martedì 19 marzo 2024

L'autenticità nel mondo



La forza esplicativa della poesia

Questo brano, "Giuseppe", è la versione italiana di Bruno Lauzi e dello stesso Moustaki, della canzone originale francese di Georges Moustaki, "Joseph". 

Io lo trovo stupendo nella sua potenza espressiva, con cui evoca una toccante immagine di San Giuseppe e della sua "paternità", e al tempo stesso fa emergere un'immagine di Gesù così diversa da quella usata dall'establishment privilegiato per frenare il dissenso sociale.

Segue una mia poesia ispirata da questa canzone, nel retroterra della mia riflessione sulle analisi kierkegaardiane.


L'autenticità nel mondo

Chi è stato Gesù?

È stato uno che ha insegnato

L'autenticità del sentimento religioso,

Illustrando come

Portare sempre debba

All'amore verso il prossimo,

Il nostro amore verso un Dio

Di tutti padre,

Nostro unico creatore.

Praticando la coerenza

Con questi insegnamenti,

Per questo è stato messo a morte

Dai custodi delle istituzioni.

Fedele fino in fondo

Ai propri insegnamenti

Egli ha accettato di morire,

Testimoniando con la morte

La sua fede,

La sua adesione a quanto

Egli predicava.


Maurizio Proietti iopropars



 

sabato 16 marzo 2024

Verso l'alba di un nuovo giorno

Verso l'alba di un nuovo giorno
dipinto digitale
di Maurizio Proietti iopropars



Verso l'alba di un nuovo giorno
(rivolgendomi a Charles Bukowski)

Riporto prima una composizione di Charles Bukowski, dal titolo "Sei incancellabile tu", e poi due mie poesie che questa composizione mi ha ispirato.

“Sei incancellabile tu” di Charles Bukowski

“Succede che una mattina ti svegli e vedi che fuori non piove più e allora ti chiedi – beh? Che è successo?

Ecco, quella mattina successe a me che da tanto tempo non amavo, ma non per chissà quale motivo, non amavo e manco io sapevo il motivo preciso, ma forse sì che lo sapevo: che senso poteva avere per me l’amare se non amare che te?

Quella mattina io avevo una gran voglia di dirti – ti amo -, almeno credo.

Quanto mi manchi amore mio. Certo, io lo sapevo già dentro di me di questa cosa che mi manchi ma l’ho capita bene solo quando fuori ha smesso di piovere e a me mi giocava il cuore.

È che prima avevo la scusa per non vedere il sole, pioveva, mica era colpa mia, ma le nuvole ora sono andate via portandosi dietro tutte le scuse. Ok, tu non ci sei, ok, ma va bene, va bene anche se va male, va bene perché io ti amo lo stesso.

C’è come un diario che ho chiuso nel petto, sento che devo tirarlo fuori e devo farlo senza schemi se non gli schemi che mi porto nel cuore.

Ah! Mannaggia mannaggia, mannaggia al cuore che non sa far calcoli ma che pure spesso sbaglia i conti.

Ma io non ero riuscito a dirti quel ti amo.

Era una primavera quando andasti via, lo ricordi? Io cercavo di farmi forza, la vita andava avanti sentivo dirmi da tutti.

Quando te ne sei andata io mi sono un po’ rincoglionito.

Mi persi, diciamoci la verità, perdendoti io mi persi. E tu? Ah! No scusa, non volevo chiederti se anche tu ci sei rimasta male, era un e tu come stai? Roba del genere insomma, un e tu cosa fai ora? Che stai facendo adesso, adesso è in questo momento, che stai facendo in questo momento? Non mi interessa cosa stai facendo nella vita, io non ci sono più nella tua vita, cosa vuoi che mi importi?

Sicuramente starai facendo tante cose belle, bellissime, ma a me importa adesso, adesso adesso mi importa, adesso in questo momento. Io adesso ti sto pensando facendomi del male. Io vorrei non pensarti ed averti invece qui, qui vicino a me.

Ma non ci sei. Non voglio pensarti ma non lasciarmi solo, non andare via anche dai miei sogni.

Tu dolce ferita mi tagli il cuore, ma io sorrido sai? Non mi fa male questo maledetto male. Sorrido perché dentro ci sei te e ti vedo, almeno posso vederti. Ti vedo pure che dai un bacio a quello lì e questo un pò a dirti il vero mi fa incazzare.

Ma tu non lasciarmi lo stesso, tienimi con te pure se sono incazzato.

Tienimi con te. Non mi fa male la ferita al cuore, no, non mi fa male, sei tu che non ci sei, non andare via oltre.

A volte mi sento tanto forte da poterti dire che non esisti senza di me.

Ma non è vero sai? È che ci provo ad andare avanti, bisogna comunque provarci o almeno provo a convincermi che bisogna provarci.

Fossi riuscito a dirti ti amo oggi me ne fotterei della pioggia che smette o che non smette, facesse cosa cavolo vuole la pioggia, fossi riuscito a dirti ti amo io ora non sarei qui a pensare a dimenticarti senza cancellarti.

Sei incancellabile tu.

Sei come quelle macchie di inchiostro sul taschino della camicia, solo che sulla camicia ci puoi mettere una giacca, un maglioncino, ma su di te cosa ci posso mettere? ”.

Charles Bukowski


Donne sbagliate

È meglio stare soli
Che cadere vittima
Delle donne sbagliate,
Perché quando più non ci sono
E di loro avrai solo il ricordo,
Sarai ancora più solo
Di quanto solo
Tu non saresti stato 
Se mai non le avessi incontrate.
Ancora più solo
Perché c'è sempre un motivo
Per cui ti hanno lasciato,
C'è sempre un motivo
Per cui se ne sono andate,
Lasciandoti quel motivo
A lacerarti il cuore,
E a renderti impossibile
Continuare ad amare,
E se poi ti riprendi 
A caricare 
Di rimorso e rimpianto 
Il tuo amore.
Ma è stato il mio amore
Che mi ha fatto capire
Quanto fossero donne sbagliate
Coloro che mi hanno devastato,
Anche se sempre
Per qualcosa che ho fatto,
Senza sperare
In un mio cambiamento,
Ma facendo esse stesse
Di peggio, perché non è strano
Che le persone malvage 
Disprezzino l'amore,
Ed è stato per questo
Che non sono riuscite a capire
Che erano amate.

Maurizio Proietti iopropars


Ci sta di sicuro

Non dico che la violenza
Sulle donne non ci sia,
O che sia giustificata.
Dico che il male,
Nel genere umano diffuso
In differenti forme,
Tra uomini e donne
È distribuito equamente.

Maurizio Proietti iopropars


 

domenica 3 marzo 2024

La Marcia dei Figli del Vento


 Vortex
dipinto digitale di 
Maurizio Proietti iopropars


Presentazione 


Il brano musicale che vi propongo nel video, è una mia breve composizione. Come compositore, io sono alle mie prime esperienze, ma come che studio il flauto traverso, sento l'esigenza di esprimermi anche con la musica, che forse in qualche modo costituisce l'essenza di ogni altra espressione artistica, ovvero quanto più si avvicina alla nostra percezione emotiva.

Per chi ha qualche nozione musicale, la composizione può essere definita come un breve poema musicale. È costruita con variazioni tematiche sui modi della scala di Re min. Ho dato la descrizione del poema musicale, nel breve racconto fantastico che segue:



La marcia dei figli del vento

Il vento è libero, e per quanto possa essere a volte poderoso, rimane impalpabile, e questa è la sua forza, che gli permette di passare in ogni spiraglio, e avere un varco in semplici fessure, e può essere anche a volte lieve e accarezzare, avvolge gli ostacoli che incontra, pur continuando a spingerli, ma pure il vento, forza della natura, per quanto sia una forza libera, come la natura non è ostile. Tali sono i suoi figli. E questa è la loro vittoriosa marcia, quando dalle superfici marine dove riposavano, si alzarono e marciarono, per liberare il mondo.

Maurizio Proietti iopropars

Genesi della composizione
e la mia valutazione personale
su di essa 

Ho potuto comporre la musica e produrre il video, attraverso un programma di notazione musicale, che permette di scrivere le note sul pentagramma, con le parti dei vari strumenti, e anche di riprodurre la composizione che uno ha trascritto, e poi di esportarla in un video.

A questo punto, esprimere una mia valutazione personale sulla composizione, è qualcosa che voglio fare per capire innanzitutto il senso che ha per me, prima di interrogarmi su cosa vado a proporre agli altri, su che cosa comunico loro.

Io propongo questa Marcia, come una Marcia vittoriosa, e dunque esprimo una speranza di liberazione, e la esprimo secondo una certa modalità. Diciamo che sia nella generica speranza di liberazione, sia nella modalità espressa dalla Marcia, io mi riconosco. Dunque la marcia esprime qualcosa che sento e che può essere condiviso. 

Come esprime ciò che sento, sono per questo soddisfatto di questo lavoro. La volontà di condividere un percorso di liberazione, insieme alla speranza di uscirne vittoriosi, è questo ciò che esprimo. Quanto all'impalpabile eppure così concreta e poderosa forza del vento, penso che sia inutile scavare nella sua simbologia.

Maurizio Proietti iopropars 

venerdì 23 febbraio 2024

Liberare Assange in difesa della democrazia





 


Liberare Assange
in difesa della democrazia

Se dico che allo scopo di difendere la democrazia, Julian Assange non deve essere processato, non mi associo soltanto agli appelli generici alla libertà di informazione giornalistica, che da più parti sono stati lanciati. Dico che a dover essere difesa, è la libertà di decidere che i cittadini negli stati democratici devono avere. Perché se i cittadini non sono correttamente informati, il loro consenso alle decisioni politiche è manipolato, e dunque non più libero. È sulla base di questo presupposto che traccio una linea difensiva. Dico che il segreto militare non può coprire gli abusi.

Dal mio passato di militanza politica nella cosiddetta sinistra extraparlamentare negli anni '70 ed '80, mi viene il pensiero che a molti la mia posizione può apparire piuttosto tiepida, il fatto di soffermarmi semplicemente alle limitazioni al segreto militare. Io rispondo, come ero solito rispondere a questa obiezione nel passato, che la mia non è una posizione tiepida, ma una posizione politica. 

Questo ho sempre affermato e continuo ad affermare, che in politica si deve usare la regola con cui in matematica si calcola il massimo comune divisore tra due o più numeri, ovvero il numero più grande capace di dividere tutti i numeri considerati. Si prendono i soli fattori comuni, una sola volta, con il minimo esponente. Tra 6 e 12 per arrivare al numero massimo che li divide entrambi, bisogna prendere 2 e non 4, perché 4 dividerebbe solo 12. Il massimo divisore comune è 6. Il problema invece, motivato da impulsi demagogici, è che dappertutto e soprattutto in Italia, si cerca di costruire il consenso su basi emotive. Così poco importa se le motivazioni non sono condivise, perché si cerca di colpevolizzare la parte avversa, o di metterla in ridicolo ecc.

Eccoci allora, che da bravi imbonitori di folle, c'è chi cerca di esaltare la figura di Julian Assange da una parte, chi dall'altra di denigrarla, e anche chi, con tecnica ormai consolidata, in Italia più che mai, proprio non ne parla, che è una tecnica pure questa legata al consenso costruito su base emotiva: non gli si dà importanza. Qualcuno grida "Se si continua in questo modo tra qualche giorno non potremo più respirare", e nessuno risponde nulla. Non importa che sia vero o falso, perché il fatto stesso di ignorarlo lo mostra come irrilevante. Si dice però che qui da noi la stampa è indipendente. Sarà pure così. "Così è se vi pare". 

Però a me sembra che un po' tutti siano troppo faziosi. Ad esempio "Il Post", che dovrebbe essere un quotidiano indipendente, ha pubblicato un articolo intitolato "Non abbiamo ancora capito Julian Assange" https://www.ilpost.it/2024/02/21/julian-assange-storia-wikileaks/

A me non importa di capire Assange e se ha pestato o meno i piedi ad Hillary Clinton. A me non interessa collocare politicamente Assange. A me interessa difendere la democrazia, e per questo motivo lo difendo. Per questo motivo è a tutti i democratici che mi rivolgo, con argomentazioni che a tutti i democratici possono interessare.

 È proprio perché penso che sia giusto difendere la libertà di Assange, che cerco di portare in sua difesa, argomentazioni che siano il più possibile condivise. Per questo motivo assumo come linea difensiva che il segreto militare non può coprire gli abusi. Può esservi infatti chi pensa che anche difendere il segreto militare sia importante per difendere la libertà di una nazione, e dunque quella dei suoi cittadini. È a costoro che io rispondo che vanno posti limiti anche al segreto militare perché non diventi uno strumento antidemocratico.

Io mi rifiuto di unirmi a coloro che sostengono che chi pensa che sia necessario difendere anche il segreto militare, se si presenta come democratico, non può in buona fede assumere questa posizione. A me non interessa giudicare queste persone. A me non interessano le loro intenzioni, perché la mia è una posizione politica. Pertanto ciò che mi interessa è capire se tale posizione è politicamente legittima, e pertanto muovo le mie obiezioni a questa posizione politica. Non affermo che in generale vada sempre respinta. Dico che nel caso di Julian Assange viene a cadere di fronte ad interessi comuni di ordine superiore.

Le ragioni addotte per processare Julian Assange devono cadere per interessi collettivi, interessi nazionali e internazionali, di ordine superiore.

Maurizio Proietti iopropars




domenica 11 febbraio 2024

Meritocrazia ed etica sociale


"Vuoto d'amore"
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars



Con l'articolo che segue torno sul concetto di meritocrazia, di cui ho già parlato nel post precedente, allo scopo di chiarire il mio approccio a un argomento che mi sembra davvero importante. Questo approccio si differenzia da altri, perché prende in esame non solo quanto sia un giusto criterio, quello della meritocrazia, nell'organizzazione del lavoro e in generale dell'organizzazione sociale, ma prende in esame anche il modo in cui orienta i valori, e dunque il carattere e le relazioni, degli individui che vivono nella società.




Meritocrazia ed etica sociale


L’analisi marxista ha messo in evidenza come l’ideologia sociale sia il risultato dei rapporti di produzione, che secondo il modello marxista costituiscono la struttura fondamentale di ogni qualsiasi società, di cui va a determinare gli altri aspetti della vita che vi si conduce, e dunque della stessa ideologia sociale, che viene ad essere il risultato dei rapporti economici.


A me è sembrato di poter osservare, che dopo il crollo dello Stato Sovietico, sia stata predicata un’ideologia neoliberista tesa a una ristrutturazione dei rapporti di produzione, e che pertanto la formazione dell'ideologia sociale, fermo restando il rapporto funzionale tra le due componenti, ha preceduto la ristrutturazione produttiva.

In realtà, una spinta nel senso che ho detto, già c’era in precedenza in Italia e nelle altre società occidentali, ma il crollo dello Stato Sovietico è stato portato a prova che la mancanza di competitività all’interno del mercato e delle relazioni lavorative, dovesse portare a una drastica riduzione della produttività.


Tra le linee ideologiche che sono state esposte per teorizzare gli aspetti motivazionali su cui organizzare la produzione, a me sembra di poterne individuare una più drastica, che si fonda su una semplicistica concezione della natura umana e sostiene che se non vi è competizione non vi sono stimoli alla vita produttiva, ed un'altra più orientata a stabilire una concezione di giustizia sociale, e che sostiene che quando l’impegno da parte di alcuni a produrre migliori risultati non viene premiato dalla società, una perdita di motivazione al miglioramento viene generata in questi che si impegnano, ovvero nei “meritevoli”.


Nel mio post precedente ho ammesso che in certe situazioni di lavoro che si potrebbero descrivere come modalità comunitarie, anche io ho fatto l'esperienza di trovarmi che fare con persone che si servivano degli altri, che ne sfruttavano il lavoro trascurando di fare la propria parte. Ho detto anche, tuttavia, che la competizione non è il solo aspetto motivazionale per gli esseri umani, e che anzi, gli ingegni migliori sono motivati da altri interessi nel produrre la loro opera, che non siano quello di dimostrare di essere migliori di altri. Poi ho aggiunto che le differenze di reddito, anche all’interno della società italiana, sono così elevate, da fare dubitare che i redditi più alti siano giustificati dal maggiore impegno di coloro che ne beneficiano, o anche solo da un loro maggiore contributo a formare la ricchezza nazionale.


Voglio però sottolineare, che il punto fondamentale della mia critica all’ideologia meritocratica, non riguarda quanto questa sia atta a produrre effettiva giustizia nei rapporti di produzione, quanto il tipo di etica sociale che viene favorita da una produzione organizzata secondo i criteri di tale ideologia. Osservo che produce una spinta a sviluppare le relazioni interpersonali, secondo modalità che sacrificano il pieno sviluppo della persona umana, e indeboliscono anche, invece di rafforzarla, l’efficienza organizzativa, perché gli individui sono meno capaci di cooperare.


Io penso che le scelte etiche degli individui siano in una certa misura indipendenti dalle pressioni sociali, ma che siano anche influenzate da queste. Dico pertanto che ad essere penalizzate nella società italiana, che sempre di più si va strutturando in senso mercantilistico in ogni suo settore, sono proprio le persone più motivate a mettere sullo stesso piano il proprio benessere individuale e quello collettivo. Sono penalizzati coloro che trovano in questa scelta etica la loro motivazione, e solo per questo motivo riescono a resistere a una spinta sociale verso un individualismo cieco ed eccessivo.


Maurizio Proietti iopropars



Riporto di seguito la poesia dal dipinto:


Vuoto d'amore


Stare in compagnia per nascondere

Il disagio di essere soli,

Sento che questo fanno

Coloro che mi circondano,

Soli perché rifiutano d'amare

Ma vogliono nasconderlo.


Maurizio Proietti iopropars


 

lunedì 29 gennaio 2024

La cultura del confronto non è meritocratica

"Basta coi muri"
dipinto digitale di 
Maurizio Proietti iopropars




La cultura del confronto
(contro la frode meritocratica) 


La mia penosa impressione, ricavata seguendo pubblici dibattiti sui media, ma anche parlando con amici e conoscenti, è che siano troppo poche le persone in Italia, disposte all'ascolto e al confronto, e dunque all'incontro con l'altro. Forse non è un problema che affligge solo il nostro paese, anche se mi sembra che nel nostro, sia più accentuato che in alcuni altri. Come che sia, si tratta comunque di rifondare e difendere la cultura del confronto, se si vuole salvare la civiltà. In questa direzione esorto ad andare, laddove attualmente, io ravviso nel linguaggio come nella vita della gente, delle persone, di noi esseri umani, una perdita di senso.

***

Io questo sostegno, che non vi può essere senso per l'essere umano nell'esercitare dominio, ma solo nel comprendere. Il senso risiede nella realizzazione di sé stessi. Ci faceva appunto sorridere, l'espressione divenuta popolare: "Wilma la clava!" (tratta dal celebre cartone animato "I Flintstones" ).

Per impostare il problema in termini cibernetici, anche se semplici, diciamo che possiamo operare su un sistema, solo se lo conosciamo abbastanza da prevedere le sue reazioni ad una nostra determinata azione. Quello che voglio illustrare è che l'intelletto non domina l'oggetto della sua comprensione, ma entra in relazione conoscitiva con esso, anche se poi deve anche essere possibile un'azione su questo oggetto per poterlo utilizzare per i propri scopi. Però prima di agire, nel conoscerlo, il nostro intelletto assume in sé stesso l'oggetto a cui si rivolge. Io penso che sia questa, la circostanza che ci porta a dire che lo comprende, o analogamente che lo capisce, e cioè lo contiene.

Dobbiamo soffermarci a pensare che l'interesse scientifico ha un senso indipendentemente dai suoi risvolti applicativi. Il pensiero scientifico si è sviluppato prima che se ne intravedessero le possibilità applicative. Il pensiero scientifico è squisitamente umano, utile alla realizzazione di noi stessi al di là dei suoi risvolti applicativi.

Ora però, a quanto detto riguardo alla relazione conoscitiva con gli oggetti inanimati del mondo che ci circonda (con piante ed animali è anche più scontato parlare di “relazione”), aggiungo che con gli esseri umani il discorso si amplifica, perché essi a loro volta sono in grado di entrare in relazione con noi, nel modo stesso in cui noi entriamo in relazione con loro. È da questa reciprocità nella relazione conoscitiva che nasce il confronto. E io sostengo che sia proprio dalla possibilità del confronto che si sviluppa il linguaggio. Vedo dunque la genesi del linguaggio nella condivisione della comprensione, che in tal modo non è più funzionale soltanto alle necessità operative di colui che la sviluppa, ma viene offerta all'altro. In tal modo il linguaggio può essere anche intrapsichico, quando del confronto è ammessa la possibilità. 

Mi sembra che non si possa dubitare che il linguaggio sia interazione, dunque azione reciproca, in una certa misura fusione nella comunione di intenti, ovvero collaborazione. In tal modo la collaborazione deve essere caratteristica peculiare della specie umana, più della struttura gerarchia del branco. Allo scopo di evidenziare che questa nuova forma di darwinismo sociale che nella mia opinione è la meritocrazia, non ha una base scientifica, si potrebbe anche aggiungere che forme di collaborazione vi sono anche nel resto del regno animale. Anche lì non vi è solo lotta per il predominio. Come afferma Linneo "Natura non facit saltus”. Ma è la straordinaria complessità e ricchezza che assume il linguaggio nella specie umana, che ce la deve far pensare come una specie straordinariamente collaborativa.


Io dunque sostengo, che l'intelligenza dell'essere umano, non è una caratteristica di individui in competizione con altri individui per stabilire chi di loro debba comandare sull'altro. Sostegno invece che nasce e si sviluppa in una modalità sociale di cooperazione. Pertanto ciò che sostengo, è che l'amore fonda l'intelletto. E in questo mi riconosco pienamente cristiano.

***

Tornando alla perdita di senso, il linguaggio perde senso quando non si riesce a comunicare, come succede quando invece di trovare arricchimento nel confronto con opinioni diverse dalle nostre, si entra in competizione per dimostrare che siamo più bravi del nostro interlocutore.

Eppure più ancora, è la nostra vita a perdere senso quando è priva di amore.

Questo lo dico, per dare idea di quanto sia falsa per me l'affermazione che con la  competizione si valorizzano le eccellenze.

La mia esperienza è che sempre i mediocri si coalizzano per affossare le persone più intelligenti, che per la natura stessa dell'intelligenza sono meno competitive. Queste vengono ad essere anche demotivate in questa organizzazione sociale che fa della competizione la sua virtù forsennata, appunto perché essendo intelligenti hanno interessi più sensati che non sia  quello di far vedere che sono più bravi di altri. A me sembra che nella nostra società, che pretende di proporsi come inclusiva ma è dominata da questa cultura del degrado morale e civile, a venire esclusi ed emarginati siano proprio le persone più intelligenti.

***

Che si voglia premiare l'impegno è un conto, ma che a quello che era il Ministero della Pubblica Istruzione, si sia dato il nome di Ministero dell'istruzione e del Merito, mi sembra che riveli una tendenza a dare un'impronta ideologica all'istruzione.

La mia esperienza è che molte volte il merito corrisponde all'andare in simpatia a coloro che sono preposti alla valutazione. È un problema questo che io non penso che possa essere risolto con i test di valutazione, che a me non sembra che siano in grado di valutare la profondità di pensiero e la reale assimilazione degli argomenti trattati.

Premiare l'impegno, ma magari anche evitare che qualche giudizio ingiusto possa marchiare a vita degli ingegni brillanti, privandoli per sempre di ogni possibilità di ascolto. Penso poi, che non sia solo mia esperienza, che un ambiente scolastico ostile possa influire sul rendimento. Per questo motivo mi sembra che si debba anche stare attenti ad evitare, per esempio, che una vittima di bullismo, portato avanti con la complicità anche inconsapevole degli insegnanti, debba subire in aggiunta della persecuzione che ha dovuto subire, una condanna a vita alla disistima generale, privando poi la collettività del contributo che questi potrebbe dare al benessere collettivo.

L'impegno individuale non può essere considerato come avulso dalla relazione che l'individuo ha con il contesto.

Magari qualcuno potrà sentirsi confortato dal pensiero che se il talento riguarda l'imprenditoria e il commercio, le cose cambiano. Ma anche qui, in fin dei conti, avere importanti appoggi, può aiutare un pochino. 

Se sento parlare di riconoscimento dei meriti, la mia prima reazione è di pensare che si farebbe meglio, prima, ad abbattere il clientelismo, e la mentalità clientelare che affligge il popolo italiano come altri popoli.

 ***

Intendiamoci, io ho sperimentato forme di lavoro di tipo, per così dire, comunitario, e ho potuto vedere come anche lì vi erano persone che sfruttavano il lavoro degli altri, perché non facevano la loro parte nella ripartizione dei compiti. Possiamo chiamarli scansafatiche. Io non credo che esistano forme di organizzazione del lavoro che generino automaticamente esseri umani altruisti. Io credo che qualunque sia la forma di organizzazione del lavoro che una nazione voglia darsi, vi saranno sempre persone più altruiste e persone meno altruiste, come persone per niente affatto altruiste. Di questa circostanza si deve certamente tenere conto nello stabilire le caratteristiche da dare all'organizzazione del lavoro. Però non si può fare della competizione il parametro assoluto dell'efficienza organizzativa, perché anche differenze abnormi nella distribuzione delle ricchezze sono disfunzionali, oltre che ingiuste.

Tra acqua fredda gelata e acqua calda bollente che possono uscire da un rubinetto, vi deve essere una miscelazione adeguata che sia gradevole per il nostro corpo. Le forme di organizzazione più idonee alle circostanze, io dico, possono essere trovate, purché vi sia una forma di reale democrazia, e cioè le decisioni vengano prese attraverso la partecipazione e il confronto.

***

Veniamo a parlare allora della cosiddetta meritocrazia. Rilevo che mentre le conoscenze, le capacità, e le competenze, sono condizioni verificabili, il merito è una valutazione soggettiva. Ciò che è giudicato meritevole da alcuni, può essere invece una cosa da biasimare nel giudizio di altri. Penso che sia circostanza fin troppo nota, che il valore sociale dell'opera di molti artisti, scrittori e scienziati, sia stato riconosciuto solo dopo la loro morte. 

Ecco, io penso che per arginare il fenomeno di importanti contributi alla collettività, che da questa non vengono riconosciuti, occorre che essa sia più capace di ascoltare ed accogliere l'altro, invece di essere composta da individui in perenne competizione tra loro, che perfino si oppongono al contributo che persone anche di genio potrebbero dare alla collettività, perchè smaniano di primeggiare. Una collettività più capace di accogliere e ascoltare sarebbe, a mio avviso, anche una collettività più efficiente, oltre che più umana, perché capace di valorizzare le proprie risorse, tutte le proprie risorse, e non solo le (supposte) "eccellenze". 

In tal modo, tornando alla meritocrazia, posso dire che nella mia percezione, già di per sé "meritocrazia" è un termine che mette in luce il pesante fraintendimento valoriale che si vuole dare alle capacità. È come se si sottintendesse che, essendo le capacità associate al merito, giustificano i privilegi. Innanzitutto allora bisogna chiarire che l'autorità assegnata a certe figure professionali, non deve essere assegnata come privilegio, ma deve esserlo per permettere al professionista di svolgere la sua mansione. In tal modo non viene ad essere associata al merito ma alla funzione, e non deve superare i limiti della funzione che la giustifica.

Chiarito quanto sopra, al merito - e non alla meritocrazia - può essere associato un altro significato. Ovvero, quando diciamo che è giusto riconoscere i meriti di ciascuno, intendiamo dire che i contributi che ciascun individuo dà alla collettività, devono essere da questa riconosciuti e in qualche misura ricompensati. Però, se "a metà del 2019 la quota di ricchezza in possesso dell' 1% più ricco superava la quota di ricchezza complessiva detenuta dal 70% degli italiani più poveri dal punto di vista patrimoniale" [ da "La Repubblica"  https://bit.ly/3Hz9YDI ] c'è da chiedersi che farà mai per la collettività questo 1% della popolazione italiana. È più ovvio dedurre che non si tratta di merito, ma che la retribuzione da garantire per investimenti di capitale è ipervalutata rispetto al reddito da lavoro.

Il punto è che se - come io penso - l'organizzazione della produzione non determina univocamente l'etica degli individui che vivono nella società - come sostiene invece la teoria marxista - una pressione anche forte la esercita. La mia impressione è che se lo slogan olimpico recita: "Tu sei il mio avversario, non il mio nemico", questo viene considerato nel nostro contesto sociale, piuttosto un atteggiamento di cui farsi fregio, perché è chiaro a tutti che bisogna farsi strada con il pugnale e con il veleno. Machiavelli insegna. E perché la minoranza più ricca diventi sempre più ricca e acquisti sempre maggiore potere.  Dico questo per enfatizzare quanto nella mia percezione sia forte, la pressione esercitata dal presente sistema sociale, verso l’individualismo più sfrenato, fino a far perdere il sentimento  di vivere in una comunità umana. La mia percezione è che ciascuno impari a vedere in chiunque altro un possibile nemico, che potrebbe impedire che vengano a lui riconosciuti i propri meriti.


Il problema più grave, a mio avviso, è che si parla di "valorizzare le eccellenze". Allora io dico che se non è di capacità e competenze e conoscenze, che si parla, ma di genio, per la natura stessa del genio, che si trova in una condizione che sta molto al di là di quella dei suoi contemporanei, la sua valutazione è fuori dalle possibilità della collettività a cui  appartiene. Mi sembra che la maniera migliore di accoglierlo, di non isolarlo, è di fondare una comunità che sia disposta ad accogliere tutti, e dunque pronta all'ascolto di tutti. Perché poi, aggiungo, anche il più misero, il meno avveduto, può avere in qualche occasione qualcosa di importante da dare, e che può a tutti gli altri sfuggire.

E allora ecco che dico che la giustizia e la misericordia sono sorelle, e che è civile una comunità che è portata avanti con il contributo di tutti.

Valorizziamo la persona umana.

Maurizio Proietti iopropars


 

lunedì 8 gennaio 2024

La funzione della Befana nell'immaginario collettivo

"Buona Befana"
dipinto digitale
di Maurizio Proietti iopropars




La funzione della Befana

nell'immaginario collettivo


Una volta, se si dava a una donna della Befana, poteva essere un complimento solo per la Befana vera, quella che riempiva di dolcetti e regalini la calza ai bambini. Dire a una donna che era "la" Befana - proprio lei - poteva suonare come un modo per canzonarla, di dirglielo per scherzo, che più brutta non avrebbe potuto essere. Dirle invece che era "una" befana, suonava parecchio di più come un'offesa, un modo di esprimere ira nei suoi confronti, gridandole dietro quanto era brutta, ma proprio tanto, brutta. Oggi che le cose sono un po' cambiate, un po' anche piace, alle donne invece, di atteggiarsi a fare le befane, come a voler rivendicare un po' il diritto, di non essere sempre eleganti e ben curate.

Così ecco che con un cambiamento nel costume, il personaggio immaginario della Befana viene ad assumere una diversa sfumatura emozionale. Intorno a questo personaggio si costruiscono emozioni diverse nella nostra dimensione sociale. Allora a me sembra ovvio pensare che questo come altri personaggi, siano stati introdotti dalla gente nell'immaginario collettivo, al fine di ottenere proprio questo, al fine formare in ciascuno di noi delle emozioni che fossero condivise dall'intera collettività. La Befana è dunque un mito fondante della società odierna, come vi erano miti fondanti presso gli antichi greci e i romani, e gli altri popoli antichi. "Un mito fondante", io lo intendo come un elemento culturale che contribuisce a formare quel substrato emotivo sul quale si sviluppano le relazioni tra le persone. 

In tal modo, per quanto detto, allo scopo di maturare la consapevolezza del nostro essere sociale, può essere opportuno domandarsi la funzione di questo mito. 

Vorrei però innanzitutto richiamare all'attenzione dei miei lettori, una poesia sulla Befana, del tenero e amabile Giovanni Pascoli. Per me la poesia è un mezzo di formazione delle nostre emozioni, e dunque uno strumento di maturazione. È per questo motivo che io sono giunto alla poesia partendo dalla riflessione filosofica. Io Giovanni Pascoli l'ho amato e lo amo, gli voglio tanto bene.

La Befana

Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! la circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed è il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.

E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.

Che c’è dentro questa villa?
uno stropiccìo leggiero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?

Guarda e guarda… tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
Guarda e guarda… ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini…

Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolan le scale:
il lumino brilla e sale,
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale? chi mai scende?

Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampana di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.

La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra,
trema ogni uscio, ogni finestra.

E che c’è nel casolare?
un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?

Guarda e guarda… tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra le ceneri e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti…

E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila…
Veglia e piange, piange e fila.

La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.

La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange, c’è chi ride:
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.


Giovanni Pascoli


In questa poesia la Befana mi sembra che sia come un nucleo emozionale del poeta. Sembra una figura che lui ha introiettato - ovvero ha fatta sua - ed elaborato, facendola divenire una parte di sé. La Befana di cui Giovanni Pascoli parla in questa poesia, è al tempo stesso un complesso emotivo che lui ha assunto dalla tradizione nella sua infanzia, e una sua elaborazione di questo stesso complesso. Lui sa che non è la Befana a portare i doni, e dunque il personaggio diventa un osservatore della situazione e ha una reazione emotiva che diviene stabile nel suo modo di essere. La Befana - ovvero il Pascoli con gli occhi della Befana - ha visto la differenza tra ciò che avviene nella villa e ciò che avviene nel casolare, e questo è ciò che continua a vedere e annuvola la sua fronte.


"La buona Befana"
dipinto digitale 
di Maurizio Proietti iopropars


La Befana è una vecchietta brutta ma buona. È buona perchè portatrice di doni, per i quali non chiede di essere ringraziata. Per riceverli è sufficiente fare una tacita richiesta, appendendo una calza che lei riempirà. Non viene presentata come ricca, perché anzi viene descritta come una figura trasandata. Però il punto è che viene proposta ai bambini come un personaggio che ha una funzione educativa, perché se loro non saranno buoni, lei anziché i suoi doni, porterà loro il carbone, che è una cosa che a me dà l'idea che, se assaggiato, non deve essere per niente buono, e di cui un bambino veramente non saprebbe cosa farne.

Così si cerca di portare i bambini ad amare questa figura di vecchietta molto brutta ma buona e che promuove in loro la bontà. Sono due aspetti valoriali di una persona umana, verso cui si cerca di far sì che i bambini orientino il proprio affetto, passando sopra all'aspetto esteriore.

A mio avviso questa è una sana prospettiva educativa, ed è coerente con i principi cristiani, cosa che rende leggitimo inserirla nelle celebrazioni della tradizione natalizia. A me sembra bene, il fatto di terminare le festività e dunque le vacanze natalizie, con una giornata che sia anch'essa solenne e che sia di richiamo all'affetto.

Vorrei concludere ( "guarda caso..." forse penserà a questo punto chi è abituato a leggere i miei scritti ) con un richiamo alla Bibbia.

Nella prima lettera dell'Apostolo Paolo a Timoteo, cap. 2 versetto 15, nella mia versione della Bibbia, io leggo che le donne si salveranno tramite la maternità. Io ho sempre interpretato questo versetto come maternità spirituale, e però mi sono capitate tra le mani altre versioni che traducono che "si salveranno partorendo figli", che non mi sembra per niente un insegnamento cristiano. Bisogna vedere come è il testo originale, però per me è evidente che San Paolo dice che il magistero della parola è riservato agli uomini, e solo quello dell'esempio è invece aperto anche alle donne. I cristiani insegnano con la parola e con l'esempio, e io ho dato l'interpretazione che ho riferito appunto perché in sintonia con altri insegnamenti di San Paolo. 

Ora tornando alla Befana io ritemgo che la sua figura sia atta a veicolare il ruolo e la funzione della donna nella comunità cristiana, in cui è onorata proprio per la sue doti spirituali, che sono fonte di ispirazione e insegnamento, anche se non accompagnate dalla predicazione, riservata invece agli uomini, a causa di una condizione di maggiore debolezza in cui si viene a trovare la donna - così afferma San Paolo - perché artefice della caduta in seguito alla seduzione da parte del serpente.


Maurizio Proietti iopropars 





                                           






 

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