viene considerato nel nostro contesto sociale, piuttosto un atteggiamento di cui farsi fregio, perché è chiaro a tutti che bisogna farsi strada con il pugnale e con il veleno. Machiavelli insegna. E perché la minoranza più ricca diventi sempre più ricca e acquisti sempre maggiore potere. Dico questo per enfatizzare quanto nella mia percezione sia forte, la pressione esercitata dal presente sistema sociale, verso l’individualismo più sfrenato, fino a far perdere il sentimento di vivere in una comunità umana. La mia percezione è che ciascuno impari a vedere in chiunque altro un possibile nemico, che potrebbe impedire che vengano a lui riconosciuti i propri meriti.
Il problema più grave, a mio avviso, è che si parla di "valorizzare le eccellenze". Allora io dico che se non è di capacità e competenze e conoscenze, che si parla, ma di genio, per la natura stessa del genio, che si trova in una condizione che sta molto al di là di quella dei suoi contemporanei, la sua valutazione è fuori dalle possibilità della collettività a cui appartiene. Mi sembra che la maniera migliore di accoglierlo, di non isolarlo, è di fondare una comunità che sia disposta ad accogliere tutti, e dunque pronta all'ascolto di tutti. Perché poi, aggiungo, anche il più misero, il meno avveduto, può avere in qualche occasione qualcosa di importante da dare, e che può a tutti gli altri sfuggire.
E allora ecco che dico che la giustizia e la misericordia sono sorelle, e che è civile una comunità che è portata avanti con il contributo di tutti.
Valorizziamo la persona umana.
Maurizio Proietti iopropars
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