mercoledì 23 agosto 2023

Contro il trionfo della vanagloria



Contro il trionfo della vanagloria 

Della vanagloria si parla di solito come di qualcosa che riguarda la sfera individuale, e in fin dei conti va ad influenzare esclusivamente le relazioni personali degli individui, e non l'organizzazione sociale. Io penso invece che questa componente del carattere individuale, abbia una grande influenza sull'organizzazione sociale. E forse della stessa opinione erano gli antichi romani quando insorsero contro il loro settimo re.

Io sostengo che sia riduttivo analizzare esclusivamente in termini economici, come ha fatto Karl Marx, i fattori che determinano l'insorgere di ingiustizie sociali, talvolta anche eccessivamente gravi. Non sono affatto convinto che gli esseri umani, in accordo con l'ideologia marxista, siano il prodotto dell'organizzazione sociale. Penso invece che essi costruiscano l'organizzazione sociale in base all'etica dominante, quella più diffusa nella popolazione. Penso anche che poi, la stessa organizzazione sociale influenza gli individui e contribuisce a formarli, ma che essi rimangano sostanzialmente liberi nei loro orientamenti etici come delle loro scelte morali. E dunque penso che se le classi subalterne che subiscono il peso di un'ingiusta organizzazione sociale, non sono in grado di produrre una migliore società, sia perché condividono gli ingiusti presupposti etici delle classi dominanti.

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Un concetto marxista che invece accetto, è quello di coscienza di classe. Lo interpreto come presa di coscienza da parte di un individuo, che la sua posizione sociale lo accomuna in quanto ad interessi, ad altri individui che nella stessa società hanno una posizione analoga alla sua, e dunque lo stesso vantaggio ad orientare l'organizzazione sociale di cui fanno parte, in un modo a loro favorevole. Tuttavia, pure con questa coscienza, con questa "coscienza di classe", un individuo che appartiene a una classe svantaggiata, deve operare una scelta etica, se vuole perseguire la costruzione di una società differente, anziché cercare di farsi strada singolarmente all'interno della società in cui vive, anche accettando condizioni di competizione sfrenata, e talvolta persino senza scrupoli.

Si può lottare in dieci per lo stesso boccone di pane, o chiedere una più equa distribuzione del cibo. Ma se otto su dieci preferiscono lottare per il boccone perché non riescono a superare l'odio fratricida verso gli altri, il problema non risiede nella mancanza di coscienza della loro condizione. È una scelta etica stolta, a fare sperare ad ognuno di questi, che sarà proprio lui ad accaparrarsi il boccone. Anche se poi il paragone non calza bene, in quanto la posta in gioco, nella nostra società, è di presiedere alla distribuzione del cibo. Presiedere alla distribuzione non è per uno solo, ma per pochi, anche se non per tutti. I più capaci, dicono, ci riescono; ma a me sembra che siano i più spregiudicati, anche se, a loro modo, più capaci di altri spregiudicati quanto loro.

Io penso che chi si avvantaggia di ingiusti privilegi, al giorno d'oggi abbia affinato bene questo meccanismo, e lo utilizzi egregiamente a proprio sostegno. Io penso che viviamo in un epoca di forte, per quanto mascherato, indottrinamento ideologico, e anche che le masse vengano consapevolmente spinte verso il degrado morale e civile.

Il problema che io pongo è un problema di civiltà, perché riguarda la convivenza civile. Ed è dunque essenzialmente un problema etico, per me come per qualsiasi altra persona, e non un problema economico.

Qualsiasi altra difficoltà o anche crimine sociale, vengono dal degrado della civiltà.

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Molto si può argomentare riguardo alla civiltà, allo scopo di darne una definizione. Io penso tuttavia che la sua essenza possa essere riportata a qualcosa di semplice ed essenziale. La civiltà può essere riportata al fatto che gli esseri umani si riuniscono in gruppi, sia allo scopo di migliorare le proprie condizioni di vita, sia anche di soddisfare un naturale bisogno di relazione, che è appunto in sé stesso un bisogno umano. 

La civiltà può essere definita come quell'insieme di fattori che favoriscono la convivenza sociale. Scusate se è poco. Scusate, ma io ritengo che i grandi capolavori della letteratura, dell'arte e della musica, siano grandi proprio per l' importanza che hanno nello svolgere questa funzione, quella di favorire la convivenza sociale. Dopo tutto, cosa dice il testo poetico che Beethoven ha messo in musica nel finale della sua nona sinfonia? L'Inno alla Gioia è un inno alla fratellanza tra gli individui e tra i popoli, perché appunto la gioia nasce dalla fratellanza e conduce pertanto verso la fratellanza.

Va da sé che alla base di un'organizzazione sociale civile, non ci può essere la competizione, ma la collaborazione. Forme di competizione possono, a mio avviso, in una certa misura anche essere ammesse, ma non possono costituire il nucleo essenziale dell'organizzazione sociale, e meno ancora essere assunte come il suo fondamento etico-organizzativo.

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È appunto l'etica quella branca del pensiero, che prende in esame gli atteggiamenti umani che regolano le relazioni sociali.

Da un punto di vista etico, il fatto che nell'organizzazione sociale, i fattori economici vadano a collidere con la giustizia sociale, può essere riportato a un difetto del carattere delle persone, a cui diamo di solito il nome di avidità. L'avidità è un atteggiamento verso il possesso, un modo di considerarlo, il fatto di vederlo come un valore a sé stante e al di sopra di altri valori anche più importanti, che vengono, a causa dell'avidità, del tutto trascurati. Tuttavia, nel carattere delle persone, questo non è l'unico difetto che produce spinte sociali che in qualche modo sono disfunzionali. 

A mio avviso la vanagloria è un vero cancro sociale, capace di fare ammalare e morire le civiltà. Questo perché, se il possesso è correlato con la distribuzione delle risorse, la vanagloria si associa all'assegnazione di riconoscimenti sociali e privilegi, e più ancora all'esercizio del potere, e questi fattori si sono rivelati disfunzionali anche nei regimi comunisti.

Io sono arrivato  alla conclusione che anche la disparità nella distribuzione dei beni, riguarda l'esercizio del potere da parte di alcuni su altri. Che la caduta della civiltà nasca sempre dalla volontà dell'uomo di esercitare il potere sull'uomo. Esercitare potere sugli altri fa ammirare sé stessi, che è appunto la negazione dell'etica, il cui corretto fondamento sta proprio nel riconoscere a tutti pari dignità.

Assoggettare la volontà dell'altro, anziché cercare con lui il confronto, è questa la massima condizione di degrado e di auto-esaltazione.

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Ora, se l'etica prende in considerazione gli atteggiamenti umani che influenzano e governano la convivenza sociale, le regole che gli esseri umani si danno allo scopo di regolare la propria convivenza, prendono il nome di "leggi".

Si parla di cultura della legalità, ma non ci si chiede se le leggi sono sentite dalla popolazione, e se non sono da essa sentite, perché non lo sono.

Cosa diversa è fondare le leggi sui rapporti di forza, da quella di fondarle invece sull'etica. Solo nel secondo caso si ottiene la giustizia, perché nell'altro caso, ciò che si ottiene è nient'altro che la legge del più forte. Tuttavia, se vogliamo organizzarci in una società laica, e non in una teocrazia in cui i valori etici sono il risultato di una rivelazione divina, occorre che essi siano ricavati da un pubblico dibattito, proprio perché alla base di un'etica correttamente fondata vi è il confronto.

Questo è quanto io sostengo, e su questo sono disposto a confrontarmi.

Dunque voglio anche aggiungere che le leggi, per funzionare, ovvero per migliorare la convivenza civile, devono esprimere un sentire comune. Esse devono essere il risultato di un concezione etica così largamente condivisa, da giustificare il controllo della devianza da questa concezione, che è il senso della legge. E se al senso della legge vengono poste obiezioni, su tali obiezioni deve essere aperto un pubblico dibattito. Si deve arrivare alla loro confutazione, o a un cambiamento della legge che tenga conto di tali obiezioni. Perché se le obiezioni non possono essere confutate, la legge non è più espressione di giustizia, ma diventa un'imposizione sociale.

Tuttavia ecco, ciò che appare ai miei occhi è una società in cui il degrado morale e civile prevalgono, e in cui le leggi non tutelano perché non esprimono la giustizia. A poco servono i richiami ad esercitare il diritto di voto, se i cittadini non sentono di partecipare alle istituzioni, pur esercitando questo diritto.

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Così, passo ora a un commento lirico sul mio dipinto digitale.

Se ho scritto "freedom" in inglese, e non "libertà" nella mia (amata) lingua, è perché la mia lingua la amo, ma non più amo il (mio) popolo, che tanto "mio", io più non lo sento. Mi sento italiano, ma non come "gli altri italiani", ma piuttosto come "altri italiani", gli italiani che nel passato, parlavano la mia stessa lingua, e che ora mi sembra che più non ci siano. 

Non è solo il fatto che molti di coloro dai quali io mi ritrovo circondato, non parlano nemmeno un corretto italiano, e nemmeno riescono a parlarlo quando si cimentano nell'impresa, anche pensando di riuscirci. Poiché il problema più grave è che per parlarlo, costoro hanno bisogno di applicare le regole della sua complessa grammatica. Non viene loro spontaneo, perché non condividono la cultura da cui questa lingua è animata; la cultura in seno alla quale ha avuto origine. Mi appaiono fondamentalmente estranei  a quella cultura umanistica in cui io mi riconosco perché sento che perseguiva valori di civiltà. A quella cultura umanistica che ha sviluppato la lingua italiana dal volgare, dalla lingua del popolo di cui gli umanisti rilevarono l'eloquenza, ovvero la capacità espressiva. 

In quella cultura umanistica, ad esempio, per dirne una, il genere grammaticale maschile era realmente inclusivo, al contrario di quanto dichiarano certi intellettuali mediatici nostri contemporanei. In quella cultura umanistica anche la donna - ovvero "domina", "signora" e non più solo "mater familias" - acquisiva una nuova dignità sociale.

Se penso all'espressione"amore mio" in cui "amore" diventa un aggettivo che terminando con la lettera "e", acquista un doppio genere grammaticale, femminile e maschile, io mi chiedo come fanno questi paladini mediatici in cerca di gloria, a sostenere che nella lingua italiana, il genere grammaticale maschile non è inclusivo.

Senza per il momento entrare troppo nel merito del maschile inclusivo, dico che agli intellettuali mediatici non serve analizzare fatti e circostanze storiche e linguistiche, perché a loro basta una visibilità e una patente di credibilità che viene conferita loro da una pubblicità ingannevole, che è ingannevole perché non si presenta come tale. Coloro che portano avanti tesi contrarie alle loro, sono sempre intellettuali mediatici, e tutti parlano per autorevolezza, con argomenti che poco sostengono le loro tesi, al contrario dei nostri umanisti. La loro autorevolezza li eleva al di sopra del volgo, li rende superiori alle masse, e queste modellano acriticamente le proprie opinioni sui loro vaticini. 

Non so quale sia il percorso che porta a diventare intellettuali mediatici, ma mi sembra verosimile che per farlo occorra asservirsi a dire, almeno in parte, o almeno in alcune circostanze, ciò che altri vogliono che si dica. Non mi sembra che sia a motivo di una profondità di pensiero che altri non hanno, che viene loro riconosciuta loro una pubblica funzione. Mi sembrano, un po' tutti, imbonitori di folle, che danno al popolo ciò che vuole sentire, mescolandolo a ciò in cui vogliono che creda.

Mi sembra che in italiano la parola "libertà" sia ormai priva di senso, anche se un significato continua ad averlo. Non credo che in altre lingue, la parola che esprime lo stesso significato - "freedom" in inglese - descriva in qualche modo una condizione effettiva, al pari di come tale condizione mi sembra assente in questo disgraziato paese. Tuttavia rimane in me la speranza che altrove sia "diverso, diverso da qua", e che rimanga forse in alcuni, un anelito verso uno stato di cose, una condizione, che sia libertà. Rimane in me la speranza che altrove, in alcuni, resti almeno il desiderio, di libertà. Allora, per questo, altrove non sarebbe una parola priva di senso, perché il senso lo troverebbe, in quel desiderio di chi ancora vi crede. E se il mio linguaggio, in questo mio sfogo, è in una certa misura iperbolico, il mio timore è che questa misura sia troppo scarsa, al punto da trasformarlo in una descrizione crudelmente concreta e reale.

A questo punto però ciò che a me viene da chiedermi è cosa fare. È mia opinione che alle situazioni difficili bisogna sempre reagire, che per fronteggiare il malessere occorre trovare soluzioni. 

Io penso ciò che si deve fare sia di utilizzare quegli spazi di democrazia che i nostri padri e i nostri nonni ci hanno aperto combattendo contro il fascismo, per propagare da forti - come dice la canzone di Pietro Gori "Addio Lugano Bella" - le verità sociali.

Non sono necessari scontri violenti e non sono necessarie "azioni dimostrative". Anzi sono cose insensate che servono solo a giustificare la repressione di uno Stato, della nostra Repubblica, in cui la sovranità, per come io la vedo, al popolo non gli appartiene più. Ma se non si creano i presupposti etici nelle classi svantaggiate, non c'è niente da fare.

Il punto è che le avanguardie rivoluzionarie - perché di questo si tratta, non nel senso di agire con la forza, ma di produrre una radicale trasformazione sociale - le avanguardie devono operare nel presupposto del bene collettivo, e non al fine di promuovere sé stesse.

Dopo averlo cacciato da Roma, cacciamo Tarquinio il Superbo anche da noi stessi.

Maurizio Proietti iopropars 


venerdì 18 agosto 2023

Il Nanga Parbat (de Noantri )

 


Il Nanga Parbat (de Noantri)

Il massiccio montuoso che potete ammirare nella foto è il Nanga Parbat e la pianura antistante è in realtà un fondovalle che si trova ad un'altitudine di più di 6000 metri. L'assenza di neve è dovuta al surriscaldamento globale, ma chi lo desidera può aggiungerla con l'apposita applicazione, tanto anche il massiccio non è proprio esattamente il Nanga Parbat preciso preciso, ma sono i monti Aurunci, nel basso Lazio, abitanti in epoca preromana dalla popolazione omonima. 

Degli Aurunci bisogna sapere che erano una popolazione osca di origine indoeuropea, e sembra che fossero - cosa di cui non c'è da stupirsi con questi nomi - una popolazione piuttosto rozza e primitiva. Ora direi che con la deriva scureggiona e guerrafondaia che ha preso il resto del mondo civilizzato, guidato dall'iracondo presidente americano Biden, non è male che queste popolazioni, visto il forte handicap iniziale, non si siano eccessivamente evolute, tanto che la vita sembra per loro trascorrere in alcuni momenti persino tranquilla.

(Trovandomi in vacanza da quelle parti - intendendo le parti dei monti Aurunci che ho immortalato nella foto - mi sembra giusto produrre appunti di viaggio che aiutino altri viaggiatori, a farsi una ragione del fatto che qui a Ferragosto venga sospeso lo scarso servizio di autobus cittadino che collega il paese di Minturno al mare e alla stazione ferroviaria).

Maurizio Proietti iopropars 


 

sabato 22 luglio 2023

Fede, poesia







Fede

Una scelta difficile,
Eppure autentica,
È la scelta di fede.
La fede è innanzitutto 
Un sentire da non rinnegare.
È un sentimento l'amore,
Ed è un sentimento sperare,
Ed è nell'essere umano
Il sentimento del suo Creatore.

Maurizio Proietti iopropars 

         Arte-Verità

Come sono solito ripetere, la mia opera poetica si dipana nel binomio Arte-Verità. Intende esprimere un sentire che sia un disvelamento dell'essere. E tale disvelamento viene anche ad essere fondamento del pensiero razionale, che come hanno dimostrato i moderni sviluppi del pensiero filosofico occidentale, non è in grado di sollevare sé stesso tirandosi per i capelli, ovvero non può su sé stesso fondare sé stesso.

Nemmeno una teoria matematica può dimostrare in sé stessa la propria coerenza, ma per fare questo ha bisogno di una teoria matematica più potente, che a sua volta non può dimostrare in sé stessa la propria coerenza, ma ha bisogno di una teoria ancora più potente.

Io sono convinto che la circostanza su esposta, non possa e non debba farci dubitare della matematica, ma che dobbiamo piuttosto comprendere le ragioni che al di fuori della matematica, fondano la nostra fiducia nella matematica; anche se il problema è complesso per via del fatto che gli stessi matematici hanno dimostrato l'esistenza di alcuni paradossi matematici.

Quello che io mi sento di dire dei paradossi matematici, è che il matematico è intelligente, e si accorge di aver incontrato un paradosso. Lo dico a sostegno della mia opinione che l'intelligenza non può essere semplice capacità di calcolo, ma è innanzitutto intuizione, comprensione del mondo che ci circonda.

Il disvelamento dell'essere di cui io parlo, è appunto apertura alla comprensione. Pertanto sarebbe parecchio fuorviante, pensare che la mia poesia dia migliore forma a concetti filosofici o religiosi; che in pratica sia una specie di abbellimento del pensiero. Infatti è invece una concretizzazione del mio pensiero. Vuole descrivere il mio viaggio nell'esperienza del comprendere, il mio personale coinvolgimento in questa esperienza, fino a dare la forma a quanto di essa vi sia di più essenziale.

D'altra parte, in nessun altro luogo si può disvelare l'essere, ma solo in quelle forme che sono in grado di pensarlo e che hanno interesse al suo disvelamento. Sono queste appunto le nostre soggettività individuali, in cui l'esperienza del conoscere e del comprendere trova la sua concretezza nel nostro interesse in questa esperienza.

Vorrei concludere spiegando perché parlo di "disvelamento" e non di "rivelazione". 

Io non intendo che l'opera d'arte in generale e la poesia in particolare rivelino l'essere come qualcosa di dato ma ignoto, così che possa essere portato alla conoscenza. 

Intendo invece che ci pongono in contatto con un'esperienza, dalla quale, per quanto sia essa fondante le nostre umane vicende, tendiamo a distoglierci. In contatto ci fanno tornare con un'esperienza dalla quale tendiamo ad alienarci, per difficoltà che sono intrinseche, nel suo essere sociale, alla nostra umana natura, e che si ripropongono in contesti sociali diversi, con diverse dinamiche proprie di questi contesti. In tal modo l'opera d'arte e la poesia, per quanto ci parlino di universali, hanno una funzione che viene ad essere determinata storicamente dai contesti sociali all'interno dei quali sono prodotte.

Io ritengo che l'opera d'arte e la poesia abbiano comunque e sempre una funzione etica, anche quando non promuovono valori etici, perché aprono alla consapevolezza, umanizzando il nostro vivere sociale.

Maurizio Proietti iopropars




mercoledì 19 luglio 2023

Speranza, poesia


Speranza

Di nuovo, ancora,
A levarsi tornerà il sole,
E a vederlo rinascere
E dare vita alla vita,
Noi là ci saremo.

Maurizio Proietti iopropars

Qualche considerazione filosofica sul concetto di speranza 

La speranza è l'aspettazione o aspettativa. La speranza è il sentimento con cui si attende un evento positivo. La speranza è il sentimento con cui si anticipa, la presenza di un evento positivo desiderato.

Mi ricordo che anni orsono ho assistito, in una trasmissione televisiva, a un dibattito tra Massimo Cacciari e una teologa di cui non ricordo il nome. Cacciari sosteneva che la speranza cristiana, poiché sostenuta dalla fede, che è una forma di certezza, non poteva essere considerata a tutti gli effetti "speranza", appunto perché basata sulla certezza. Io non mi trovavo affatto d'accordo con Cacciari, e la teologa ha dato una risposta che per me era ancora meno convincente. Ha detto qualcosa del tipo che è sempre speranza perché queste certezze si realizzano a poco a poco.

Il problema a mio avviso era un altro, e precisamente era che Cacciari operava un fraintendimento del significato della parola "speranza". Analizziamo dunque l'uso che facciamo della parola, per capire il significato che comunemente noi ad essa attribuiamo.

Se qualcuno dicesse che ha comprato un biglietto della lotteria e che spera di vincere perché si sente fortunato, molti di noi penserebbero che facilmente questa persona sarebbe destinata a restare delusa.

Differente sarebbe la situazione di uno studente universitario che dicesse che spera di rimettersi in regola con gli esami, con i quali è rimasto un po' indietro, perché ha iniziato a studiare con maggiore impegno. In questo caso la sua speranza sarebbe basata su qualcosa di più solido.

Se invece qualcuno dicesse che spera che ci possa essere un domani per i propri figli, con la sua affermazione suggerirebbe che vi sono circostanze tali da rendere incerto questo domani. E per arrivare alla mia poesia, se in generale, qualcuno dice che spera di vedere ancora sorgere il sole, anche qui suggerisce, sempre in generale, che qualche circostanza spinge a dubitare il ripetersi di questo evento.

Secondo me quando parliamo di "speranza", oltre all'anticipazione emotiva dell'evento atteso, non è tanto questione del grado di certezza con cui ci aspettiamo che questo evento si verifichi, ma del tipo di valutazione. Non è una valutazione basata su circostanze oggettive che rendono necessario il suo verificarsi, quanto piuttosto una valutazione soggettiva, una valutazione personale. Per questo motivo la speranza cristiana, basata sulla fede, è per il cristiano, una speranza certa come la sua fede, una speranza che lui crede che non andrà delusa. 

È per questo che il cristiano può permettersi di provare sollievo nelle sofferenze presenti, dalla pregustazione delle gioie future. Ma perché questa valutazione ci sia, è appunto necessaria la fede.

La mia poesia pone con forza, con un'immagine, appunto la speranza cristiana.

Maurizio Proietti iopropars 




 

mercoledì 12 luglio 2023

"Dio è Amore", poesia.




 "Dio è Amore"

Verso i nostri fratelli

Atto d'amore più grande 

Non c'è,

Che testimoniare la Gloria di Dio,

Essendo

La nostra relazione con Dio 

Nostro Padre, il nostro centro,

Davvero il centro

Dell'umana esistenza.

Per questo proprio

Gesù nostro Signore è morto,

Dando la vita per testimoniare

La Gloria del Padre Creatore.

Per la sua testimonianza 

L'hanno ucciso,

Ma è risorto.

Maurizio Proietti iopropars


La chiesa ritratta nella foto, è la chiesa di San Pietro, a Minturno, comune del basso Lazio, vicino alla foce del Garigliano. 

A me sembra che questa chiesa medievale, edificata intorno al IX secolo, più di altre sue più complesse consorelle successive, testimoni la Gloria di Dio, perché meno spazio essa lascia alla gloria dell'uomo, che sempre è vanagloria.

Essa è uno slancio in uno spazio ristretto. Un protendersi verso l'alto, ma sobrio. Un semplice congiungere le mani in preghiera, in quanto altro non è necessario, se c'è la fede.

La fede ci ricongiunge al Padre Creatore, e moltiplicare parole non serve, con chi nel profondo, per noi stessi perfino talvolta inesplorato, i nostri cuori conosce. A Dio sia resa la Gloria.

Maurizio Proietti iopropars

sabato 8 luglio 2023

La Sagra delle regne a Minturno (LT)


 La sagra delle regne

Sono in vacanza a Minturno, interessante e caratteristico paese dalle antiche origini, a meno di due ore di treno da Roma. Qui si festeggia in questi giorni, dal 5 al 9 luglio, la "Sagra delle regne". Ho cercato di capire il senso di questa festa di paese, per l'interesse che suscita in me questo borgo, i cui resti più antichi risalgono al IX secolo, periodo in cui gli abitanti del posto si allontanarono dalla costa per meglio sottrarsi alle incursioni dei pirati saraceni.
Mi sembra di aver capito che la Sagra delle Regne, altro non sia che la classica, molto diffusa, "festa della mietitura". 
Mi sembra sia ovvio festeggiare alla fine della mietitura, perché lo sperato raccolto si è realizzato, è diventato "res", "cosa", "realtà". Lo possiamo vedere dai covoni disposti nei campi, questi covoni che sembrano grembi, "gremia" in latino, che è il plurale appunto del sostantivo neutro "gremium", "grembo", e che nel vogare locale diventano "le regne". È la "Festa dei Grembi" dunque, ma "grembi" declinato al femminile, che italianizzata potrebbe essere la "Festa delle Grembie", che passando per "remmie" diventa "regne".
Si festeggia, dunque, perché la terra lavorata dall'uomo è diventata fertile, e ha dato origine a questi "grembi" da cui il grano sarà ricavato con la trebbiatura, fase distinta dal raccolto, perché è di lavorazione del prodotto, e avviene poco dopo, in un secondo momento. 
Viene allora spontanea l'associazione con la Madonna delle Grazie. Spontanea viene l'associazione con la Madonna, madre di Gesù, e dunque di tutte le Grazie. 
Ecco che in questo modo l'antica festa della fertilità della terra - in cui il raccolto viene celebrato rivestendolo col un simbolismo che rappresenta il substrato emotivo con cui si affronta il pesante lavoro - diventa una festa cristiana, dal riconoscimento che il suo prodotto è un dono di Dio.

Maurizio Proietti iopropars

sabato 24 giugno 2023

Creatori di valori nuovi


Non vi sto a raccontare come, mi è tornata in mente questa canzone, "Agnese", di Ivan Graziani. Mi ricordo che la cantava spesso una ragazza del nostro gruppo di amici, tutti "compagni", quando io ero giovane, e noi "scalmanati" ci sentivamo l'ombelico del mondo. Si sentiva che a lei piaceva, e si poteva capire come le piacesse il modo in cui parlava di una donna. Mi è tornata in mente, così fortemente evocativa di un periodo storico così vitale, e ho composto la poesia che vi propongo, a cui ho dato il titolo "Creatori di valori nuovi". Il titolo è un'espressione del profeta Zarathustra di Friedrich Nietzsche.


Creatori di valori nuovi

Noi che nella nostra dispersione

Spargevamo aneliti d'amore

Vivendo il nostro desiderio

Di condivisione e d'incontro,

Osservati eravamo

Con sguardi di giudizio severo 

Da parte delle persone serie.

Eravamo alla ricerca

Noi di una soluzione esistenziale

Nel nostro essere sociale

Che volevamo che fosse umano,

Così come eravamo dispersi 

Ma alla ricerca di noi stessi.

E ora a volte ritorno

A chiedermi noi 

Dove siamo finiti,

Inghiottiti 

In una realtà presente

Di pura apparenza. Eppure

La società attuale porta

La nostra impronta,

Per quanto le persone serie

Ci abbiano relegato

In uno sbiadito 

E dimenticato sfondo

Di ciò che viene ora ricordato

Come "gli anni di piombo",

In cui gli ingiusti privilegi

Rischiarono d'essere scrollati,

E sono invece rimasti in piedi

Anche grazie a chi sparava.

Ma ancora ciò che ero,

Questo posso dire,

Ciò che sono stato,

Senza la pretesa 

Di essere stato grande

Ma soltanto autentico,

Quel mio essere vive e spinge

Opera in me ancora,

E alimenta in me la vita,

L'aspirazione al cambiamento.


Maurizio Proietti iopropars



Favorevole a legalizzare l'ora

Vignetta di Maurizio Proietti iopropars Favorevole a legalizzare l'ora Pensavo ai miei amici di quando ero giovane, quando mi è venut...