Si può esprimere ciò che si prova, e condividerlo, sia dandone una semplice descrizione, sia attraverso forme artistiche che portino gli altri ad esperirlo in modo più diretto. Ora, certamente non è detto che si debba esprimere e condividere solo disagio. Tuttavia di condividere i propri disagi, a me sembra che talvolta vi sia maggiore necessità; forse perché le situazioni di disagio richiedono una risposta, e ci sembra bene elaborarne una collettiva.
giovedì 30 novembre 2023
Non lasciamo allo sdegno
Dipinto digitale di Maurizio Proietti iopropars
Non lasciamo allo sdegno
Di fronte al male
Anche talvolta efferato,
Non lasciamo
Che ad agirci sia il nostro sdegno,
Ma sia con saggezza,
Che invece,
Ci rivolgiamo a cercare giustizia.
Maurizio Proietti iopropars
Lo spettro del patriarcato
Questo mio discorso non vuole essere un'analisi sociologica, ma semplicemente viene dal fatto che anche io come altri, cerco di farmi un'idea di ciò che mi succede intorno, e voglio condividere il mio pensiero. Mi sembra che sia importante condividerlo, perché penso che occorre partire da sé sessi e dal proprio vissuto, per capire la società che ci circonda. Così che condividerlo significa aprirsi al confronto. Significa anche aprirsi maggiormente alla comprensione del pensiero altrui.
In tal modo, chi sono io? Voglio con questa domanda specificare il mio punto di vista. Io sono un rifiuto sociale. Ho sì diritto di voto, che quello non te lo leva nessuno, ma serve a ben poco in una società che nega a parecchi qualsiasi altra forma di partecipazione, e così mi ritrovo ad essere un rifiuto sociale, e dunque la mia opinione non conta. Però anche poco mi toccano gli scandali, ma anche i moti di giubilo che serpeggiano nel contesto sociale dal quale mi trovo sommerso. Sono per me come schiamazzi che avvengono in casa di estranei. Posso parlare però, della mia esperienza di vita e cercare l'incontro, ovvero di aprimi un varco nell'alienazione della società che frenetica si muove tutto intorno.
Eccomi dunque che camminando sul ciglio di questa autostrada in cui vivo, che è questa organizzazione sociale ai cui margini cerco di arrabbattare la mia esistenza, provo a capire cosa mi succede intorno. E intendiamoci, io non dico di essere il custode della verità vera, ma che la conoscenza non nasce dalla competizione ma dalla collaborazione; nasce socraticamente dallo sforzo collettivo nel confronto.
Un sintomo del livello di alienazione raggiunto dalla nosta (pseudo)civiltà contemporanea, è che si organizzano le "Olimpiadi internazionali di filosofia", patrocinate dall'UNESCO. Dicono che si fanno per valorizzare le eccellenze, ovvero coloro che, come dice la canzone di Iannacci, "ti spiegano le tue idee senza fartele capire". Diciamo che da quando Vance Packard nel 1957, publicò il suo libro "I persuasori occulti", questi professionisti della comunicazione, hanno raggiunto livelli più elevati di specializzazione, e sanno che "le tue idee" te le devono fare capire. A questo scopo - per fartele capire - si devono "valorizzare le eccellenze", demolendo, in nome della filosofia, il fondamento stesso della filosofia, ovvero il confronto dialettico, in cui non vi può essere competizione. Si devono produrre "sofisti" - così si chiamavano ai tempi di Socrate.
Oggi si dice che la causa della violenza sulle donne sarebbe il patriarcato. Dal suo mazzo di tarocchi, qualcuno ha estratto questa carta, ed è andata a segno. Ciò che si tace, è che qui è guerra di tutti contro tutti. Cosa vuoi "educare all'affettività"? Perché qualcuno, all'insegna del buonismo - che sempre racimola consensi - questo è quanto ha suggerito. Cosa vuoi educare all'affettività, in un'organizzazione sociale in cui per ottenere qualsiasi cosa, ci devi andare col coltello tra i denti? Significherebbe educare ad essere inadatti alla sopravvivenza. Non intendo dire, inadatti alla sopravvivenza nell'abiente naturale, ma in un gioco che gli stessi che muovono i fili della nostra organizzazione sociale hanno strutturato. Inadatti alla sopravvivenza in un ambiente umano, che invece dovrebbe essere supportivo.
È vero, secondo me, che non bisogna demonizzare la competizione, perché se non portata all'eccesso, può essere funzionale in determinati ambiti. Funzionale può essere nelle attività sportive - nelle quali non è male risvegliare un pochino la nostra base animale - ma anche nell'attività commerciale, perché no? Sempre se non è eccessiva, perché altriment diventa guerra. Ma chiunque abbia provato a confrontarsi in modo serio con i propri amici, deve anche aver avuto esperienza di come in quei casi, la competizione riesce di ostacolo al sereno confronto, e io dico, anche a un corretto sviluppo del nostro pensiero. Essere competitivi confonde il discorso, ma anche annebbia la mente, perché la verità va riconosciuta come tale da qualunque parte essa provenga. Per avere accesso alla verità, occorre essere distaccati. Il confronto dialettico non è una partita a scacchi l'uno contro l'altro, ma un giocare insieme contro l'ignoranza.
Ecco dunque che nel mercantilismo invasivo del mondo contemporaneo, l'intelligenza che non sia mero calcolo ma reale comprensione, sempre di più viene esclusa da ogni posto di responsabilità, e si sta riuscendo a scacciala dalla cultura e dall'insegnamento. Chi è distaccato non sa farsi strada e viene sderenato. Tutti dicono a sé stessi, perché ormai si è capito, che qui bisogna essere cattivi, uomini e donne. Bisogna darci dentro a muso duro, anche se col sorriso sulle labbra. Dai che anche l'ipocrisia è necessaria! O no? È proprio con quella che ti fregano.
Così c'è una destra che in linea di massima è più severa, e una sinistra che più si richiama al buonismo, ma si guarda dal proporre di modificare un'organizzazione sociale in cui la competizione è idolatrata come motore di qualsiasi benessere, e come fattore di emancipazione sociale. Rimane soltanto che per rendere meno brutale la società in cui viviamo, si vuole dare, da parte di alcuni, un minimo di reddito a tutti, che garantisca la sopravvivenza.
Non c'è tempo per riflettere su se stessi, e chi come me lo propone è rivisto, questa è la mia impressione, come uno che sparge veleno. "Alla larga". Il mondo è delle lobbies, delle organizzazioni clientelari, e questo sono, per come mi appaiono, anche i partiti politici. Non importa tanto distinguere il vero dal falso, quanto di avere ragione, a vantaggio della propria parte da cui si ricava vantaggio. Di qui la carenza nelle analisi socio-politiche. Come disse Pilato "Cosa è verità?", e dal sangue di quell'innocente (Gesù) lui si lava le mani, "...da quel giorno Erode e Pilato, da nemici che erano divennero amici".
Venendo al dunque, io non nego che la violenza sulle donne ci sia, né che vada contrastata, quella su di loro come quella su chiunque altro. Però mi sembra che per contastarla, sia necessario ricorrere a un'analisi sociologica più approfondita, che non sia di dire che è colpa del patriarcato, o della sora Menica o del sor Capanna, o del Bagatto o dell'Impiccato, o di qualsiasi archetipo o tarocco si voglia evocare.
Perché? Oltre ad essere una forma di organizzazione sociale, dite che il patriarcato, non è un archetipo che aleggia nell'immaginario collettivo ed evoca la nostra memoria ancestrale? Io non dico che parte della violenza che subiscono le donne, non sia dovuta al tentativo da parte di alcuni uomini, di imporre sulle proprie vittime, una propria autorità maschile. Dico che questa circostanza non è sufficiente a spiegare il fenomeno nella sua interezza; non nell'Italia attuale.
Vorrei analizzare qualche circostanza.
In Italia, con la caduta del fascismo, nel referendum in cui si chiedeva di scegliere tra monarchia e repubblica, per la prima volta le donne hanno avuto diritto di voto, e da allora in poi il suffragio è stato esteso anche alle donne. Ora non mi risulta che sull'estenzione di questo diritto vi siano state resistenze da parte degli uomini, e anzi dagli uomini è stato voluto. È vero che prima di arrivare al nuovo diritto di famiglia, in cui la patria potestà è suddivisa in parti uguali tra marito e moglie, è dovuto passare ancora del tempo. Però cerchiamo di sfatare il clima di battaglia tra i sessi, perché i riconoscimenti che le donne hanno ottenuto, non li hanno ottenuti tramite una rivoluzione armata, ma perché si è instaurato un dialogo con larga parte della società maschile.
In altre parole a me non sembra che oggi in Italia ci sia una cultura maschile che vuole negare la parità di genere e che gli episodi di violenza contro le donne, siano espressioni estremizzate di questa cultura.
Dopo la scoperta dell'omicidio di Giulia Cecchettin, alcuni di questi vip che occupano una posizione che conferisce loro credito e pubblico ascolto, hanno detto che si vergognano di essere uomini. Ebbene si vergognino loro se hanno qualcosa da vergognarsi, perché io mi sento di essere uomo a testa alta, perché non faccio e non ho mai fatto violenza a nessuno, pur avendo subito io stesso violenza in varie forme, non solo da parte di uomini, ma anche da parte di molte donne. Però la violenza che io lamento di aver subito da parte di donne, non è stata violenza fisica, si potrebbe obbiettare con buonismo ostinato. E questa obbiezione meriterebbe l'applauso, perché veramente credo che sia troppo ottuso per chiunque, ridurre le forme di violenza alla sola violenza fisica. Si pensi anche solo alla diffamazione a mezzo stampa che prevede anche la reclusione da sei mesi a tre anni. Ma se parliamo di violenza domestica, si può rovinare la vita a qualcuno anche senza mai alzare su di lui nemmeno un dito; anche se poi, questa non è circostanza che giustifica violenza fisica in rimando.
Io mi trovo circondato da gente prepotente e violenta, uomini e donne in eugual misura, solo che la violenza e la cattiveria delle donne, assume spesso forme differenti da quelle che assume quella degli uomini. Per farla proprio chiara, non è che dico che la violenza sulle donne sia giustificata da quella delle donne. Dico che bisogna organizzare una società che non sia così violenta, ma meglio sarebbe dire così cattiva; una socità in cui uomini e donne non siano così prepotenti e aggressivi, e anche molto ipocriti e malvagi, protesi all'accumulo di danaro e alla vanagloria, assetati di prestigio personale e nient'altro. Proprio colpa del patriarcato... sì! come no... Inizino anche le donne a mettersi in discussione e a prendersi le proprie responsabilità, invece di evocare fantasmi.
Questa figura di donna angelicata, esente da ogni colpa e vittima secolare della prepotenza maschile, che è stata costruita e che viene imposta e anche viene accolta come nuovo idolo sociale, celato culto di una modernizzata Cibele, è certamente funzionale a placare gli animi delle masse di alienati, che di sentirsi buoni hanno tanto bisogno. E allora questi si ammassano nel rito delle loro adunate oceaniche contro la violenza sulle donne, in questa società feroce in cui le donne alla ferocia danno il loro paritario contributo, ma in cui uomini e donne si riconoscono nel ruolo del cavaliere che salva dal drago la fanciulla indifesa, parecchi di loro in gran numero pronti a opprimere gli umili e i miti, che non hanno celato nel cuore il loro odio omicida. Perché loro anche, uccidono, ma di morte lenta.
Questa figura femminile, come altri miti della società italiana di oggi, sembra essere stata assunta dal più esacerbato femminismo di quando ero io ero giovane, questa della donna oppressa durante i secoli dal maschio. È vero che c'è stata questa evoluzione civile nei secoli passati, che ha portato ad esempio a rendere più chiaro a tutti, quanto criminale possa essere ridurre qualcuno in schiavitù, e anche ha portato a una migliore considerazione del ruolo delle donne nella società, anche accogliendo le rivendicazioni che esse stesse portavano avanti. Ma se c'è stata, non è stato grazie alla competizione organizzata - sbandierata artefice dell'efficienza e del progresso e del benessere e della civiltà e di ogni virtù - ma grazie a coloro, uomini e donne, che anteponevano la solidarietà al profitto.
In una società fondata su disvalori, non dovrebbe stupire la violenza sui soggetti sociali più deboli. Anche i bambini più deboli perché portatori di qualche difetto fisico, sono soggetti alla violenza dei loro compagni. Fa parte delle regole del gioco. Anche chi è educato e sensibile viene fatto a pezzi dai prepotenti. È normale. Poi dicono che arrivano i cinghiali, i lupi, gli orsi, è chiaro, perché le città oramai appartengono al selvatico. Gli animali selvatici temono l'uomo, ma qui esseri umani non ce ne stanno.
E invece questo modello di donna è stato estratto dal cappello dei moderni e più agguerriti persuasori occulti, che hanno aiutato a reprimere il dissenso facendo leva sulla minaccia del terrorismo. È la donna competitiva sul mercato, altrettato feroce di quanto siano feroci gli uomini, però più manipolativa che incline a menar le mani. Ma io incontro pure donne che quando possono non esitano ad usare la violenza fisica anche loro. Come qui a Roma e dintorni, dove sono in pochi, ad esempio, coloro che rallentano per fare passare i pedoni sulle strisce pedonali, mentre i più invece accelerano, perché in quel punto i pedoni hanno la pretesa di passare e fanno perdere loro tempo. E allora le vedi queste donne che premono sull'acceleratore, al pari proprio dei loro compari maschi, e che induriscono la faccia e sembrano pensare "Se ti devo ammazzare per passare prima ti ammazzo, vorrà dire che poi mi levano i punti sulla patente". Dure, micidiali, feroci, assassine. Proprio pari agli uomini, loro compari.
Mi divorino pure vivo, se dico questo, staccando a brani dalle ossa la mia carne, ma violenza non è solo l'omicidio o le percosse, ma c'è una violenza quotidiana che ti priva anche di ogni spazio sociale, e nella quale certamente le donne non sono da meno (che brutta bestemmia che ho detto, eh?).E non affermo affatto che questo giustifica la violenza sulle donne, perché a subirla anche dalle donne, sono proprio i miti, uomini e donne, coloro che n0n farebbero del male ad una mosca.
Ora sapete? Io preferisco fare la spesa online, perché non mi va di avvelenarmi il sangue con questi prepotenti, e le donne in certe cose mi sembrano più velenose degli uomini (e questo, lascatevi servire, è un classico stereotipo patriarcale), come quando al supermercato loro proprio non ti vedono, non si accorgono punto della tua presenza. Allora è naturale che per prendere qualcosa dagli scaffali ti passino col braccio davanti alla faccia, mentre anche tu sei occupato a prendere le tue cose, e che tu per evitare di essere urtato ti debba scanzare: uno dei tanti esempi che si potrebbero fare, di come ti rendano persino stressante, semplicemente il fatto di muoverti negli spazi sociali. La mia impressione, di fronte a comportamenti come questo, è che se ti possono fare una cattiveria te la fanno. Dice, ma non saranno tutte così. Lo spero proprio. Ma la semplice presenza sociale, l'accesso agli spazi sociali condivisi, è reso stressente anche grazie a queste donne. Io ne incontro sempre troppe. È uno stillicidio di cattiveria gratuita, di voluta maleducazione, che forse serve loro a sentirsi più forti, perché è questo che conta più di ogni altra cosa al mondo.
Anche quando andavo al supermercato, preferivo le casse automatiche, che - tra l'altro - almeno alla fine ti dicevano "Arrivederci e grazie". Perchè con le cassiere umane - si fa per dire - quasi sempre sgarbate e che alla fine mi buttavano lì lo scotrino e iniziavano a passare gli acquisti del cliente successivo, se qualche volta io educatamente salutavo anche non salutato, l'atteggiamento che assumevano, sia che non rispondevano che se rispondevano con condiscendenza, era sempre che loro erano scocciate che io ci stessi provando con loro mentre loro non ci stavano. Scusate ma non ci credo più che siano reazioni spontanee. Mi sembra invece che siano comportanmenti velenosi. Dice, ma quelle stanno lì a lavorare, mica a intrattenere gli uomini. Io però non ho bisogno di essere intrattenuto, e proprio per evitare la maleducazione e tanti comportamenti e atteggiamenti indisponenti, preferisco la spesa online.
La mia esperienza è questa. La maggior parte delle donne con cui vengo a contatto sono maleducate e aggressive. Voglio dire che se contro le persone miti, queste fanno la disinfestazione con i pesticidi, non si dovrebbero lamentare degli uomini violenti. Ma in realtà il loro punto di vista è un altro. Il loro punto di vista è "con chi ce la posso lo distruggo".
Ribadisco che non affermo che gli uomini siano migliori delle donne. Pure loro, se ti possono fare una cattiveria te la fanno. In questo la gente in generale - maschi e femmine - è veramente disinteressata. È che parlare solo di violenza sulle donne, non mi pare che colga la radice del problema. Con tutta la compassione che anche io ho verso le donne vittime di violenza, questa soluzione di arginare la violenza fisica per mantenere il putridume, sotto la coltre del buonismo, dei sorrisi prestampati, e di un'inclusione sociale di facciata, a me non sembra così grandiosa, perché mi ritrovo quotidinamente vittima di altri tipi di violenza. Diciamo vittima di una cattiveria quotidiana che io penso che possa essere più verosimilmente la causa anche della violenza sulle donne, di quanto non lo sia il patriarcato.
Quello che affermo è che ciò che suscita tanto sdegno è la proverbiale punta dell'iceberg.
Io dico che per combattere ogni forma di violenza, dobbiamo cercare di rivedere i valori sui quali costruire una società civile. Molto schemeticamente per me le radice del problema non è il patriarcato, ma l'organizzazione capitalistica della società. Il capitalismo che ha imposto al mondo l'ideologia neoliberista, che propugna un mercantilismo pervasivo di ogni aspetto dell'umana esistenza, sta attraverso di esso costruendo una nuova etica di Stato, fatta di bassezza e ipocrisia.
Secondo me anche il politicamente corretto fa parte di questa etica di Stato. Per me ad esempio, almeno in Italiano, non c'è nulla di dispregiativo nel dire "negro" anziché "nero". "Nero" indica un colore, mentre "negro" indica un'etnia se non vogliamo più chiamarla "razza", che pure, se non si è razzisti, non racchiude in sé alcuna valenza dispregiativa per nessuno, perché con "razza", ci si riferiva anche a quella chiamata "bianca". Si può pure dire "nero", e dirlo con disprezzo, se si è razzisti. Nella lingua italiana, storicamente, suona più razzista dire: "l'africa è popolata per lo più dai neri", piuttosto che dire: "l'africa è popolata per lo più dai negri". Ma chi ha visibilità mediadica detta l'etica di Stato. Negro è stato coniato in forma di rispetto, per togliere la valenza emotiva negativa che ha nella nostra cultura il colore nero, colore del lutto, e usato per questo anche come colore aggressivo dai pirati e dalle "camice nere".
L'etica di Stato permette di nascondere la natura dei problemi, dando in contraccambio a chi vi aderisce, di fare sfoggio dei propri buoni sentimenti, veri o falsi che siano. Il buonismo - che è la bontà esteriorizzata, fatta abito da sfoggiare, costruzione di identità sociale - va a sostituire la bontà. L'importante è costruire la propria identità sociale, sia indossando determinati vestiti e possessedendo determinati oggetti, che con l'adesione a determinati clichés. D'altra parte gli individui sono suddivisi in categorie sociali. Non c'è spazio per il pensiero individuale. Io sono appunto infatti, un rifiuto sociale. E bestemmio per questo motivo, in questo modo, l'etica di Stato, dicendo che è tempo che le donne considerino le proprie responsabilità nell'edificazione di questa società cattiva e disumana, che copre la propria malvagità costruendosi una falsa coscienza.
Va anche preso in esame, che le sacerdotesse della Nuova Cibele - divinità subliminale del neoliberismo - che ricamano donne vittime di abusi ma mai colpevoli di nulla, possono essere un più persuasivo veicolo di messaggi anche socio-politici che non invitano mai al pensiero.
Hai visto simpatici cosa dicono? Che il 98% dei colpevoli di violenza carnale sono uomini. Vai! Perché la violenza carnale è l'unica forma di violenza possibile, e dunque la più completa innocenza delle donne è statisticamente dimostrata. Braviiii (applauso scrosciante). Dopo una mano di belletto, sono pronte per i messaggi mediatici. La democrazia oramai funziona in questo modo: il diritto di voto non te lo leva nessuno (anche se sotto il 4% o quant'è, non ha rappresentanza politica in parlamento, nessuna voce, nulla).
L'ideologia noeliberista
applicata al femminismo
Di fronte all'omicidio di Giulia Cecchettin, e al tipo di clamore che si è alzato intorno a questa vicenda, il mio pensiero va proprio a un vociferante falso femminismo che sciama all'intorno, falso come false sono quasi tutte le dottrine che serpeggiano in questo Stato.
Intendiamoci, io non faccio affermazioni su questo omicidio, le cui circostanze conosco solo per sentito dire, da parte poi di una stampa di cui ormai ho imparato a non fidarmi più di tanto. È una stampa che sì informa, ma vuole anche influenzare l'opinione pubblica, anche se poi i soggetti che messi insieme vanno a formare l'opinione pubblica, chiedono di essere influenzati allo scopo di costruire una propria identità sociale di successo o per lo meno accettabile. È così appunto che si costruisce quel soggetto sociale che prende il nome di opinione pubblica. Sono masse di individui che hanno un loro potere di pressione. È chi muove queste masse che detiene però il potere decisionale.
In realtà le decisioni devono essere sempre prese in funzione del sostegno al sistema economico, che non deve mai andare in recessione, onde evitare il crollo organizzativo, e dunque va mentenuto costantemente in crescita. Mantenerlo costantemente in crescita, vuol dire che la produzione di beni e servizi al suo interno, deve continuamente aumentare. Per riuscire in questa impresa, si vende anche identità sociale.
In realtà ciò che succede in questo sistema, è che con l'aumento globale della ricchezza, aumentano anche le differenze nella sua distribuzione. Questo vuol dire che nell'arricchimento globale, i più ricchi si arricchiscono in percentuale maggiore dei più poveri. Il che significa, per forza di cose, un aumento del loro potere decisionale, ovvero del loro controllo sulle masse, che nella loro ricerca di identità sociale, vengono asservite al sostegno del sistema. Sono masse di produttori, ma devono essere anche compratori. Producono e acquistano beni e servizi, e anche identità sociale, il modo in cui apparire e proporsi agli altri. L'essere cede il posto all'apparire nella vita sociale.
L'identità sociale è una componente psicologica che va a sostituirsi alla relazione autentica, dove, nella competizione generalizzata, vengono a cadere i presupposti per relazioni autentiche. Ognuno vive racchiuso nel proprio narcisismo, servendosi per quel che gli è possibile degli altri a cui, per via della socialità della natura umana, non può rinunciare.
Cosa vuol dire l'espressione "Vanità delle vanità" usata dall'Ecclesiaste? L'Ecclesiaste è colui che parla all'assemblea, come sta scritto "Ho creduto e per questo ho parlato". La sua autorità si chiama saggezza e riposa sulla fede. "Vanità delle vanità" vuol dire che le cose vane, quelle inutili, sono effettivamente vane, sono effettivamente inutili. Lui nel suo discorso vuole illustrare questo, e conclude che non c'è altro di importante nella vita, che obbedire alle leggi del Dio Creatore. Il fondamento della Legge del Creatore è appunto l'amore reciproco. Tutto il resto è vanità e inutile affanno. Ma noi viviviamo in un sistema che alla vanità ti trascina. È un sistema che, alla ricerca del benessere, ci spinge a condurre vite insensate. Per un essere umano è certamente meglio privarsi del pane che commettere un'ingiustizia. Capire questo è saggezza.
In tal modo, se io sostengo che è decisamente il caso che anche le donne considerino le proprie responsabilità, non è certo per odio nei loro confronti. È perchè non sono manipolativo e dunque non sono un adulatore. Sono tuttavia, questo onestamente lo devo ammettere, un rifiuto sociale, e dunque la via per il successo non la so indicare, ma porto invece fuori strada.
Ora, se io non pretendo che la mia esperienza personale, o l'esperienza di altri così come mi viene riportata, forniscano un preciso spaccato sociale. Tuttavia penso di potermi fare un'idea approssimativa di come vadano la cose, al di là di una descrizione mediatica che, considerando la mia esperienza, non riconosco come veritiera.
A me sembra che le donne intorno a me siano diventate nel corso degli anni, da quando ero ragazzino, sempre più maleducate, prepotenti e aggressive, e soprattutto false e manipolative. Della mia impressione si può non tener conto perché si può anche argomentare che se io sono, come io stesso sostengo, un rifiuto sociale, è perché sono rimasto ancorato a una mentalità patriarcale. Però io rifiuto ogni forma di violenza, e penso che manipolare gli altri, sia anche questa una forma di violenza, perché non c'è il riconoscimento dell'altro come persona. Così sono o non sono la stragrande maggioranza di queste donne, così manipolative come io sostengo? Se ci tengono, esse stesse si interroghino, e se si accorgono che in molti o alcuni casi, anche esse sbagliano, cerchino di correggersi. Non sarò certo io a far loro la guerra, perché il mio Signore è principe di pace.
Io penso che l'ideologia neoliberista applicata al femminismo, abbia prodotto il brulicare di queste donne insensate, che scimmiottano coi loro discorsi un certo tipo di femminismo in voga quando io ero giovane, ma senza essere capaci di analisi sociale.
Quella che segue potrebbe essere anch'essa un'osservazione insensata, ma forse anche no. È un'idea che mi sono fatto, da cose che mi raccontano ma anche guardandiomi intorno, che non solo aumentano sempre di più, gli uomini che si sentono andare verso l'omosessualità, ma che molti ragazzini che sognano una storia di amore, sognano di averla con un altro ragazzo, non con una ragazza. E il punto è che forse la loro prospettiva è più realistica di quella di coloro che ancora sperano di poter trovare l'amore nella relazione con una ragazza o con una donna. Non penso che in questo vi siano in motivi "patriarcali", ovvero la volontà frustrata di imporre la propria autorità maschile alle donne. Penso che questo risieda nella sostanziale incapacità ormai, da parte della grande maggioranza delle donne, di dare e ricevere amore. Ma semplicemente perché esse stesse reprimono l'amore in sé stesse. Non è una questione di libertà delle donne che si vuole negare, ma del fatto che molte di loro si sono fissate la regola, così almeno mi sembra, che amare un uomo sia per loro causa di debolezza. Vogliono essere amate senza ricambiare, e fanno di sé stesse maschere della commedia dell'arte. Mi sembra che cerchino di rendersi sessualmente attraenti, ma che distruggano in sé stesse i propri sentimenti. Anche il sesso in questo modo assume un valore strumentale, diventa mezzo di manipolazione.
Poi, se le cose non stanno nel modo che io ho descritto, meglio per loro. Però io, che personalmente non mi sento per niente attratto da una relazione omosessule, che anzi trovo per me emotivamente sgradevole, preferisco praticare l'astinenza. Lo faccioper evitare che una di queste donne finisca di distruggermi, proprio perché non sono rapporti sessuali quello che cerco da una donna, ma vorrei l'amore, e di averlo nella relazione con una di loro loro, non riesco più a sperarlo. Nessun problema per nessuno: una mia scelta. Ma se io ho ragione, qualcosa che non va, ci sta sicuramente, direi.
Non è che io affermo che la situazione che ho descritto giustifica la violenza sulle donne, perché se affermassi questo - dico per dire - dovrei uscire di casa con una mannaia e iniziare a menar fendenti a destra e a manca.
Però la seguente considerazione la faccio. Tu ti metti insieme ad una donna e ami questa donna che dice che lei ti ama, e poi di punto in bianco lei ti dice che con te si è stufata e si mette con un altro, uno con una più solida posizione sociale. (reso rozzo e schematico, anche brutale se vogliamo, ma tolti i frizzi e abbellimenti e ghirigori che intorbidano le acque, almeno per quel che mi riguada, sostanzialmente realistico). È chiaro per me che tu la debba lasciare andare, ma pensando pure che quella è una persona indegna, e che tu ci sei cascato come un pollo. Perché lei ha simulato di avere per te sentimenti che non aveva, allo scopo di vivere con te quella relazione che ha vissuto, senza in realtà stimarla per il suo valore. Da donna insensata si è vissuta la sua storia, come un tempo facevano gli uomini insensati. Ma magari donne di questo tipo ci sono sempre state come pure uomini di questo tipo continuano ad esserci. Ebbene questa donna vada pure, non vale nemmeno la pena di dirgli queste cose in faccia. Però allora aggiungo, che per poter lasciare andare una donna da gentiluomini in certe circostanze, occorre anche poter pensare che ci sono donne indegne, e non solo le povere vittime della violenza "patriarcale", o meglio, invece, sarebbe dire le vittime della violenza di uomini immaturi e violenti. Va reso chiaro che la cattiveria appartiene anche alle donne. Abbattiamo la statua di Cibele, la Mai Nata Grande Madre di tutti gli dei, nuovo idolo del neoliberismo.
Io dico che, uomo o donna che sia, chi venga cresciuto incapace di pensare che una persona che lo tratta in un modo abietto, sia una persona indegna di sé, viene cresciuto anche vulnerabile, e colpito nel più profondo di sé stesso, può avere delle reazioni che normalmente non gli sono proprie. E aggiungo che, se è incapace di valutare quella persona ignobile come tale, può essere incapace di sviluppare da quella persona il necessario distacco, e questo può sfociare anche in reazioni violente, per via dell'attaccamento a una persona che invece gli fa male. Certo, ribadisco, questa situazione non giustificale reazioni violente e certo denota parecchia immaturità affettiva, ma in alcuni casi può spiegarle meglio che evocare il patriarcato, che invece magari può essere una spiegazione per altri casi. I due casi vanno distinti perchè nel primo caso bisogna prendere delle contromisure differenti dal secondo. Queste possono essere di cercare di promuovere di impostare con maggiore chiarezza le relazioni, ma anche di acquisire una grande dose di autocontrollo in più, da parte di chi può anche avere ragione, ma se arriva ad ammazzare, dire che è passato al torto è alquanto un eufemismo.
Questo vale sempre per tutti, e cioè che sia che siamo adirati a torto, sia che lo siamo a ragione, quando proviamo ira ci dobbiamo controllare. Questo è comportarsi da persone civili. Ma c'è chi dice che essere civili fa ammalare. E questi trovano branchi di innumarevoli seguaci.
Tuttavia se io ripudio la violenza sulle donne come ogni altra forma di violenza, affermo anche che si è sviluppata una cultura del femminile che produce un errato modo di essere e di proporsi agli altri. È un modo di essere donna che appunto non è il risultato del femminismo, ma del neoliberismo applicato al femminismo. L'ideologia sociale neoliberista cancella la dimensione del collettivo e disegna una società formata da singole individualità in competizione le une con le altre. Non tiene conto che queste individualità si muovono in un'ambiente sociale. Non tiene conto che alla base di un'ambiente sociale vi deve essere la volontà degli individui di collaborare per il bene comune, che è cosa riconoscita, tra l'altro, anche dalla Costituzione Italiana.
Io penso che vadano evitati entrambi gli estremi. Si deve evitare di cancellare la dimensione dell'individuale; perché la dimensione collettiva non può essere imposta, ma si deve formare dalla volontà dei singoli individui. E si deve evitare di cancellare la dimensine del collettivo; perché nel cancellare questa dimensione non c'è reale possibilità di realizzarsi per un essere umano. Se si cancella la dimensione del collettivo, si crea un contesto sociale di aggressività e solitudine. E non è nemmeno efficiente, come si vorrebbe far credere, perché troppo conflittuale. Però qui si dice "La solidarietà favorisce gli oziosi. Bisogna competere". E tutti si adoperano perchè i più ricchi diventino ancora più ricchi, sacrificando alla loro ricchezza e conseguente potere, la propria stessa umanità.
La dottrina dell'individualismo assoluto, applicata a un movimento di rivendicazione di diritti, ha prodotto queste donne che hanno aderito alla fede - o in questa fede le più giovani ci sono cresciute - che bisogna anteporre la propria autorealizzazione ai propri sentimenti per non farsi sopraffare dal maschio padrone. E la realizzazzione di sè, viene fissata nel ruolo sociale. È una negazione dell'importanza che una relazione intima appagante ha per noi esseri umani, uomini e donne, allo scopo di poterci sentire realizzati. Ecco dunque una generazione di individui asserviti alla produzione. Coppie stabili, io intorno a me ne vedo poche.
E con queste mie ultime affermazioni ho rivelato alle sacerdotesse e ai sacerdoti della Nuova Cibele, quanto io sia "patrircacale". Dovrebbero mandare il camion della nettezza urbana a ritirarmi, perché credo ancora nell'amore eterno.
Quale idea
mi sono fatto sull'omicidio
Già se dico "quale idea mi sono fatto", è evidente che non ho la pretesa di aver capito come stanno esattamente le cose. Se però ci tengo a riferire quale idea mi sono fatto, è perché da ciò che scrivono gli stessi giornali che spiegano gli avvenimenti in un certo modo, mi sembra che non sia affatto dimostrato che il modo in cui spiegano gli avvenimenti sia corretto, e anzi mi appare piuttosto verosimile che la spiegazione debba essere un'altra.
A me il ragazzo che ha ucciso Giulia Cecchettin, sembra una persona squilibrata. Anche guardando la sua foto, mi dà questa impressione. A me sembra una storia di attaccamento morboso finito in tragedia. Chi lo sa? Può essere anche che se avesse incontrato una donna diversa - badate che non dico una donna migliore, ma soltanto una donna diversa - una donna adatta a lui, la tragedia non ci sarebbe mai stata e avrebbero vissuto insieme felici la loro vita.
Poco dopo che è stato ritrovato il corpo della povera ragazza, prima ancora che emergesse qualche elemento in più sull'omicidio, qualcuna di questi vip (cantanti, attori, personaggi dello spettacolo: tutta gente molto importante) ha dichiarato in rete quale fosse il movente dell'omicidio. Ha dichiarato che il movente era quello di voler privare della sua libertà quella ragazza, in quanto donna. E tutti sono partiti lancia in resta contro il mostro. Questo ragazzo è stato eretto a simbolo della violenza maschile contro le donne. Prima ancora del processo. Prima ancora che venissero formulati contro di lui i capi d'accusa.
A me pare più verosimile, che quando questo ragazzo ha percepito l'inevitabile distacco da lui, dell'oggetto del suo attaccamento morboso, questo oggetto si sia trasformato per lui in un oggetto persecutorio, così che lui, in parte voleva punire la ragazza che gli faceva del male e in parte la voleva trattenere. Io non sono uno psicanalista per dire questo, ma è una cosa che mi suggerisce la mia sensibilità. Non è che lui non amasse la ragazza, ma la sua l'incapacità di distaccarsi da questa persona che se ne stava andando, ha trasformato il suo amore in un legame con una persona che gli faceva del male abbandonandolo. Lui ha voluto impedirle di fargli ancora male, e forse per questo magari, pure nella follia che in lui si è scatenata, non avrebbe voluto ucciderla.
Anche il modo in cui è scappato è secondo me un sintomo di disorientamento. Dicono una fuga di mille chilometri. Ma dove mai poteva andare in Germania o dalla Germania. La cosa più logica, se avesse organizzato di fuggire, sarebbe stata di cercare una via di fuga verso la Croazia, di tentare di raggiungere un paese dove qualche lavoretto sottopagato in nero, anche senza documenti, avrebbe potuto trovarlo, per potersi mantenere in latitanza. Quel che voglio dire è che, a me, la sua sembra la fuga di uno che scappa senza sapere dove andare. Dicono che aveva fatto il pieno alla sua automobile. Un po' poco per organizzare una fuga in seguito a un omicidio che avrebbe premeditato. Ma anche il pensiero di organizzarsi una vita in latitanza, non mi sembra tanto sensato, per uno che non ha appoggi. Dunque anche questa lunga fuga senza meta mi pare segno di disorientamento.
Poi, voglio dire, questo ragazzo scappa, e si porta dietro per mille chilometri il coltello con cui avrebbe accoltellato venti volte la sua vittima e il nastro adesivo che avrebbe usato per tapparle la bocca. Per me, se è vero, emerge anche da questo quanto poco lucido potesse essere. Poniamo solo che se ne fosse sbarazzato in autostrada. Dove mai avrebbero potuto cercare? Sono tutti elementi che mi fanno pensare che questo ragazzo abbia agito perchè mosso da un ira regressiva, trascinato ad una fase precoce del suo sviluppo psichico, ad una fase infantile. Ripeto ancora che non sono uno psicanalista per poterlo affermare, ma che è la mia sensibilità che me lo suggerisce.
Poi io mi chiedo come si fa a ritenere che il legame affettivo sia un'aggravante per questo omicidio. Sarebbe un'aggravante se ad esempio il movente fosse stato quello di impossessarsi di una grande somme di danaro che appartenava alla vittima. In questo caso invece, il legame affettivo fa parte del movente. È il legame affettivo contrastato che porta all'omicidio. Si può e si deve dire che un legame di questo tipo non è sano, ma non si può considerare aggravante. Non può nemmeno essere identificato come possessività, ma piuttosto sembra essere sgomento per il fatto di sentirsi abbandonato. Possessività è se si vuole cercare di stabilire un controllo pervasivo. Qui invece sembra che agisca la paura di perdere il legame, ma più ancora il sentimento disperato che la perdita sia inevitabile. Se la disperazione di aver perso il legame è il movente, non può essere un'aggravante ma una situazione di infermità mentale.
Il punto è che se si da scontato che il ragazzo abbia ucciso per un retaggio patrircale, il resto viene da sé.
Si vede chiaramente che quando ci sono i vip che hanno capito tutto e pensano per tutti, la situazioni sono chiare e si opera secondo giustizia, in modo che gli indignati abbiano soddisfazione. Così si diceva quando si sfidava a duello "Signore, chiedo soddisfazione". La presente situazione ha proprio tutto l'aspetto di un retaggio patriarcale.
Mi sembra assurdo che una tragedia dell'infermità mentale, debba essere presa a simbolo della violenza degli uomini sulle donne, come hanno avallato quei vip maschi, che hanno dichiarato di vergognarsi di essere uomini.
Inoltre, sollevare uno scandalo del genere, non mi pare un modo idoneo di procedere da un punto di vista giuridico. E anche disumano mi sembra l'impatto psicologico devastante che si può produrre su una persona che, impazzita, si sente posta sotto accusa non solo per l'episodio di sangue di cui si è resa protagonista, ma per tutta la violenza che subiscono le donne.
Mi sarebbe sembrato più prudente aspettare che si facesse maggiore chiarezza sugli avvenimenti, prima di lanciarsi alla carica contro lo spettro del patriarcato, e di coloro che da questo spirito si fanno possedere, che è cosa che riporta alla grcia antica. Per come la vedo io, questo è quanto successo a livello mediatico, depennando tuttavia i nomi dei mostri mitologici e degli dei, che venivano chiamati in causa nei tempi antichi. I vip d'altra parte sono i nuovi "eroi" nel senso antico.
Vorrei concludere con l'osservazione che mi sembra strano che una persona colpita con venti coltellate riesca a correre. Dico che se le coltellate sono state inflitte prima dell'ultimo percorso in macchina, e la vittima ha poi tentato la fuga correndo, non doveva aver perso molto sangue per queste coltellate, che dunque non dovevano essere state inflitte per provocare la morte. La morte si sarebbe verificata dopo che il suo inseguitore l'avrebbe raggiunta scaraventandola a terra, e sarebbe avvenuta dopo che la vittima avrebbe sbattuto la testa. Orribile per quanto comunque possa essere, a me sembra pittosto che l'omicida la stesse torturando per costringerla a rimanere insieme a lui, e che la morte sia avvenuta in modo accidentale. Se così fosse, non ci sarebbe stata volontà di uccidere, ma grave infermità di mente. Di fronte ai miei occhi emerge proprio questa condizione di infermità mentale, certamente pericolosa, ma comunque infermità mentale.
Pubblico infine un'intervista al padre dell'omicida
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