La funzione della Befana
nell'immaginario collettivo
Una volta, se si dava a una donna della Befana, poteva essere un complimento solo per la Befana vera, quella che riempiva di dolcetti e regalini la calza ai bambini. Dire a una donna che era "la" Befana - proprio lei - poteva suonare come un modo per canzonarla, di dirglielo per scherzo, che più brutta non avrebbe potuto essere. Dirle invece che era "una" befana, suonava parecchio di più come un'offesa, un modo di esprimere ira nei suoi confronti, gridandole dietro quanto era brutta, ma proprio tanto, brutta. Oggi che le cose sono un po' cambiate, un po' anche piace, alle donne invece, di atteggiarsi a fare le befane, come a voler rivendicare un po' il diritto, di non essere sempre eleganti e ben curate.
Così ecco che con un cambiamento nel costume, il personaggio immaginario della Befana viene ad assumere una diversa sfumatura emozionale. Intorno a questo personaggio si costruiscono emozioni diverse nella nostra dimensione sociale. Allora a me sembra ovvio pensare che questo come altri personaggi, siano stati introdotti dalla gente nell'immaginario collettivo, al fine di ottenere proprio questo, al fine formare in ciascuno di noi delle emozioni che fossero condivise dall'intera collettività. La Befana è dunque un mito fondante della società odierna, come vi erano miti fondanti presso gli antichi greci e i romani, e gli altri popoli antichi. "Un mito fondante", io lo intendo come un elemento culturale che contribuisce a formare quel substrato emotivo sul quale si sviluppano le relazioni tra le persone.
In tal modo, per quanto detto, allo scopo di maturare la consapevolezza del nostro essere sociale, può essere opportuno domandarsi la funzione di questo mito.
Vorrei però innanzitutto richiamare all'attenzione dei miei lettori, una poesia sulla Befana, del tenero e amabile Giovanni Pascoli. Per me la poesia è un mezzo di formazione delle nostre emozioni, e dunque uno strumento di maturazione. È per questo motivo che io sono giunto alla poesia partendo dalla riflessione filosofica. Io Giovanni Pascoli l'ho amato e lo amo, gli voglio tanto bene.
La Befana
Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! la circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed è il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.
E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.
Che c’è dentro questa villa?
uno stropiccìo leggiero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?
Guarda e guarda… tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
Guarda e guarda… ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini…
Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolan le scale:
il lumino brilla e sale,
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale? chi mai scende?
Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampana di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.
La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra,
trema ogni uscio, ogni finestra.
E che c’è nel casolare?
un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?
Guarda e guarda… tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra le ceneri e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti…
E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila…
Veglia e piange, piange e fila.
La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.
La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange, c’è chi ride:
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.
Giovanni Pascoli
In questa poesia la Befana mi sembra che sia come un nucleo emozionale del poeta. Sembra una figura che lui ha introiettato - ovvero ha fatta sua - ed elaborato, facendola divenire una parte di sé. La Befana di cui Giovanni Pascoli parla in questa poesia, è al tempo stesso un complesso emotivo che lui ha assunto dalla tradizione nella sua infanzia, e una sua elaborazione di questo stesso complesso. Lui sa che non è la Befana a portare i doni, e dunque il personaggio diventa un osservatore della situazione e ha una reazione emotiva che diviene stabile nel suo modo di essere. La Befana - ovvero il Pascoli con gli occhi della Befana - ha visto la differenza tra ciò che avviene nella villa e ciò che avviene nel casolare, e questo è ciò che continua a vedere e annuvola la sua fronte.
"La buona Befana"
dipinto digitale
di Maurizio Proietti iopropars
La Befana è una vecchietta brutta ma buona. È buona perchè portatrice di doni, per i quali non chiede di essere ringraziata. Per riceverli è sufficiente fare una tacita richiesta, appendendo una calza che lei riempirà. Non viene presentata come ricca, perché anzi viene descritta come una figura trasandata. Però il punto è che viene proposta ai bambini come un personaggio che ha una funzione educativa, perché se loro non saranno buoni, lei anziché i suoi doni, porterà loro il carbone, che è una cosa che a me dà l'idea che, se assaggiato, non deve essere per niente buono, e di cui un bambino veramente non saprebbe cosa farne.
Così si cerca di portare i bambini ad amare questa figura di vecchietta molto brutta ma buona e che promuove in loro la bontà. Sono due aspetti valoriali di una persona umana, verso cui si cerca di far sì che i bambini orientino il proprio affetto, passando sopra all'aspetto esteriore.
A mio avviso questa è una sana prospettiva educativa, ed è coerente con i principi cristiani, cosa che rende leggitimo inserirla nelle celebrazioni della tradizione natalizia. A me sembra bene, il fatto di terminare le festività e dunque le vacanze natalizie, con una giornata che sia anch'essa solenne e che sia di richiamo all'affetto.
Vorrei concludere ( "guarda caso..." forse penserà a questo punto chi è abituato a leggere i miei scritti ) con un richiamo alla Bibbia.
Nella prima lettera dell'Apostolo Paolo a Timoteo, cap. 2 versetto 15, nella mia versione della Bibbia, io leggo che le donne si salveranno tramite la maternità. Io ho sempre interpretato questo versetto come maternità spirituale, e però mi sono capitate tra le mani altre versioni che traducono che "si salveranno partorendo figli", che non mi sembra per niente un insegnamento cristiano. Bisogna vedere come è il testo originale, però per me è evidente che San Paolo dice che il magistero della parola è riservato agli uomini, e solo quello dell'esempio è invece aperto anche alle donne. I cristiani insegnano con la parola e con l'esempio, e io ho dato l'interpretazione che ho riferito appunto perché in sintonia con altri insegnamenti di San Paolo.
Ora tornando alla Befana io ritemgo che la sua figura sia atta a veicolare il ruolo e la funzione della donna nella comunità cristiana, in cui è onorata proprio per la sue doti spirituali, che sono fonte di ispirazione e insegnamento, anche se non accompagnate dalla predicazione, riservata invece agli uomini, a causa di una condizione di maggiore debolezza in cui si viene a trovare la donna - così afferma San Paolo - perché artefice della caduta in seguito alla seduzione da parte del serpente.
Maurizio Proietti iopropars
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