martedì 4 febbraio 2025

La sorgente

The source
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars



La sorgente

Chiaro mi appare che senza verità

Nemmeno possa esservi giustizia,

Come anche mi appare manifesto

Che solo la giustizia

Che dalla verità procede

Possa fondar la pace,

Così che dunque debba

L'amore regnare tra quanti

Accettano di vivere secondo

Verità e giustizia.

E per questo anche mi è chiaro 

Che dalla verità viene l'amore,

Perché dall'amore è dove

La stessa verità proviene.

                                                            Maurizio Proietti iopropars


Il medioevo digitale

A Ponzio Pilato che gli chiede "Sei tu dunque re?", il Cristo risponde che è per testimoniare la Verità che lui è venuto al mondo. Pilato replica "Cosa è verità?". Pilato che accetta di condannare a morte un innocente sapendolo innocente, sacrificando la giustizia all'opportunità politica, risponde appunto chiedendo cosa sia la verità, sottintendendo che alla sua domanda non vi sia risposta. 

Gli antichi romani che iniziarono a combattere le loro guerre in nome del diritto, divennero amministratori del diritto, e si facevano pagare un tributo per portare la loro pace, la pace romana fondata sul diritto. Divennero dunque amministratori mercenari di giustizia, e furono più interessati al dominio sopra i territori che occupavano, e da cui ricevevano i tributi, che all'esercizio del diritto. Da questo io dico, risale il motivo della loro decadenza.

In Ponzio Pilato si verifica quanto il Cristo aveva affermato nel corso della sua predicazione: "Chi è mercenario e chi non è pastore, fugge quando vede arrivare il lupo. Il buon pastore dà la sua vita per le proprie pecore. Io sono il Buon Pastore". È in questo modo che a Pilato che gli chiede se è egli re, lui risponde "Io testimonio la verità, per questo sono venuto al mondo". Egli si dichiara in questo modo Re di Giustizia e Re di Pace. Lui la cui condanna a morte avevano voluto i Farisei che lui aveva denunciato per aver piegato l'amministrazione della Legge Mosaica al proprio tornaconto personale.

Io sostengo che poi, successivamente, anche il cristianesimo è stato asservito alla politica. 

Io da ragazzo avevo lasciato la mia fede, perché da una parte vedevo un Cristo che diceva "Rinfodera la spada Pietro. Il mio Regno non è di questo mondo", e dall'altra vedevo quello che veniva considerato successore di Pietro, che dichiarava guerra agli infedeli indicendo le Crociate.

Poi più tardi, quando già ero ritornato alla mia fede per mezzo della lettura diretta dei Vangeli, Papa Giovanni Paolo II chiese perdono a Dio per gli errori commessi nel passato.

Ciò che non mi convise è che lui non elencò gli errori, così che io pensai che non si può chiedere perdono per i propri errori senza correggerli. 

Infatti, Bernardo da Chiaravalle, teorico delle Crociate ed egli stesso banditore della seconda Crociata, viene non solo ancora venerato come santo, ma è considerato ancora Dottore della Chiesa. Ora lui ha elaborato il simbolo cosiddetto delle "due spade", la spada spirituale della Chiesa, e la spada temporale che è esercitata dall'autorità politica, ma che deve essere sottoposta a quella spirituale. Ma io sostengo che tra di esse, a separarle, vi è il Cristo Gesù che ha detto "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio",  e anche "Il mio regno non è di questo mondo".

D'altra parte, questi "difensori dell'ortodossia cristiana", perché non si opponevano a gran voce al fatto che gli eretici fossero uccisi o addirittura bruciati vivi? Perché non si stracciavano le vesti dicendo che in questo non vi è nulla di cristiano? E sono venerati come santi.

Io ero e sono rimasto convinto che non c'è nulla di più anticristiano che infliggere supplizi e morte in nome del cristianesimo, nella pratica come nella teoria. Non c'è niente più eretico di questo da un punto di vista cristiano.

Come si può parlare di "Dottori della Chiesa" che consideravano eretico il non riconoscere il potere temporale dei Papi?

È per questo, per non tradire la mia fede, che non mi sottometto ad alcuna autorità religiosa, perché della mia fede mi sento responsabile personalmente di fronte a Dio, a cui non potrò raccontare che questo e quello ho fatto sapendo di sbagliare, per dare retta ai personaggi ufficialmente accreditati. 

Questo dico, che i cristiani non dovrebbero avere bisogno di sottomettersi ad alcuna autorità religiosa ma solo a Dio, perché proprio per mezzo della sottomissione a Dio, viene loro la coesione che si fonda sul riconoscimento delle stesse verità di fede. Così sta scritto infatti, che nessuno può riconoscere il Cristo Gesù come Signore, se non ad opera dello Spirito Santo.

Il cristiano dovrebbe essere colui che riconosce le verità di fede, perché accetta la testimonianza dello Spirito Santo, e non quella di un'autorità religiosa che è stata eletta a maggioranza o a furor di popolo. 

Se ammettessi che anche il fatto di credere nel Papa venga al cristiano dalla testimonianza dello Spirito Santo, dovrei poi ammettere che solo di questo lo Spirito Santo rende al cristiano testimonianza, se è vero ciò che implica il credere nel Papa, ovvero che il cristiano debba ricevere dalla Chiesa le "altre" verità di fede. Però il Cristo nostro Maestro ci ha ammonito che lui solo è il nostro Maestro e noi tutti fratelli.

Io respingo senza dubbio il fatto che avendo creduto in Gesù, dovrei passare dal credere in Gesù al credere nel Papa. O anche smettere di adorare l'Onnipotente per adorare la Vergine Maria, sua creatura. O adorarla in eugual modo, o comunque accostarla all'Altissimo. Chi
metterò nella mia fede insieme al mio Creatore, se non Dio stesso?

Preferisco essere isolato e guardato con commiserazione mista a diffidenza, da cattolici e protestanti in egual misura, perché nella mia esperienza, pare che ormai per i protestanti, la cosa davvero più importante, sia che uno ripeta il battesimo e lo faccia "secondo il giusto rituale", che una cosa più farisaica di questa mi riesce difficile immaginarla.

Mi viene da pensare che forse il battesimo funziona a questo punto, piuttosto come una tessera di partito.

Tuttavia, se nemmeno per le congregazioni protestanti a cui mi sono rivolto, io mi dovrei poter considerare cristiano ma, più correttamente, uno che vorrebbe avvicinarsi al cristianesimo, a me invece viene di pensare che io dopotutto, in realtà sono un "riformato", se solo mi soffermo sul fatto che a me non sembra bene credere che per ottenere una grazia si debba andare a Lourdes, perché il Cristo ribadisce con forza che il miracolo viene unicamente dalla fede (cfr. Luca 7: 1-10. "...non son degno...ma comanda anche con una sola parola...").

Non vi era alla base della riforma il primato della fede? Ma poi non è sopravvisuta la riforma appoggiandosi alla politica?

È Dio che fa il miracolo. Nel suo amore dobbiamo credere senza dubitare. Io è questo che nel Vangelo leggo. In questo ritrovo l'essenza più profonda del cristianesimo. Questa è la Buona Notizia: Dio ci ama.

Che si creda che Dio ci ama, non può essere imposto con la spada, o comunque con la politica.

Non si può convincere nessuno dell'amore di Dio, torturando ed uccidendo chi non vi ripone fede. E allora, ripeto, perché volendo correggere alcuni errori dottrinali, quei teologi che si sono trovati coinvolti in quelle situazioni in cui proprio questo si faceva, non hanno prima cercato di correggere questo travisamento fondamentale? Però a me è stato pure risposto che le mie erano elucubrazioni di un pazzo che niente avevano a che fare con la fede.

Mi hanno detto che non potevo cancellare con un colpo di spugna secoli di storia, e io ho preferito allora lasciare la mia fede, per incamminarmi alla ricerca della verità. 

Questo tuttavia ha affermato quello che io considero un mio amico del passato, di quelli che ho conosciuto solo tramite i loro scritti ma che però ho amato, Friedrich Nietzsche, "La mia verità è terrificante, perché viene dopo secoli di menzogne". Eppure forse lui, profondo filologo, cosa fosse il cristianesimo, non ha potuto capirlo. Però io dico, "sia pace all'anima sua".

Così sta pure scritto "Come crederanno se non c'è nessuno che predichi? Come sono belli i piedi di coloro che annunciano la pace!".

Non si può accettare che la virtù sia piegata ad interessi che le sono estranei. Questo fanno i commedianti di cui parla Nietzsche. Donde il suo monito "Solo te stesso segui". Da cui, "Quando tutti mi avrete abbandonato, sarò di nuovo tra voi".

Poi uno riguardo a Gesù potrebbe dire, "Va be' di cose quello ne diceva tante... Non è che puoi dare retta a tutto quello che diceva... Serve pure un po' di senso pratico per mandare avanti la baracca.". Come non lo potrebbe dire? Almeno sarebbe coerente con quello che fa. Ma non mi venga a dire che io non mi posso considerare cristiano. Chi afferma questo sia giudicato da Dio.

Certamente poi, che io credo anche nella Chiesa. Io credo nella Chiesa dei veri credenti, divisi nelle varie confessioni. Ma chi è che divide i credenti? Io esorto dunque tutti i credenti, non ad abbandonare le loro confessioni, ma essere ecumenici. Io che di ecumenismo, al di là delle belle parole con cui adornarsi, ne ho incontrato tanto poco, da riempirmi di amarezza.

Io affermo che è proprio dal protendersi dell'animo dei cristiani verso l'ecumenismo, dal loro protendersi verso il confronto, pur restando saldi nella fede, che giunge la comprensione della giusta dottrina. Infatti questo è ciò che dice il Maestro, "Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri" (Giovanni cap. 13 verso 35).

Poi chi viene da lunghi, interminabili studi, potrebbe dichiarare con fondata certezza, che il cristianesimo è tutt'altra cosa, molto più complicata di questo. Così sta scritto infatti, "Dove è il sapiente? Dove è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo?" (Prima lettera ai Corinzi cap. 1)

Ciò su cui ritorno, dopo aver illustrato come penso che il cristianesimo sia stato asservito alla politica, è che colui che diceva che il suo Regno non era di questo mondo, è stato condannato a morte tramite un supplizio, per motivi politici. Questa circostanza mostra chiaramente come l'autorità politica ingiustamente detenuta tramite la menzogna e l'ipocrisia, sia destinata ad entrare in conflitto con la crescita personale degli individui. 

Questo succede perché la crescita personale di ciascuno necessita di restare nella verità. Ma poi anche nella giustizia, proprio perché la crescita personale autentica, è crescita nelle relazioni umane. Lo sviluppo umano è miglioramento nel modo di stare in relazione con gli altri.

La crescita personale è crescita del nostro modo di relazionarci agli altri.

Il fatto che chi si propone di migliorare sé stesso, entri in conflitto con la società in cui vive, è a mio avviso e nella mia esperienza, vero anche nella società attuale italiana ed europea, e in generale occidentale; anche se non dico che gli altri, i non occidentali, siano "i buoni". Dico che è vera in tutto il mondo, ed è vera anche qui da noi, nel preteso giardino dei diritti, che è però di cartapesta.

Io dico che da un abnorme divario nella distribuzione delle ricchezze, nelle società occidentali viene una pressione sugli individui verso l'alienazione da sé stessi, fino a far perdere il senso di vivere in una comunità civile.

Da una parte si prospetta una mobilità di classe che metterebbe tutti sullo stesso piano, e dall'altra vi è un'istigazione da parte del contesto organizzativo, verso una competizione eccessivamente sfrenata, e in realtà funzionale principalmente al mantenimento di un altrettanto eccessivo divario nella distribuzione del reddito.

Riguardo alla pressione verso la competizione eccessiva, si pensi ad esempio al fatto che si tengono persino le "Olimpiadi internazionali di Filosofia", a cui recentemente mi sembra che che sia stato cambiato il nome in "Campionati di Filosofia", che sono patrocinati dall'UNESCO. Così che per promuovere la filosofia, si stravolge la sua essenza, poiché la filosofia è un aspetto della cultura umana, in cui ogni forma di competizione dovrebbe essere assente, perché appunto, Socraticamente, dovrebbe basarsi sul dialogo e sul confronto. Dovrebbe essere un contesto in cui non ci sono né vincitori né vinti, ma un procedere insieme verso la sapienza.

Mi trovo a pensare per questa situazione, che la cultura filosofica deve essere caduta nelle mani dei sofisti, che educano le masse all'ignoranza. 

Dopotutto i sofisti nell'antica Grecia, erano coloro che asservivano la sapienza alla politica, trasformando questa in demagogia.

Io affermo con forza che non deve avere nessuna importanza tra filosofi, sapere chi di loro sia il migliore, ma solo che la verità sia disvelata. Questo è vero amore per la sapienza. E vi saranno ceste ricolme di filosofi accreditati come tali perché gli uni con altri si tributano riconoscimenti e meriti, pronti a dichiarare che io non posso essere considerato un filosofo, io che non cerco di avere credito, ma dialogo con chi è ugualmente interessato come me, al miglioramento di sé stesso, e cerca dunque ausilio nella riflessione.

Chi è più avanti può certamente aiutare chi è più indietro, ma colui che autenticamente cerca la sapienza, saprà certamente riconoscere il buon consiglio, senza che sia da altri accreditata la sua fonte.

Io questo affermo, che non è solo una verità cristiana, ma che appartiene alla natura umana, che a fondamento della sapienza vi sia la disposizione al confronto.

Ma si pensi, riguardo all'ideologia della competizione allo spasimo, anche al concetto di Stato Azienda, che di tutti gli aspetti della vita sociale, riconosce solo quello produttivo.

Lo Stato non può essere un'azienda, ma un insieme di strutture organizzative e di regole di convivenza che una collettività solidale si dà, allo scopo di gestire la vita sociale degli individui che appartengono a questa collettività; ma sarebbe meglio dire "che a questa collettività partecipano". In questo senso era stata formulata la Costituzione Italiana, in cui si dice che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione.

Io dico che però in realtà lo Stato è effettivamente un'azienda, nel senso che c'è un divario così elevato nella distribuzione della ricchezza, da vanificare che una qualsiasi forma di organizzazione sociale riesca a garantire l'effettivo esercizio della democrazia, e fa sì invece che il potere sia in realtà detenuto da quella ristretta minoranza che detiene la grande maggioranza della ricchezza globale.

Ora perché la Costituzione Italiana potesse essere promulgata, è stata combattuta una guerra di liberazione, e io non penso che perché una maggiore giustizia sociale possa essere ottenuta, si debba combattere una nuova guerra di liberazione; cioè che occorra, in altri termini, un'insurrezione armata contro lo Stato. Penso che invece sia proprio tramite l'analisi e la diffusione delle verità sociali, che le classi più svantaggiate possano raggiungere, non tanto il riconoscimento, ma l'attuazione dei propri diritti.

Io dico che viviamo in un'epoca storica in cui i diritti sono riconosciuti ma non attuati, e che per questo la più efficace arma politica di liberazione consiste appunto nella verità.

Proprio riguardo al fatto che vi sia effettiva libertà di espressione in Italia e in Europa tuttavia, io nutro grandi perplessità. Lo stesso divario nella distribuzione della ricchezza, pone limiti all'esercizio della libertà di espressione. C'è da capire fino a che punto arrivano questi limiti, ma a me sembra che con il passare degli anni questi limiti si sono andati accrescendo, e che le possibilità effettive di espressione siano sempre più ristrette.

La libertà di parola e di espressione è certamente riconosciuta, ma sempre di più mi sembra diminuire la possibiltà di poterla effettivamente esercitare. 

Mi sembra che il fatto che in altri paesi vi sia una censura anche violenta del dissenso che da noi non sembra esservi, sia più legato al fatto che per esercitare un controllo sull'informazione, in questi paesi, coloro che detengono il potere politico, abbiano a disposizione meno mezzi economici che permettano loro di gestire organizzativamente l'informazione. A me sembra che invece qui da noi, la ricchezza sproporzionata dei più ricchi, renda possibile a chi detiene il potere economico in tale misura, oltre alla gestione di fatto del potere politico, anche di controllare organizzativamente l'informazione, senza nemmeno il bisogno di esercitare forme di censura. Non c'è bisogno di censurare chi potrebbe dire cose scomode, perché per come l'informazione è organizzata, molto difficilmente questi trova possibilità di rivolgersi a un auditorio.

La disinformazione è poi sostenuta da una pressione verso un mascherato degrado culturale. A me personalmente capita di incontrare giovani sempre più poveri di strumenti critici, che si affidano ai giudizi dei cosiddetti "esperti", più che altro con il desiderio di non fare brutta figura. Mi sembra di assistere a un generale decadimento del pensiero razionale. Cosa sia verità, questi davvero non lo sanno.

Tipo:

D.- Ma non sei capace di capire se un ragionamento fila?

R.- Sì, ma bisogna vedere un esperto che ne pensa.

"Ipse dixit", dove gli "Ipse" si sono moltiplicati e hanno proliferato alquanto, per adeguarsi forse all'incremento demografico. Ce n'è per tutti i gusti: mirtillo, fragola, banana, pistacchio, crema, cioccolato... Purché, per favore, si eviti di pensare con la propria testa; come una volta sugli autobus recitava il cartello, "Vietato sputare".  

Il problema è anche che in occidente, il divario nella distribuzione della ricchezza è tale, che mi sembra poco ragionevole pensare che questo divario sia causato dal fatto che i più ricchi contribuiscono in proporzione altrettanto grande alla produzione della ricchezza globale.

La mia sensazione è di vivere in una specie di feudalesimo finanziario piuttosto che in una democrazia. Un feudalesimo basato, ancora una volta, sulla menzogna e sull'ipocrisia.

Dal potere dello Stato Italiano, vorrei tanto potermi liberare; da questa situazione in cui non conto niente, e sono annullato come persona umana. Da questa sedicente democrazia che ti include, ma a cui è così difficile poter partecipare, in cui sì potrei votare, ma non, trovare chi mi rappresenti.

                                                        Maurizio Proietti iopropars


Il mio esistenzialismo

Io prospetto una teoria della conoscenza legata all'etica, e da cui scaturisce una politica.

Per approfondire il concetto di teoria della conoscenza legata all'etica, porto l'esempio che segue: 
Si può continuare la ricerca medica abbandonando la concezione etica che è stata associata allo sviluppo della scienza medica? La mia risposta è no, perché in questo modo si viene a perdere la cognizione dell'oggetto della propria ricerca scientifica. Nella mia concezione, la bioetica è sinergica alla ricerca scientifica.

Riguardo alla politica, credo che se il Cristo dice "Il mio Regno non è di questo mondo", questo non significa che il cristiano non debba occuparsi di politica, ma che non debba imporre il cristianesimo per mezzo della politica.

Io sono dunque per una società laica, ovvero aconfessionale, in cui la vita collettiva si organizza attraverso il confronto. Il cristiano, anziché imporre la propria fede, deve piuttosto dare esempio di integrità, anche nella vita politica.

                                                           Maurizio Proietti iopropars

mercoledì 22 gennaio 2025

Una contraddizione apparente

Bursting into life
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars

 


Una contraddizione apparente

(breve saggio esistenzialista)


Per introdurre il presente discorso, dico che sono sicuro che non a tutti è dato di capire la circostanza che andrò ad esporre, e che tuttavia si tratta di una circostanza reale. Riguardo a coloro che non riescono a coglierla, mi sento di affermare che vi possono essere due motivi. Il primo è che queste persone non ricercano la saggezza, e questa è una scelta che ognuno è libero di fare; l'altro è che non sono ancora abbastanza avanti nel percorso verso la saggezza, e  questa è una situazione in cui per una parte del percorso, si viene a trovare chiunque intraprenda un qualsiasi percorso. 

La circostanza di cui parlo pone una contraddizione apparente nella natura dell'operare umano. 

Tale circostanza, è che per operare saggiamente, l'essere umano deve intendere, che per quanto egli debba impegnarsi a conseguire gli obiettivi che egli si prefigge, non è tanto importante il conseguimento di quegli obbiettivi, quanto la tensione verso di essi, ovvero che si proceda nel modo migliore per poterli conseguire. La meta, o l'obiettivo, in questo modo viene ad essere importante perché richiede l'impegno, ma al tempo stesso non importante, perché la realizzazione di sé stessi viene dall'impegno, e non del conseguimento di ciò per cui ci si impegna.

La contraddizione si acuisce per il fatto che la meta che ci si prefigge deve essere sensata, ovvero deve avere uno scopo ritenuto valido; se vogliamo, deve migliorare in qualche modo la condizione di chi quella meta si prefigge. E tuttavia per lui non ha importanza che quella meta sia raggiunta, quanto piuttosto che vi si proceda nel modo più adeguato. Ciò che importa per l'essere umano è di perseguire nel modo più adeguato gli obbiettivi sensati che egli si prefigge, non che gli obbiettivi vengano raggiunti.

L'apparente paradosso è mitigato dal fatto che l'azione, per essere efficacie, va sempre adeguata all'obiettivo, e che per quanto si possa fallire nel raggiungerlo, perseverando nel tentativo, non si mancherà di riuscirci; a patto che continuino a sussistere le condizioni che lo rendono possibile, perché appunto non ha senso perseguire un obiettivo irraggiungibile.

La prospettiva che ho appena esposto offre però anche una visuale in cui il paradosso già si manifesta come condizione solo apparente. Infatti in questo modo possiamo vedere che il conseguimento dello scopo può essere emotivamente già presente nell' azione volta a conseguirlo. È quello che si dice quando si dice che perché il nostro operare sia efficace, bisogna credere in ciò che si fa. Ma è anche quello che è portato avanti nella filosofia Zen, quando avvisa di stare nel presente, che non vuole dire perdere di vista i propri scopi, ma che essi siano uno con l'azione volta a conseguirli.

La circostanza da me posta come condizione di saggezza, effettivamente non è contraddittoria come appare, perché ci parla in qualche modo della natura umana. È come se l'essere umano debba essere al servizio di sé stesso, rimanendo distaccato da sé stesso. L'essere umano nei confronti di sé stesso non deve avere attaccamento. Questo è ciò che io penso della natura umana.

D'altra parte la filosofia Buddista, di cui lo Zen è uno sviluppo, indica appunto la via della realizzazione di sé nella rinuncia al desiderio. Ma anche il cristianesimo dice di non concupire, e cioè non desiderare con brama, e di rimettersi alla volontà di Dio.

Ma non è che queste religioni, che sono anche filosofie di vita, non indichino atteggiamenti che non siano presenti in altre filosofie di vita presso vari popoli.

Anche presso gli antichi romani vi era una filosofia di vita che era un modo di essere romani; se vogliamo, un' etica che distingueva l'essere romano dall' appartenere ad altri popoli. Presso di loro era di fondamentale importanza il modo in cui si affrontava la morte. Io credo che questo fosse proprio perché il modo in cui si affrontava la morte era visto come prova di distacco da sé stessi.

Io credo che sia questo distacco da sé stessi, ciò che distingue gli esseri umani dal resto degli animali, e mi sembra che anche per gli antichi romani dovesse essere così. Infatti Sallustio nella sua narrazione storica della Congiura di Catilina, dà conto delle proprie motivazioni ad affrontare il lavoro di storico che si era prefissato, nella necessità per gli esseri umani di elevarsi al di sopra degli altri animali, ovvero non di non vivere da schiavi delle proprie passioni.

Io, al contrario dei vegani, sono decisamente specista, e cioè credo che la specie umana sia superiore a qualsiasi altra specie animale, e che ogni essere umano non debba mai dimenticarsene e che debba sempre comportarsi di conseguenza. 

Tuttavia, se io richiamo alla nobiltà dell'essere umano, ricordo anche "noblesse oblige". 

Con questo voglio dire, ad esempio, che bisogna comunque ricordare che c'è una differenza abissale tra un animale e un macchinario industriale. Dico che poter disporre della natura non significa poterla distruggere. Agricoltura e allevamento dovrebbero per come io la vedo, essere un prendersi cura di parte dell'ambiente naturale, e utilizzarlo anche per i propri scopi e sostentamento.

D'altra parte, quale sarebbe dovuto essere il compito dei nobili, se non quello di richiamare alla nobiltà il popolo? Intendo, anziché quello troppo frainteso di godere di ingiusti privilegi... Richiamare alla nobiltà il popolo da parte del Senato, è proprio il modo in cui avrebbero dovuto procedere le cose nell'antica Roma, e il modo in cui invece non sono andate.

Ricordare che l'essere umano è superiore alle altre specie animali, è a mio avviso una consapevolezza che doveva essere ben presente presso i nostri preistorici progenitori. Uscire da questa consapevolezza significava e significa, andare verso l'abbrutimento, come restarvi significava e significa continuare nel progresso civile. Io penso che dovesse essere questo originariamente il motivo che richiamava gli antichi romani ad essere fedeli ai costumi degli antenati. Poi però, anche questa fedeltà ha potuto essere fraintesa come opposizione ad ogni forma di cambiamento.

A me non sembra che vi sia nulla di antiscientifico nel supporre che l'intelligenza umana sia qualcosa di qualitativamente, e non solo quantitativamente, superiore a quella di qualsiasi altro animale. Io dico che è vero che noi esseri umani siamo animali, ma è vero che siamo anche qualcosa di diverso da loro e di cui nell'ambiente naturale non vi è nulla di uguale. Non è antiscientifico supporlo semplicemente perché è possibile. 

Non è antiscientifico supporlo, anche se bisogna dimostrarlo. Ma è certamente antiscientifico negarlo a priori. Anche per poter affermare il contrario bisogna dare una dimostrazione; per quanto anche supporre il contrario non sia antiscientifico, fino a prova contraria.

Tuttavia non ci farebbe orrore chi dovendo salvare la vita, supponiamo da un incendio, a un gruppo di esseri umani e di animali che stessero nello stesso posto, ponesse le loro vite sullo stesso piano? Io penso che ci sembrerebbe un mostro da un punto di vista morale, oppure completamente pazzo. Ve lo immaginate il tipo? "Visto che avevo tratto in salvo già tre esseri umani, piuttosto che trarre in salvo il quarto, ho preferito salvare almeno uno dei cani...".

Che gli esseri umani siano superiori agli altri animali, è senza dubbio ciò che nel concreto tutti gli esseri umani sentono. Gli esseri umani sentono nel concreto, che come non è possibile porre sullo stesso piano, da un punto di vista etico, un animale e una pianta, non è nemmeno possibile, da un punto di vista etico, mettere sullo stesso piano un essere umano e un animale. 

Mi vengono in mente ora i discorsi di alcune persone che conosco, che dicono che anche gli animali comunicano, che sono capaci di esercitare solidarietà e via discorrendo, e dicono che sembra anche che i delfini per comunicare usino una specie di linguaggio, e via di questo passo. Il punto è che io sono perfettamente d'accordo con questi discorsi. Io però aggiungo che il linguaggio umano è di natura differente, perché la mente dell'essere umano è di natura differente. E anche l'amore umano è differente, per quanto io non ho dubbi che l'amore esiste anche nel regno animale.

Io penso invece che l'amore governi la vita, e che nell'essere umano la vita raggiunge il suo massimo sviluppo, producendo qualcosa che si distingue per natura, da tutti gli altri esseri viventi.

Noi esseri umani per mezzo del linguaggio, evochiamo la presenza di ciò che è assente. È questo che ci permette, attraverso il linguaggio, di descrivere il mondo in cui viviamo e che ci ha prodotto, e di narrare ad altri esseri umani le nostre esperienze. Noi esseri umani siamo in grado di raccontare la nostra storia. Questo è ciò che fa appunto anche Sallustio quando parla della Congiura di Catilina, producendo un'opera che a secoli di distanza dalla sua morte, è ancora in grado di offrirci insegnamenti, e soprattutto di farci capire il nostro passato. Io non ho dubbi che rispetto al linguaggio dei delfini, questo sia "altra roba".

Se dunque c'è distinzione tra un essere umano e qualsiasi altro animale, noi esseri umani siamo anche chiamati a realizzare in noi stessi la nostra condizione umana. Io sostengo che un elemento essenziale di questa condizione sia appunto quel distacco da sé stessi di cui parlo. La realizzazione di questo distacco, ci fa provare per un altro essere umano ammirazione, perché vediamo in lui realizzata appieno la nostra condizione, a cui aspira la parte più intima di noi stessi, il nostro "cuore", che ci chiama a realizzarla.

Io affermo che nella natura umana sussiste il fatto, che gli esseri umani si sentano chiamati a realizzare in sé stessi la propria umana natura; anche se tuttavia la risposta a questa chiamata, kantianamente, può essere disattesa.

Il realizzarsi in qualcuno, della più autentica condizione umana, se provoca ammirazione nelle persone rette, provoca invece l'invidia dei vili, che avendo degradato sé stessi ad essere schiavi delle proprie passioni, vogliono negare che vi sia qualcosa di nobile alla quale aspirare, e per questo odiano i giusti senza averne motivo.

Io, considerando il sacrificio di Isacco, del figlio della promessa, il sacrificio che Dio chiede ad Abramo, ritrovo proprio una spinta verso il  distacco. Abramo può avere Isacco dopo aver saputo rinunciare a lui, accettando di essere egli stesso artefice della sua morte. Abramo può rinunciare alla sua massima aspirazione in nome del suo amore per qualcosa di più grande, per amore del suo Dio che egli ama con tutte le sue forze, ovvero anche al di sopra di sé stesso. Mai Abramo avrebbe potuto accettare di sacrificare Isacco, se egli stesso non fosse stato disposto a morire, e la sua vita non fosse stata completamente al servizio di Dio.

Io però di questa situazione ne ravviso lo sviluppo nel Cristianesimo. Dico che Dio nel suo amore non avrebbe chiesto ad Abramo un sacrificio che Abramo, pure accettandolo nella sua volontà, non era pronto ad affrontare. Questo è il sacrificio che invece affronta il Cristo Gesù, mio Signore e Maestro.

Io, come cristiano, mi sento di affermare che non c'è di fatto distinzione tra la fede e l'amore verso Dio. Cristianamente, è proprio l'amore verso Dio, che ci permette di non dubitare nella nostra fede. Così che è appunto scritto che il giusto vivrà per fede.

Al di là della fede tuttavia, questo anche affermo, per esercitare la giustizia, occorre esercitare distacco da sé stessi. Ma anche per esercitare misericordia occorre esercitare distacco da sé stessi. Così vediamo che il distacco da sé stessi è ciò che fonda ogni virtù morale.

Questo ci insegna il Cristo Gesù, che di amare Dio con tutte le proprie forze è il primo dei comandamenti, e che il secondo che da questo discende è di amare il prossimo come sé stessi. Amarlo come sé stessi: questo è il comandamento.

Ora, a parte le molte guerre, cosa hanno dato gli antichi romani al mondo? Gli antichi romani hanno fondato la civiltà del diritto.

A questo punto non c'è da stupirsi che molti tra gli antichi romani aderissero allo Stoicismo, perché presentava una sistematizzazione di tendenze già presenti nelle loro tradizioni.

Anche l'Epicureismo tuttavia propone un distacco dalle passioni. Andiamo però ad analizzare il celebre esempio dell'Atarassia nell'Epicureismo. Guardare in lontananza un uomo che sta affogando, non poter fare nulla per aiutarlo e goderne, non come sentimento verso quel poveretto, ma verso sé stessi per essere fuori da quella situazione. Che il principio sia fallace è a mio avviso evidente. È fallace perché isola l'individuo dalla relazione con l'altro che sta affogando.

Io sostengo che ciò che è giusto provare, ciò che è umano, è un dolore verso il poveretto perché questa è compassione. Il dolore può essere mitigato solo dalla consapevolezza che potendo fare qualcosa per lui, noi senza dubbio la faremmo. E se è giusto continuare a provare rammarico per la sorte del pover'uomo, la pace può e deve essere trovata solo nella consapevolezza della nostra assoluta determinazione ad aiutarlo, e che se non lo facciamo è solo perché non ci è possibile. Tuttavia il rammarico non ci deve lasciare perché sta a rammentarci che chi sta in quella condizione, non è un essere separato da noi stessi. Noi possimo trovare pace nella rassegnazione, nell'accettazione di un evento che per quanto è doloroso, è anche ineluttabile. Se si aggiunge a questo la fede in un ordine cosmico benigno, si arriva sia allo Stoicismo che al Cristianesimo; ma credo anche al Buddismo e all'Induismo, e ad altre religioni. 

Io sostengo che è umano avere la consapevolezza, che quell' essere umano non è un essere separato da noi stessi, e che dunque questa deve essere della natura umana la condizione fondante. 

Il distacco dell'essere umano verso sé stesso nasce dal fatto che l'essere umano è un essere che non è rinchiuso nella propria individualità. Questa è la natura umana.

Maurizio Proietti iopropars



sabato 18 gennaio 2025

Er presepio - Trilussa


 


Er Presepio - Trilussa


Ve ringrazio de core, brava gente,
pè 'sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v'odiate,
si de st'amore nun capite gnente ...

Pè st'amore so nato e ce so morto,
da secoli lo spargo da la croce,
ma la parola mia pare 'na voce
sperduta ner deserto senza ascolto.

La gente fa er presepe e nun me sente,
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l'amore
è cianfrusaja che nun cià valore.




Qualche parola sulla mia lettura della poesia.

Qualcuno potrebbe pensare, come mi è sembrato, che io leggo questa poesia più con i toni di un tribuno che arringa il popolo che di Gesù. In questo caso io faccio notare che questo è contenuto nella struttura stessa della poesia, che inizia con una retorica da arringa al popolo. Gesù, prima ringrazia "de core" la "brava gente" per i presepi, per poi rimproverarla aspramente, giungendo a dire che del suo amore non capiscono niente. L'ironia è amara e giunge al sarcasmo. Chi pensa che questo non si addice a Gesù, dimentica che Gesù ha anche cacciato i mercanti dal Tempio, dopo essersi intrecciato uno scudiscio, e rovesciando poi i banchi dei cambiamonete. In un altro caso ha anche detto "O generazione incredula e perversa...fino a quando vi dovrò sopportare?" (Matteo cap. 17 versetti 14-18). Io interpreto questa poesia nel senso che rimproverare per i presepi sfarzosi, quando non c'è amore, si avvicina molto al fatto di scacciare i mercanti dal Tempio.
Un'altra cosa che vorrei ricordare, per questa come per altre poesie, è che le poesie hanno una metrica, e che la metrica conferisce espressione e dunque veicola significato. Ritmi diversi esprimono emozioni diverse. Non si può "recitare" una poesia cercando di interpretarla "al meglio" e tuttavia non rispettarne la metrica. Chi lo fa potrà anche essere un bravo attore, ma nel caso della poesia, opera necessariamente un fraintendimento del testo, perché le intenzioni espressive di un autore che scrive in poesia, sono appunto veicolate dalla metrica che usa.

Direi che in questo caso, proprio la metrica permette di "riferire" parole che nella concezione dell' autore potrebbero essere di Gesù, senza dover cercare di rappresentare esattamente la persona di Gesù. Perché, chi può farlo? Sebbene ogni cristiano è chiamato a costruire la propria vita a sua imitazione.

Infine, di me stesso posso dire che sono io stesso poeta e romano de Roma, oltre che cristiano. Per dire qualcosa sul mio rapporto col dialetto romanesco, posso dire che mio padre mi parlava di suo nonno che viveva nella Roma dei Papi, per cui direi che la tradizione romana della mia famiglia precede almeno l'unità d'Italia, e io mio padre l'ho sentito sempre parlare solo romano, sebbene lui dicesse che da giovane sapeva parlare francese.

Maurizio Proietti iopropars

sabato 11 gennaio 2025

Il sentimento della vita

A smiling friend
foto di 
Maurizio Proietti iopropars



Capita di incontrarne


La donna fondamento,

Per me che sono un uomo, 

Della bellezza, dell'amore

Mi parla con la sua esistenza;

Mi dice che la vita 

È governata dall'amore

Almeno quanto a governarla

È la lotta per la sopravvivenza,

Che seleziona gli individui

Nel meccanismo dell'evoluzione.


Chissà che invece dell' amore

Quasi completamente 

Sono stati rimossi i resti

Nella società in cui vivo.

Però di questi amici,

Come quell'albero stracolmo

Di arance, alcune volte capita,

A me che sono solo,

Di incontrarne quando vado

A passeggiare in mezzo ai campi.


Si trova tra gli amici

Reciproco sostegno,

Dunque piacevole per questo

È il trovarsi in compagnia.

Questo proprio è ciò che sento

Quando vado a passeggiare,

Che io rispetto la natura

E lei sostiene la mia vita.

Così che ho avuto l'impressione 

Di vedere un bel sorriso

In quell'albero alla vita.

L'impressione alcune volte

Si affaccia alla mia mente

Che le piante non solo siano vive

Ma possano sentir la vita.


Da sola, questo penso,

La lotta per la sopravvivenza

Non ci consente di spiegare 

L' evoluzione naturale,

Se non consideriamo

Come sia importante per la vita,

La collaborazione.

Importante è anche la simbiosi.

Penso che alla vita

Più adatti siano gli individui

Che sono sostenuti

E che sostengono la vita,

E questo è il senso, credo,

Della riproduzione sessuata.

Ecco allora che ho quest' impressione 

Che le piante che sono vive,

La vita animale, anche

Riescano a sentire,

E che ad essa siano favorevoli.


Se volere conservare sé stesso

Caratterizza l'essere vivente,

Anche l'amore che consiste

Nel volere conservare in vita

Un altro essere vivente,

Caratterizza l'essere vivente.

A conservarsi è appunto la vita,

Non il vivente che invece muore,

Perché a morire è destinato

A causa delle leggi

Dell' universo materiale 

In cui avere origine 

Ha potuto comunque la vita. 

La materia è destinata

Al degrado dalle sue proprie leggi.

Al degrado invece

Si oppone la vita.


Non sarebbe riuscita

A conservare sé stessa la vita

In questo universo

Se anche l'amore non fosse

Una parte della sua essenza.

E spero che voi mi scusiate

Se di questo a me parla la donna,

La sua presenza nell'umana specie.


Io sono convinto che sia di questo

Che la bellezza mi parla, mi dice 

Che nella vita è presente l'amore.

E anche la bellezza

Dell'universo materiale 

Di questo mi parla, mi dice 

Che nelle leggi di questo universo 

Ha potuto generarsi la vita.

In questo così vasto, 

Terribile universo,

Io ci sono e sono vivo.


Ritrovo l' essenza del bello

Nel sentimento della vita.


Maurizio Proietti iopropars



De rerum natura


Il poemetto che vi ho presentato qui sopra, è ispirato al "De rerum natura" di Tito Lucrezio Caro, poeta nell'antica Roma ed epicureo, che dà una descrizione della natura e del suo divenire, nei termini della filosofia del Maestro Epicuro. 

Io muovo una critica all'epicureismo nel mio precedente post del 3 gennaio 2025 in questo stesso blog. 

Ciò che tuttavia può lasciare alcuni perplessi, è che il tipo di poesia che qui vi ho presentato, esula alquanto dai contenuti della poesia contemporanea. Io però non credo che questo possa risultare un problema, quando la mia poesia riporta una mia esperienza sentita. E anzi arrivo ad affermare che proprio l'autenticità del sentimento che l'ha suscitata, la rende intuitivamente profonda, e tale da aprire la strada alla comprensione razionale.

Ciò che può suscitare diffidenza, è che la ricerca dell'oggettività nella quale si è sviluppato il pensiero scientifico moderno, ci ha portati a porre una separazione netta tra gli aspetti emotivi e quelli razionali dei nostri vissuti psichici. 

Ciò che io sostengo, tuttavia, è che mentre la conferma delle ipotesi teoriche che vanno a costruire l'impianto scientifico, va trovata in osservazioni rigorose e distaccate, invece, per loro formulazione, perché abbiano forza esplicativa - o meglio, se vogliamo, descrittiva - dei fenomeni che si vogliono comprendere, si può e si deve essere in contatto con la parte più profonda ed emotiva di noi stessi; quella stessa parte che ci porta a produrre l'opera d'arte.

Nel poemetto che vi ho proposto, le mie conoscenze scientifiche si fondono con il sentimento dell'ambiente naturale intorno a me.

Un sentimento che in me emerge, è che le piante siano dotate di sensibilità, e so di non essere il solo a provarlo, perché ad esempio anche mia nonna, ma non solo, mi raccontava di essere convinta di questa cosa. Mi sembra impossibile che le piante che producono fiori, assomiglino a forze cieche della natura come possono essere una cascata o un rivolo d'acqua. Penso che sia più verosimile che sentano anche come vivi, sia pure senza averne cognizione, ad esempio gli insetti impollinatori. Mi sembra che le piante, pur non avendo pensiero, non per questo non abbiano una sensibilità che consenta loro di distinguere ciò che ha vita da ciò che non ha vita, e che producano nel tempo una reazione diversa, alle diverse forme di vita. Può darsi che io mi sbagli, ma può darsi invece che io abbia ragione.

Oltre a questo però, se la prospettiva che espongo sull'evoluzione delle specie, si serve di argomenti già presenti nel contesto scientifico, la prospettiva psicologica sulla natura del bello e della bellezza mi sembra decisamente innovativa, oltre che importante perché è un argomento su cui ci si è interrogati durante i secoli, nella storia del pensiero filosofico.

Pensiamo a quanto a noi esseri umani piacciono i fiori, ma che i fiori offrono la propria estetica essenzialmente agli insetti impollinatori. E tuttavia a noi uomini, maschi della specie umana, cosa viene in mente, come prima cosa, di offrire ad una donna per mostrare apprezzamento nei suoi confronti, se non i fiori? Ecco quel che dico, che i fiori esprimono la vita.

Maurizio Proietti iopropars









 

martedì 7 gennaio 2025

Al cambiamento

The breakup
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars



Al cambiamento


In una situazione come questa

In cui non c'è più nulla

Che sembra che si possa fare,

Tentare almeno questo,

Sento di dovere, aprire

La strada al cambiamento.


Maurizio Proietti iopropars


La rottura

Di fronte all'alienazione da sé stessi, imperante nella società presente, in cui il linguaggio stesso, sembra aver perso senso, a causa della finzione imperante, in cui tutto ciò che viene detto o fatto, sembra che venga detto e fatto, allo scopo di costruire il proprio personaggio, tale da poter ricevere dagli altri ammirazione, così che qualsiasi scopo, per quanto nobile viene a cadere soffocato, dalla brama di ricevere l'applauso, la verità rimane veramente, l'unico mezzo per restare liberi, e per aprire la strada al cambiamento.

Maurizio Proietti iopropars


Pensavo alla seguente poesia di Bertolt Brecht:


A chi esita

Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.

 

Poesie (Einaudi, 2014), a cura di G. D. Bonino

È appunto questo che anche io penso, se è giusto ciò che in questa poesia io vi leggo, ma che io in ogni caso penso, che ognuno di noi debba trovare in sé stesso, la motivazione ad operare per il cambiamento.

Maurizio Proietti iopropars




 

venerdì 3 gennaio 2025

Pace dalla Giustizia

Let's hope
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars


Pace dalla Giustizia

Penso proprio che avere pace dalla giustizia sia ciò di cui noi tutti esseri umani abbiamo bisogno.

In tempi aridi come questo nostro presente, riaffiorano anche gli epicurei. Io ne ho conosciuti alcuni un po' di tempo fa. 

[ Tra l'altro - lo dico in via forzatamente confidenziale, aprendo una digressione faziosa per i miei lettori - nell'espressione "tempo fa", la sillaba "fa" non è un avverbio, come sostengono parecchi professoroni che danno lezioni sul web, su come secondo loro si dovrebbero scrivere le parole in italiano, e però non capiscono la loro funzione semantica; ovvero non sono capaci di fare una corretta analisi grammaticale, né una corretta analisi logica.

In questo caso, "fa" è la terza persona singolare del verbo "fare", e il suo soggetto è il "tempo". È, nella forma, come quando diciamo "due più due fa quattro"; espressione questa, in cui il soggetto sottinteso è "la somma di". È come dire "fanno due anni da quando ci siamo conosciuti", dove il soggetto sono i due anni, e il verbo "fare" potrebbe essere sostituito con il verbo "essere". Il verbo fare esprime il risultato di una sorta di calcolo, che quando diciamo "un po' di tempo fa" è piuttosto una stima approssimativa. 

Se, ad esempio, "prima" è un avverbio temporale, possiamo dire che "un po' di tempo fa" è una locuzione avverbiale di tipo temporale, e in questa locuzione, "fa" è un predicato, un verbo, non un avverbio. La locuzione in questione potrebbe essere sostituita con la locuzione equivalente "che è poco tempo". "Li ho conosciuti che è poco tempo", "che è passato poco tempo". 

Lancio questa mia filippica perché sono angosciato dal fatto che persone che non capiscono la funzione semantica delle parole, siano accreditate per dettare legge su come si scrivono. 

Per come la vedo io, il discorso sarebbe ancora più lungo di quello che sto facendo, per cui mi limito a dire che secondo me vi sono forme forti e forme deboli dei verbi "fare" e "dare", ma che quando "fa" è inteso come terza persona singolare del presente indicativo del verbo "fare", e anche viene usato in senso metalinguistico, ovvero come oggetto del discorso e non nel suo significato, converrebbe usare la forma forte "fà", ovvero accentata, ad indicare che denota una forma verbale, ovvero un'azione, e non un oggetto. Questo noi nel linguaggio parlato lo esprimiamo dando più forza alla lettera "a".  Pur mantenendo la stessa quantità di accento, pronunciamo la "a" accompagnandola con un colpo di glottide, che produce anche un suono più gutturale di quello che usiamo per indicare nota musicale "Fa".

La stessa cosa accade per la parola "dànno", che io ora ho scritto accentata, in quanto l'ho posta tra virgolette perché la sto usando in senso metalinguistico isolandola dal contesto, e  perché voglio con questa parola indicare la terza persona plurale del presente indicativo del verbo "dare", che ha una sonorità diversa dal sostantivo "danno", inteso come lesione.

Se non fosse così come dico, allora perché scriveremmo con la lettera "h", varie forme del verbo "avere"? Ma le pronunciamo anche, in modo diverso; non nel senso che aspiriamo la vocale preceduta dalla lettera "h", ma che diamo un colpo di glottide nel pronunciarla, che determina l'enfasi che stiamo usando un'espressione verbale. 

Io dico che può certamente passare, e può anche risultare conveniente, che nel caso dei verbi "fare" e "dare" si lasci cadere l'accento dove tradizionalmente andrebbe usato, perché ci si serve del contesto per determinarne il significato; ma  non posso assolutamente accettare che si sostenga che sia un errore grammaticale aggiungerlo.

Questi professori, dagli che insistono che non si devono aggiungere accenti perché il significato è definito dal contesto, ma non tengono conto che nella lingua italiana, al contrario della lingua inglese, in cui il significato di una parola è definito dal contesto, si cerca di usare parole che siano per sé stesse già definite, che siano cioè più precise possibile, indipendentemente dal contesto. 

Questo è il motivo per cui, ad esempio, invece di usare genericamente il verbo "fare", che sarebbe comunque definito dal contesto, noi italiani che parliamo veramente italiano, e non una forma di italiano semplificata, ove possibile, preferiamo usare il verbo preciso, che definisce esattamente l'azione che vogliamo descrivere. 

Ma a che serve parlare? Questo è essenzialmente il punto che collega la lunga parentesi che ho aperto, al discorso che sto portando avanti: a che serve parlare?]

Gli epicurei ricercano appunto la saggezza nella capacità di gestire il piacere, e perdono di vista la circostanza che l'essere umano è un essere in relazione. La condizione umana, lo stato naturale di un essere umano, sussiste nel suo essere in relazione con altri esseri umani. Noi esseri umani dobbiamo dunque ricercare la nostra realizzazione nel modo in cui siamo in relazione con gli altri, e non nel piacere. 

La Giustizia riassume appunto quell'insieme di forme che definiscono il modo corretto di stare in relazione; quel modo per cui la relazione sia ugualmente soddisfacente per tutti.

Se  il fatto che tutti gli esseri umani debbano essere considerati uguali in diritti e dignità sta alla base della giustizia, a me sembra essere evidente, mi sembra che debba essere altrettanto evidente, che la giustizia possa essere cercata e ritrovata, solo nel dialogo e nel confronto.

Così, perché un filosofo si dovrebbe occupare così "cavillosamente" del linguaggio come faccio io? Perché è diversamente abile, o perché è semplicemente un filosofo che pensa che coloro che si occupano del linguaggio, siano figli di una cultura che non porta avanti l'esigenza del confronto, perché al di là dell'ipocrisia del politicamente corretto, esprime un'ideologia sociale al servizio dell'ingiustizia? La domanda, oltre che eccessivamente lunga, è anche tendenziosa.

Per poter andare avanti, i primi con cui dobbiamo confrontarci sono coloro che ci hanno preceduto. In questo modo riassumo il senso della mia digressione. Non permettiamo che vengano strappate le radici ai popoli.

Maurizio Proietti iopropars


 

Festa della donna 2025 (con un sorriso)

Giornata della pesca alla trota dipinto digitale di Maurizio Proietti iopropars Alle donne e alla pesca alla trota Dal circolo della pesca d...