domenica 30 aprile 2023

La verità rende liberi




La verità rende liberi
ovvero
Per un'etica della liberazione


Io ho creduto da giovane a ciò che chiamavamo genericamente "rivoluzione". Io con altri intorno a me, quelli con cui praticavo attività politica, intendevamo con questo termine il fatto di avviare un processo di profonda trasformazione sociale, che sovvertisse elevandoli i valori della società in cui ci trovavamo a vivere. Credevamo in ciò che era riassunto nello slogan "Il personale è politico". Volevamo una società che permettesse ad ognuno il proprio pieno sviluppo come persona umana. Ci rifacevamo per questo, anche alla teoria marxista, ampliandone tuttavia la portata, cercando di dare ad essa nuovi sviluppi, diversi da quelli che avevano portato in alcuni paesi, all'avvento di quello che era chiamato "socialismo reale".

Ciò che posso affermare oggi, è che non credo più alla scientificità della teoria marxista o materialismo dialettico. Non dico che sia da scartare del tutto. Dico che è lacunosa sotto certi aspetti, al punto che noi, per essere realmente "scientifici" nel promuovere una radicale trasformazione sociale - che ancora oggi io ritengo essere più che mai necessaria alla costruzione di un mondo civile - che noi per essere realmente "scientifici" nel fare questo, dobbiamo fondarci su differenti concetti teorici.

È da questo punto di partenza che io parlo di "un'etica della liberazione". In tal modo ecco contestualizzata la mia poesia sul 25 aprile, annivarsario della liberazione dal nazi-fascismo.


Un popolo alla deriva

Ricordiamoci che c'è stata, 

Ma se posso dire,

Io intorno a me non la vedo

Questa liberazione.

Io non credo che libero

Possa restare chi assume

I valori dei propri oppressori.

Se i principi, io dico,

Etici non si coltivano,

Celebrare non può che essere

Che fonte d'inganno.

E parlo di amore

Per la giustizia

Non di prendere le armi.


Maurizio Proietti iopropars


Vorrei allora sviluppare una breve considerazione sui valori. 

Se parlo di valori oggettivi, in molti storcono la bocca, perchè appare un concetto in qualche modo impositivo. Come dire che sulla base dell'esistenza di valori oggettivi, alcuni possono imporre ad altri la propria visione del mondo. Io parlo invece della ricerca di valori condivisi attraverso il confronto; nel presupposto che, se come esseri umani noi esseri umani siamo tutti diversi gli uni dagli altri, vi deve essere anche qualcosa che ci accomuna come esseri umani, rendendoci umani.

Riguardo all'imposizione di una visione del mondo, io dico che questo è proprio ciò che avviene nell'odierna realtà globalizzata, dove si va a sostituire il valore di mercato, a certi valori che io sostengo siano oggettivi, ovvero patrimonio comune, ma patrimonio che non si presenta come dato, ma che va fatto ogetto di ricerca attraverso il lavoro del filosofo, dello scienziato  e dell'artista. Il valore di mercato segna l'acritica massificazione della cultura su posizioni preconcette. La legge della domanda e dell'offerta applicata alla cultura - come avviene anche sui social nel conteggio dei followers - apre un baratro che ci sprofonda in una scintillante barbarie.

L'arte come la scienza come la filosofia, sono ricerca. Ed è ricerca la comprensione dell'opera d'arte come di quella dello scienziato e del filosofo. Se non si procede in questa ricerca ma ci si limita a considerare, ad esempio, artistico, ciò che è apprezzato come tale dalla maggioranza della popolazione, si produce una banalizzazione della cultura.

"Che tutti possano leggere, finirà per corrompere non solo lo scrivere ma anche il pensare". Così scriveva Friedrich Nietzsche nel suo "Così ha parlato Zarathustra" ( è questo il modo in cui io sento che debba essere reso in italiano il senso del titolo tedesco ), nel capitolo intitolato "Del leggere e dello scrivere". È ovvio per me che non era uno strale contro la cultura di massa, ma contro la massificazione della cultura, rivolta solo alla ricerca del consenso. Infatti dice più avanti "Chi conosce il lettore non fa più nulla per il lettore. Scrivi col sangue, e imparerai che il sangue è spirito". Io vi intendo appunto che bisogna partire da sé e dai propri vissuti e dai più dolorosi.

Dunque per fondare un'etica della liberazione, il mio pensiero va alle parole della canzone "Addio Lugano Bella", dell'anarchico Pietro Gori.

"...Le verità sociali da forti propagate, è questa la vendetta che noi vi domandiamo..."

Dove non c'è verità, come potrà mai esserci giustizia?

Nemmeno vi è amore senza verità. Ma anche, senza giustizia non vi può essere amore.

Così ci ha detto Gesù, che la verità ci rende liberi. Io in questo ripongo fede.  La verità non è mai facile. Per aver testimoniato la verità, Gesù Cristo è stato crocifisso.

Maurizio Proietti iopropars

 



domenica 9 aprile 2023

Uova di Pasqua e Caravelle


 

Uova di Pasqua e Caravelle

- Datemi tre caravelle e vi scopro l'America.

- Ma dài! Come fai?

- Semplice come con un uovo farci la frittata.

 Rispose Cristoforo Colombo con sibillina semplicità.

È per questo che a Pasqua le uova si mangano sode. Pochi lo sanno, ma è una tradizione eminentemente antiamericana, introdotta dagli inglesi a seguito della dichiarazione di indipendenza dei coloni delle Americhe dalla madrepatria.

Gli americani risposero con le uova di Pasqua di cioccolato con la sorpresa.

In quanto agli italiani si sa, "Quando si mangia non si guarda in faccia a nessuno". 

Maurizio Proietti iopropars

venerdì 6 gennaio 2023

Buona Befana


 Un po' di umorismo e anche di ironia sulla Befana, ma con un'immagine artistica. Lasciamo che parli per sé stessa.

mercoledì 4 gennaio 2023

Verso il Chiaro di Luna



 Poesia e Dipinto Digitale

di Maurizio Proietti iopropars




Verso il Chiaro di Luna


Il chiaro di luna

Solleva lo spirito

Rendendoci familiare la notte

Che va incontro

Con la sua intimità

Alle nostre speranze d'amore.


Maurizio Proietti iopropars


Qualche considerazione sulla poesia e sul dipinto

per i lettori del mio blog


È una delle mie poesie, per così dire, intimiste. Ma in realtà rimane presente quel binomio arte-verità, quella funzione dell'arte come disvelamento dell'essere, in cui soltanto, la produzione dell'opera d'arte può incontrare il suo senso.

Mi è capitato proprio ieri di avere incontrato e letto in un social, una poesia su quanto fosse stato duro e lacerante per l'uomo che l'aveva scritta, l'aver perduto la relazione con una donna. Non che non fosse espressiva, ma a me non ha lasciato nulla. Non sostengo che i sentimenti espressi da quell'uomo non fossero autentici. Quel che dico è che il suo sentimento privato è rimasto, per come io l'ho inteso, nell'espressione che lui gli ha dato, un sentimento privato.

Di ciò che mi capita leggere della poesia che altri autori scrivono al giorno d'oggi, mi viene spesso da dire "La mia poesia non vuol essere questo".

Allora, ciò che in altre parole io posso dire, è che l'introspezione, in profondità non può andare, senza essere anche emozione, perchè è dei nostri vissuti che facciamo ispezione, per entrare in rapporto col nostro essere, ovvero, per non fuggire dall'essere e nemmeno dall'essere, essere agiti.

Così che dei nostri vissuti, io questo sostengo, per poterli indagare, dobbiamo essere anche capaci di dirigere il corso. Ma è questo il motivo per cui siamo chiamati all'indagine, per realizzare in noi stessi, la nostra sublime più umana natura.

Riguardo al dipinto digitale posso dire che al tempo stesso riporta a una rappresentazione essenziale il tema che tratta, svelandolo anche prodotto della mente - emozione e pensiero - che va ad evocarlo.

Maurizio Proietti iopropars


domenica 1 gennaio 2023

Years end/La fine dell'anno




Years end

The perspective of the painting towards the sun is intended to arouse a feeling of hope, however founded on wisdom, as the colors and the writing are intended to suggest. 

The colors of the slope intend to represent that our experience is not always green, but its variety somehow smiles at us, if we know how to look at it from an overall view.

With regard to wisdom and experience, my firm position is that experience by itself cannot lead to wisdom those who do not cultivate wisdom. This consideration produced my smiling wry comment on Hal Borland's quote.

However, my irony is not aimed at this author but at my contemporaries, who at times seem to me to be not very capable of learning from experience, even regarding important events.

Wisdom can be summed up in our willingness to strive for good and avoid evil, and it must be combined with intelligence, which is the ability to distinguish right from wrong.

I, as a Christian, firmly believe that Intelligence became flesh, and that He also taught us and put into practice the foundation of good. The foundation is in loving the Lord our God with all our strength, and from this it follows that we love our neighbor as ourselves.

We can be sure that we are wise, this I believe, if we can understand that we really love our neighbor as ourselves. But for this, I clearly feel it, we need faith in God's love and to Him to entrust our will.

It is precisely the fear of death, as the Apostle Paul attests to us, that distances us from good, producing in us the fear of loving.

This is my wisdom.

Maurizio Proietti iopropars


La fine dell'anno

La prospettiva del dipinto verso il sole, vuole suscitare un sentimento di speranza, fondato però sulla saggezza, come i colori e la scritta vogliono suggerire.

I colori del pendio intendono rappresentare che la nostra esperienza non sempre è verde, ma la sua varietà in qualche modo ci sorride, se sappiamo guardarla con una visione d'insieme.

Per quanto riguarda la saggezza e l'esperienza, la mia ferma posizione è che l'esperienza di per sé non può portare alla saggezza coloro che non coltivano la saggezza. Questa considerazione ha prodotto il mio commento ironico e sorridente sulla citazione di Hal Borland.

La mia ironia però non è rivolta a questo autore ma ai miei contemporanei, che a volte mi sembrano poco capaci di imparare dall'esperienza, anche riguardo a eventi importanti.

La saggezza può essere riassunta nella nostra volontà di tendere al bene ed evitare il male, e deve essere associata all'intelligenza, che è la capacità di distinguere il bene dal male.

Io, come cristiano, fermamente credo che l'Intelligenza si sia fatta carne, e che anche ci abbia insegnato, e messo in pratica, il fondamento del bene. Il fondamento è nell'amare con tutte le nostre forze il Signore nostro Dio, e da questo discende di amare il nostro prossimo come noi stessi.

Possiamo essere certi di essere saggi, questo io credo, se possiamo capire di amare realmente il nostro prossimo come noi stessi. Ma per questo, io chiaramente lo sento, occorre la fede nell'amore di Dio e a lui rimettere la nostra volontà.

È la paura della morte appunto, come ci attesta l'Apostolo Paolo, che ci allontana dal bene, producendo in noi la paura di amare.

È questa la mia saggezza.

Maurizio Proietti iopropars


domenica 25 dicembre 2022

Antropologia Natalizia

 


Per chi non lo sapesse oggi, 25 dicembre, è Natale; giornata festiva piena, perché festività nazionale. 

Non è molto prudente uscire di casa perchè questi individui sono più feroci del solito, soprattutto quelli che escono dalle chiese dove celebrano i loro riti pagani. 

In questo periodo dell'anno, in particolare nei loro riti, essi rafforzano in sé stessi la convinzione di una propria superiorità morale che giustifica ai loro occhi il disprezzo nei confronti del prossimo. La cosa risulta piuttosto contraddittoria, perché questa superiorità morale, atta a giustificare la prepotenza selvaggia sostenuta dall'ipocrisia più abietta, sarebbe basata sul loro amore per gli altri. Ma tant'è, questa è la tradizione.

Per l'occasione essi si scambiano doni, con il duplice scopo di ingraziarsi il favore degli altri e di dimostrare la propria benevolenza.

Per molti di loro questo è uno dei periodi più tristi dell'anno, in cui si acuisce il sentimento di solitudine.

La mia personale convinzione è che sarebbe peggio, se questo tipo di festività non ci fossero, perché la lotta fratricida al di sotto della putrida coltre di ipocrisia che governa l'organizzazione sociale che i selvaggi hanno costruito, sarebbe allora senza tregua né quartiere. In questo periodo, per quanto la ferocia sia esacerbata nella corsa agli acquisti, si finge almeno che le cose procedano in modo diverso, e questo produce anche effettivi momenti di tregua. 

Per quanto l'ipocrisia sia disgustosa, il fatto che il male abbia bisogno di mascherarsi da bene, fa pensare che col suo vero volto non potrebbe sussistere, e dunque che la verità può farlo cadere.

Così sta scritto infatti, che la Ragione si fece carne, e dimorò per qualche tempo in mezzo a noi, piena di Grazia e di Verità. Essa ci ha rivelato appunto di fondarsi sull'Amore.

Maurizio Proietti iopropars



martedì 13 dicembre 2022

Manicomi Domiciliari



 

Il titolo del presente post è provocatorio. Indica la via da non percorrere.

Ho eseguito le due locandine digitali - opere di Arte Digitale, come io le considero - per la Giornata Mondiale della Disabilità di quest'anno. Giornata che ricorre il 3 dicembre.

L'idea di fondo è che si debba superare non tanto lo stigma verso la persona con disabilità e soprattutto quella con disabilità psichica, quanto i pregiudizi e i preconcetti. Bisogna essere aperti all'incontro con la persona reale, e più che considerarlo "un disabile", essere disposti riconoscere le sue capacità e i suoi bisogni. Ma questo vale sempre per tutti. Bisogna sviluppare una civiltà che sia maggiormente basata sul riconoscimento della realtà dell'altro e sul reciproco rispetto. Il che poi non vuol dire che non ci si possa aiutare gli uni con gli altri a migliorarci.

 Riporto di seguito un mio intervento che ho scritto per un convegno sulla disabilità.


“Recovery e contesto sociale”

Considerazioni di un paziente psichiatrico


Espongo di seguito il mio punto di vista di paziente psichiatrico riguardo alla recovery. 

Da questo punto di vista parlo di “disturbo psichico” e non di “malattia mentale”, perché quella che da parte di alcuni viene considerata malattia, viene effettivamente da me esperita come disturbo. D’altra parte il DSM è manuale statistico, precisamente dei disturbi psichici. 


Per quella che è la mia esperienza, riporto il mio “disturbo psichico” a due condizioni, una di sofferenza, e una a cui potrei riferirmi come a una “discrepanza cognitiva”. Con il termine “discrepanza cognitiva” intendo una lettura o interpretazione inadeguata di certe situazioni, o addirittura della situazione generale in cui mi sono venuto a trovare. Potrei anche semplificare dicendo che ho “travisato la realtà”, o che avevo una tendenza “a travisare la realtà”, tuttavia parlando in questi termini, sento di esprimermi in modo meno descrittivo della mia situazione. Mi sembra meno descrittivo perché i travisamenti che effettivamente ho operato, erano sostenuti da dinamiche emotive associate a quelle situazioni. Potrei affermare che le mie facoltà cognitive sono state in parte agite dal substrato emotivo.


Sempre secondo la mia esperienza, mi sembra che i fattori che modulano l’andamento del mio disturbo psichico, risiedano sia nelle mie dinamiche intrapsichiche che in quelle relazionali, ma che non si possano collocare separatamente in nessuna delle due, ma piuttosto operino, come mi sembra naturale aspettarsi, nella loro interazione.


Così, per come ho introdotto questa mia esposizione, io vivo il mio percorso di ripresa - di uscita dalla condizione di “disturbo” - in una doppia prospettiva. Cerco sia di migliorare le mie reazioni emotive, anche attraverso un percorso di crescita personale, che, al tempo stesso, di adeguare le mie relazioni interpersonali a un miglioramento del mio benessere. Come dire, semplificando, che io faccio la mia parte per stare nella relazione, ma chiedo che anche chi mi sta intorno faccia la propria - cosa quest’ultima, che talvolta non è pretesa da poco per un paziente psichiatrico.


Proprio nella seconda prospettiva mi sono trovato di fronte al problema di mediare la mia identità personale col contesto sociale. Non che io non mi sia trovato ad affrontare questo problema anche prima che la mia condizione di disturbo, per una serie di circostanze, si acuisse fino a passare dal solo malessere a una condizione anche di discrepanza cognitiva. Però posso dire che nella condizione di paziente psichiatrico questo problema si è andato accentuando parecchio, e credo di poter affermare che, forse non solo per me, questo possa essere un fattore ostacolante della ripresa dalla condizione di disturbo.


Il problema dell’identità, da un punto di vista personale è un problema di auto-ascolto, ma anche di elaborare la capacità di proporsi agli altri, proprio per l’importanza che riveste per ognuno di noi la relazione. Da un punto di vista interpersonale è un problema di visibilità. È il problema della disponibilità degli altri a vederti per come tu ti proponi, invece che nel modo che loro decidono, vuoi per loro esigenze pratiche che intrapsichiche.


Per fare un esempio, dico che coloro che mi spiegano lentamente e con fare paziente e benevolo le cose più semplici, mostrando di pensare che io sia rimasto fissato a uno stadio di sviluppo infantile, o coloro che invece più spesso, e direi con molta frequenza, mi considerano del tutto incapace di riconoscere qualsiasi situazione di rischio o pericolo, mi sembra evidente che lo facciano per assecondare le proprie esigenze narcisistiche. In generale viviamo in una società in cui di solito non interessa all’altro conoscerti, o vederti semplicemente per ciò che sei, ma piuttosto cerca di collocarti in una categoria, in modo da adeguare convenientemente ad essa il proprio atteggiamento. Essere paziente psichiatrico esclude la formula “scusa, come ti permetti?”, perché in quanto paziente psichiatrico l’altro si può permettere, e una rimostranza anche pacata può scatenare un tentativo collettivo di rabbonorti, di tranquillizzarti.


Ora, quando il sociologo statunitense Erving Goffman ha definito le “istituzioni totali”, si riferiva a strutture che oltre ad essere organizzazioni burocratiche fossero anche comunità residenziali, in grado di limitare al loro interno la possibilità di socializzazione degli individui che vi risiedono. Sono totali in quanto esclusive. Tuttavia l’elemento su cui queste istituzioni operano, secondo l’analisi di Goffman, è proprio la capacità degli individui di proporre al contesto sociale la propria identità personale, di costruire la propria identità personale in quel contesto in cui sono relegate.


Per cui la mia osservazione - il mio monito, se vogliamo - è di stare attenti a non costruire per i pazienti psichiatrici, o per alcuni pazienti psichiatrici, una situazione che potremmo provocatoriamente definire di “manicomio domiciliare”. In proposito, aggiungo a quanto già esposto riguardo al proporre l’identità personale al contesto sociale, che per come mi appare, noi viviamo in una società esasperatamente classista, in cui si attribuiscono dei pesi in termini di valore alle persone, e questo determina una onnipresente struttura gerarchica, il cui fine non è organizzativo, ma di assecondare le esigenze narcisistiche. Il paziente psichiatrico, anche quando riceve il plauso, è l’ultimo anello di questa catena di gerarchizzazione del valore umano di ciascuno. È quello di fronte a cui tutti si possono sentire grandi, e alcuni pazienti psichiatrici lottano per poter salire individualmente di categoria, diventando motivo di vanto per la comunità che li appoggia. Che un contesto sociale di questo tipo opponga cieca resistenza al recupero dalla condizione di disturbo, mi sembra ovvio.

  

Vorrei anche riportare la mia esperienza per cui per la stragrande maggioranza delle persone - la quasi totalità di loro - sapere che una persona è un paziente psichiatrico, significa la licenza di non mettersi in discussione all’interno della relazione. E questo a volte è penosamente vero anche per i familiari stretti, magari anche pronti a prodigarsi nei confronti di questa persona, in alcune situazioni in cui lei ha bisogno di loro, ma non ad ammettere un loro errore o di avere avuto torto in qualche circostanza, semplicemente perché sentono di avere la licenza di escluderlo, in una situazione culturale come quella attuale, che rende il fatto di mettersi in discussione o di ammettere un proprio errore o una propria debolezza, difficile per tutti. Anche questo è un modo un cui l’identità del paziente psichiatrico è già tracciata, e con essa il suo destino è vincolato.


Vorrei concludere dicendo che riguardo all’abitare autonomo, la mia opinione è che certamente, anche nella situazione da me esposta, o soprattutto in questa situazione, apre maggiori prospettive e offre maggiori opportunità di gestirsi e di proporsi agli altri. Tuttavia io penso che senza una sensibilizzazione anche per i temi da me delineati, può non essere abbastanza. 


Maurizio Proietti

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