Si può esprimere ciò che si prova, e condividerlo, sia dandone una semplice descrizione, sia attraverso forme artistiche che portino gli altri ad esperirlo in modo più diretto. Ora, certamente non è detto che si debba esprimere e condividere solo disagio. Tuttavia di condividere i propri disagi, a me sembra che talvolta vi sia maggiore necessità; forse perché le situazioni di disagio richiedono una risposta, e ci sembra bene elaborarne una collettiva.
giovedì 30 novembre 2023
sabato 18 novembre 2023
Lode a Dio Padre (lirica)
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Dipinto digitale di Maurizio Proietti iopropars |
giovedì 19 ottobre 2023
Poesia sugli incontri mancati, e su quelli sbagliati
lunedì 11 settembre 2023
La schwa nella lingua italiana
Da uomo di sinistra chiedo se bicchiere, tavolo, e piatti sono maschi, e femmine la bottiglia, le sedie, la tovaglia e le posate. È evidente che il volgare declina il neutro in un modo diverso dal latino.
Altrimenti pensiamo al fatto che il cucchiaio è di genere piuttosto fluido, in quanto è una posata. Lo stesso dicasi per il coltello, mentre la forchetta rimane ostinatamente femmina - forchetta e posata - finché non viene, molto genericamente, considerata un utensile.
Insomma mi chiedo quali trasformazioni di genere provochiamo quando facciamo leva con un cacciavite.
Per non parlare di un lenzuolo, che considerato insieme ad un altro lenzuolo con cui copriamo il letto, diventa parte di una coppia di lenzuola. Notare bene che non è "lenzuole" ma "lenzuola", con la stessa "a" del sostantivo singolare "sedia". E inoltre sono "le" lenzuola, ad indicare che quella "a" è proprio un femminile plurale. È ovvio che c'è un'etimologia di mezzo e che in questo modo è rimasta una traccia del singolare e plurale neutro della lingua latina.
Cercate di rendervi conto quanto sia assurdo intervenire in modo così massiccio in questo intreccio di eloquenza e di storia che è la lingua italiana.
Cercate di rendervi conto quanto sia assurdo reintrodurre il genere neutro nella lingua italiana, con una lettera come la schwa, così estranea alla sonorità di questa lingua, anche se è presente in alcuni dialetti italiani, che hanno però sonorità completamente differenti.
Io, anche se critico il libro del Gen. Roberto Vannacci "Il mondo al contrario", per gran parte dei suoi contenuti, penso che nella sua motivazione dichiarata, questo libro sia giustificato, anche solo se considero come questa operazione linguistica, viene portata avanti senza darsene pensiero, da molte persone che approfittano per questo, anche della loro autorità o ruolo sociale.
Di fronte a queste persone, per uno sfigato qualunque come me, non c'è argomentazione che tenga. Allora ben venga il libro di Roberto Vannacci.
Vi sono delle nicchie sociali, in cui il politicamente corretto esercita una dittatura così feroce, quanto è totale la chiusura all'ascolto, tale da far scivolare chiunque la pensi in maniera diversa, in un limbo di non esistenza. Ma coloro che le controllano, col politicamente corretto possono fregiarsi di essere persone inclusive.
Lo sono senz'altro, ma solo quando si tratta di propagandare sé stesse, e dunque ancora come dicono i versi di quella canzone di F. De André "Ammucchiati in discesa in difesa della propria celebrazione".
Io penso che nel passato, situazioni del tipo di quelle che ho detto, per la reazione che sono in grado di provocare, abbiano avuto la loro parte alla formazione della manovalanza fascista.
Io mi spiego in questo modo, anche l'iniziale adesione al fascismo di intellettuali italiani di tutto rilievo, ovvero dalla presenza di situazioni di quel tipo.
Io penso che in sostanza, situazioni di quel tipo, istighino molto di più all'odio, del libro del Gen. Vannacci.
Se non si lavano i panni sporchi in casa, insultare Roberto Vannacci, ha effetto di rinsaldare quelle disgraziate manovalanze, che quelle situazioni contribuiscono a formare. Bisogna respingere il protagonismo che genera il politicamente corretto.
Maurizio Proietti iopropars
giovedì 7 settembre 2023
Al termine
domenica 3 settembre 2023
Per natura tutti uguali
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Dipinto digitale di Maurizio Proietti iopropars |
È certo che noi come esseri umani, dobbiamo renderci conto che niente è per noi così importante, come le relazioni umane. Ma non è che il prepotente assetato di potere, o la persona avida che accentra su di sé il possesso degli averi, o il vanaglorioso in cerca di seguito, non facciano queste cose perché non sono legati alla relazione con gli altri. La loro è semplicemente una facile soluzione ai problemi del confronto, con gli altri. Si può chiamarla mancanza di amore.
È facile essere incapaci di amare perché amare è difficile.
In accordo con Paolo Apostolo, è la paura di morire che genera la tendenza dell'essere umano verso il peccato. Secondo gli insegnamenti di Gesù il peccato è proprio mancanza di amore.
A me sembra evidente che i difetti del carattere, e i conseguenti comportamenti che rendono difficile per gli altri la vita sociale, nascono dalla mancanza di amore, ovvero dal desiderio di preservare sé stessi senza curarsi gli altri. Altro - per chiosare con un pizzico di arguzia S. Freud - che "Disagio della civiltà", la questione è nel disagio dell'inciviltà.
Se si accetta quanto detto, si capisce allora ciò che ci insegna Gesù, che il comandamento di amare il prossimo come sé stessi riassume la legge morale a cui è sottoposto l'essere umano. La Legge Mosaica aveva come scopo quello di garantire la fratellanza all'interno del Popolo di Israele.
L'essere umano è sottoposto alla legge morale perché il suo essere in relazione agli altri esseri umani, è parte essenziale della sua natura.
Il cristiano tuttavia capisce, su testimonianza dello Spirito Santo, che non è possibile rispettare completamente il comandamento di amare il prossimo come sé stessi, se non si rispetta quello di amare il Signore nostro Dio con tutte le nostre forze. E capisce anche che invece, rispettando il comandamento dell'amore verso Dio, rispetterà anche quello dell'amore verso il prossimo. Gesù dice appunto che il secondo comandamento, quello dell'amore verso il prossimo, discende direttamente dal primo, quello dell'amore verso Dio.
Dio è nostro Padre, e noi siamo tutti fratelli.
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Nell'invertire i termini del problema, non vi è nulla di scientifico, come invece asseriva Karl Marx. È solo un riportare l'operare umano all'interno di un determinismo che è proprio dei fenomeni fisici. Sarebbe scientifico se lui avesse dimostrato che l'essere umano non è mai libero nelle sue scelte, nemmeno in parte, ma sempre rinchiuso nel determinismo. Lui invece, semplicemente lo assume come postulato, pretendendo dogmaticamente che i fenomeni sociali vadano studiati con categorie analoghe a quelle con cui si studiano i fenomeni fisici.
Per proporre una semplificazione di quanto ho detto, io penso che se una comunità sociale, rende troppo gravosa per molti dei suoi membri, la possibilità di garantirsi la sopravvivenza, certamente in questo modo eserciterà pressione verso lo sviluppo di comportamenti criminali quali furti e rapine. Questo non vuol dire che li determina univocamente, ma solo che la spinta della società è una delle variabili da considerare, per capire l'andamento di quei fenomeni in quel contesto sociale. Per cui io non sostengo che l'organizzazione sociale non influenzi le scelte etiche di coloro che vi partecipano. Ma io dico che ne è anche il prodotto.
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Io non credo in ciò che ha affermato Karl Marx, che la religione sia l'oppio dei popoli. Penso che invece abbia frenato la spinta all'abbrutimento di coloro che vivevano in condizioni miserabili. Penso che in tal modo abbia favorito anche il loro percorso verso l'emancipazione. La vera liberazione non consiste nel voler diventare gli oppressori dei propri oppressori, ma nel volere una società libera dall'oppressione. Questa volontà può essere propria solo di chi non si sia lasciato trascinare verso il degrado. Io penso che sia per questo motivo, che la crudeltà con cui la libertà di religione è stata nei secoli combattuta, è stata disumana.
I vangeli ci dicono che a condannare a morte Gesù, sono stati i detentori del potere politico-religioso, perché avevano paura di perdere seguito.
Pertanto io sostengo che solo con l'impegno etico verso la civilizzazione della società, si può ottenere una diversa struttura sociale ed organizzazione della produzione, che meglio risponda alla concreta realizzazione dei diritti umani universalmente riconosciuti. Non si tratta di partire da modelli predefiniti come fa la teoria marxista. Occorre invece sperimentare, avendo come obbiettivo il miglioramento delle condizioni di vita sociale, dal punto di vista delle relazioni umane.
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Io penso che il fascino che la teoria marxista, ha esercitato e ancora esercita in alcune persone, molte o poche a seconda dei momenti storici, risieda nel fatto che asserisce la necessità storica della realizzazione dell'organizzazione sociale che essa propone; un'organizzazione atta a produrre persone migliori. A mio giudizio invece, le conclusioni di Marx sulla necessità storica del comunismo, sono scientificamente erronee. Io affermo che non sono dimostrabili come necessarie, ma solo come verosimili. Dico che erano sviluppi che era ragionevole aspettarsi, a meno dell'intervento di altre circostanze. E affermo anche che le classi dominanti in questo nostro mondo globalizzato, sono riuscite ad allontanare la possibilità della loro realizzazione.
La necessità storica, io dico postulata più che dimostrata da Karl Marx, viene da lui individuata nella tendenza a un sempre maggiore accentramento della proprietà nelle mani di pochi individui, e del conseguente aumento numerico delle masse di sfruttati che avrebbero interesse a una trasformazione dell'organizzazione della produzione. In realtà, secondo la mia analisi storico-sociale, sono stati prodotti mutamenti sociali che hanno reso piuttosto difficile l'uscita dal neo-liberismo.
Un episodio che ha iniziato a farmi intravedere la ricomposizione di classe che è avvenuta in Italia dall'inizio degli anni '80, e anche da qualche anno prima, è stata la cosiddetta "Marcia dei Quarantamila", che ha avuto luogo a Torino il 14 ottobre del 1980. Fu una manifestazione dei quadri intermedi contro i picchetti operai che questi tenevano per sostenere uno sciopero contro la messa in cassa integrazione di un elevatissimo numero di operai. Io mi trovavo appunto a Torino in quei mesi.
Se da una parte, l'accusa di connivenze con il terrorismo colpiva anche persone che con il terrorismo non avevano nulla a che vedere, dall'altra in quel periodo aveva anche preso l'avvio quella ristrutturazione sociale che è stata in grado di rinforzare la struttura dell'organizzazione capitalistica. Stava nascendo il neoliberismo, che si sarebbe andato consolidando dopo la caduta del "Muro di Berlino".
***
Nell'articolo precedente di questo mio blog, ho definito l'anarchia come la speranza di un'umanità nuova. Questo è perché avverto che tra le tre virtù teologali, che comprendono anche la fede e l'amore fraterno, sia la speranza quella che genera il sentimento anarchico, come io lo vivo e lo intendo.
Karl Marx ha dato speranza a masse di diseredati, dichiarando che la necessità del passaggio a una migliore organizzazione sociale - basata su una diversa organizzazione della produzione - fosse nella struttura della stessa organizzazione capitalistica, che a causa delle sue contraddizioni, avrebbe dovuto evolversi nell'instaurazione della società comunista.
Io trovo invece che questa necessità non risieda nella società, ma stessa natura umana. Io dico che sebbene sia vero che la natura umana consente il male, è altrettanto vero che il bene preserva l'umanità della natura umana. È l'essere umano integro, che è destinato a trionfare su coloro che degradano sé stessi, rivolgendosi a praticare il male.
Io affermo che l'intelligenza umana è fondata sulla capacità che ha l'essere umano di essere in relazione ad altri esseri umani e comunicare con loro. Aggiungo che è questa circostanza a far sì che l'essere umano sia soggetto alla legge morale.
Io penso che l'essere umano sia in grado di trionfare sulla variante degradata della sua stessa specie; la variante degli individui che da sé stessi si degradano, allo scopo di conservare sé stessi. Credo che i giusti debbano alla fine trionfare sugli empi.
Maurizio Proietti iopropars
lunedì 28 agosto 2023
Il polverone Vannacci
Il polverone Vannacci
Insomma su questo libro del Gen. Roberto Vannacci, "Il mondo al contrario", che ha suscitato tanto scalpore, voglio innanzitutto dire che in Italia il razzismo è reato, e se si accusa l'autore di avere scritto un libro razzista, lo si accusa anche di aver commesso un reato. Io ho letto il capitolo del suo libro in cui parla dell'immigrazione, e posso dire che non condivido le sue idee, ma anche che, secondo me, almeno in quel capitolo, lui non esprime alcun concetto razzista.
Mai l'autore, in questo capitolo, afferma la superiorità di una razza o di un'etnia su un'altra. Ci sono solo richiami a diritti umani presenti nel nostro paese e nella nostra cultura, e non in altri paesi con culture diverse. Ma non ne fa una questione di superiorità. Lo usa come argomento contro il relativismo culturale. Dice solo che non si può accettare tutto, in nome del rispetto verso la diversità. Si può argomentare che non è questo ciò che accade in Italia, e anche che accettare che in Italia si proceda come lui afferma, può essere preso a pretesto per ingiuste restrizioni. Ma questo non significa che sia un'affermazione razzista. Va sviluppata un'analisi sociologica su come stiano realmente le cose.
Si può anche supporre che l'affermazione sia tendenziosa e che sia dettata da sentimenti razzisti. E tuttavia nel corso di un pubblico dibattito, bisogna attenersi a ciò che effettivamente viene detto.
Ci posso essere anche forti contrasti sulle politiche sull'immigrazione, ma io ritengo che sia parecchio sbagliato accusare di razzismo, chiunque dichiari che nella sua opinione i flussi migratori andrebbero arginati, anche adducendo motivi che noi non riteniamo validi. Se non si ritengono validi vanno confutati dialetticamente, e non montando linciaggi morali.
La mia impressione è che tutti vogliono fare vedere quanto sono buoni loro, e per questo strapazzano il cattivo di turno, poco curandosi di cercare di capire cosa dice.
Io conosco persone "di sinistra" che si domandano come mai quel poco elettorato che ancora pensa che, ancora, valga la pena di votare, vota a destra. Io dico "per forza", perché Roberto Vannacci esprime un malessere che anche altri sentono, e a poco serve dire che se allora la pensi così sei cattivo, anche perché alcune delle sue argomentazioni sono sensate.
Il tal modo, gli eventuali cacciatori di streghe che leggono questo articolo, si staranno leccando i baffi pensando di aver trovato il fascista mascherato da mettere alla gogna. E so per esperienza, che non serve nemmeno, allo scopo di placare un santo inquisitore, dire che io sono sempre stato anarchico.
Io sono stato anarchico fin da bambino, quando mi spiegarono su mia interrogazione, chi fossero gli anarchici, allora accusati ingiustamente, in un primo tempo, di aver messo la bomba a Piazza Fontana. Essere anarchico mi era sembrata proprio una cosa giusta, e mi sono detto: "Anche io sono anarchico". E vai che poi per anni mi sono dovuto andare a leggere di qua, e andare a leggere di là, quando mi si diceva che neanche capivo l'anarchia che cosa fosse. L'anarchia è la speranza di un'umanità nuova.
I più duri di tutti nell'interrogarmi, quando già ero un ragazzetto, erano gli adulti del P.C.I. Loro più che argomentare cercavano di mortificare, cercando anche di approfittare, per supplire a una mentalità un po' rozza, del rispetto che io portavo loro come adulti. Ma dopotutto, per dimostrare quanto si è bravi, non sono ammesse remore morali, come diceva quel lecchino dei potenti, tal Niccolò Machiavelli, "il fine giustifica i mezzi". Il tipo fu un pessimo condottiero. I suoi soldati si diedero miseramente alla fuga.
Il democristiani invece erano più melliflui. Iniziavano sempre con l'adulazione. Non mancava mai una lode alle mie grandi capacità intellettuali, per introdurre i loro discorsi in cui cercavano di mostrarmi quanto la mia intelligenza mi portasse fuori strada.
Poi le due Chiese si sono messe insieme, si sono unite, dopo aver represso indistintamente come terrorismo, quanto c'era alla sinistra del Partito Comunista. Mi vengono in mente le parole di una canzone di F. De Andrè, " i soci vitalizzi del potere, ammucchiati in discesa in difesa della propria celebrazione".
Però devo ammettere che i violenti e i capi-popolo in cerca di gesta che conferissero loro gloria, abbondavano in eccesso anche tra coloro che a sinistra criticavano la sinistra. Così, di gente pronta ad arrostirmi sulla graticola per essere uscito anche di una sillaba dal modello prestampato di ciò che bisognava pensare, ne ho sempre incontrata troppa, e tanta da riempirmi di amarezza.
L'idea che mi sono fatto è che la demagogia sia la malattia mortale della democrazia, ed è per questo che io sempre voglio innanzitutto capire una persona cosa dice.
Così vengo al punto. Io in questo capitolo del libro in questione, vi ho letto che l'autore critica e cerca di demolire l'affermazione che una società multiculturale e multietnica sia una cosa bella e positiva in quanto fonte di arricchimento. Lui espone le proprie osservazioni dicendo che invece questi fattori sono fonte di conflitti sociali. Io non sono d'accordo con lui, al pari però di come non condivido la faciloneria con cui sovente viene esaltata la società multiculturale e multietnica. È vero a mio avviso che l'incontro col diverso è fonte di arricchimento, ma è anche vero che perché questo si realizzi, bisogna lavorarci, e lavorarci a volte anche duramente.
Io dico che ha ragione lui a dire che la compresenza di più culture, ma anche di diverse etnie, è più facilmente fonte di conflitti. Però - basandomi anche io sulla mia esperienza nello specifico di alcune ristrette situazioni - aggiungo che è possibile impegnarsi per stabilire le condizioni per cui non sia così. E innanzitutto, questo lavoro, come ritorno per l'impegno, produce crescita, e poi ci sono doveri etici a cui non ci si può sottrarre, che urgono di muoversi in questa direzione. Per cui sostegno anche io, come il Presidente Mattarella, che bisogna agire in tutti i modi per cercare di ottenere un'immigrazione regolamentata. Ma bisogna anche diffondere i presupposti culturali per l'incontro con la diversità.
Roberto Vannacci poi, in questo capitolo, ha anche voluto affermare che oltre ad un'identità culturale italiana di antiche origini, vi è anche un'identità etnica italiana, piuttosto stabile nei secoli. Per esprimere questo concetto, lui ha affermato che gli italiani, tradizionalmente sono sempre stati bianchi. E apriti cielo! Niente meglio di questo poteva scatenare il pandemonio. Il motivo per cui lo ha fatto però, secondo me, è conseguenziale alla sua affermazione che la coesistenza di più etnie, tende piuttosto a generare conflitto. Alcune delle risposte che ha ricevuto sono state, per come io la vedo, fuori luogo di gran lunga di più della sua affermazione.
Quella che più mi ha colpito è stata la risposta di Corrado Augias. Ha affermato che il concetto di bianco è un concetto relativo e che c'è differenza tra come è bianco un italiano, da come è bianco uno scandinavo. Ha citato anche un'assurda sentenza di un assurdo processo in Alabama nel 1922. Un afroamericano era stato accusato di aver avuto rapporti sessuali con una donna bianca e condannato in primo grado. In appello, secondo quanto riporta Corrado Augias, è stato invece assolto perché si è difeso dicendo che la donna in questione non poteva in alcun modo essere considerata bianca, perché era siciliana. Così a me pare che per essere consequenziali, si dovrebbe supporre che se gli italiani potessero a tutti gli effetti essere considerati bianchi, Roberto Vannacci avrebbe ragione. O in altri termini, con un'argomentazione come questa, si dovrebbe concludere che il problema di un conflitto etnico con le popolazioni originarie dell'Africa non sussiste in Italia, perché anche gli italiani sono negri.
Insomma, io dico che differenze somatiche tra le popolazioni italiane e quelle dell'Africa ci sono e sono abbastanza evidenti. Il punto è di mettere in luce che non è affatto necessario che questa circostanza generi conflitti. Il punto è anche di rilevare come i conflitti etnici sono sostenuti da altri conflitti. Il fatto che gli antenati dei neri americani siano stati rapiti dal loro paese per essere costretti a lavorare come schiavi, segna pesantemente la loro storia negli Stati Uniti, e non poteva non generare conflitti sociali, come pure non poteva non segnare negativamente l'integrazione tra culture diverse in quel paese. Se tuttavia le risposte sono che multietnico è bello, e che gli italiani non sono poi così tanto bianchi, stiamo veramente con le crepe alle pareti, come a volte si diceva quando ero giovane io, per sottolineare la scarsa solidità di un'argomentazione. Sembrano argomentazioni un po' terremotate.
Io dico questo. Se vogliamo la cultura dell'incontro, cerchiamo innanzitutto di essere dialettici.
Maurizio Proietti iopropars
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