venerdì 3 gennaio 2025

Pace dalla Giustizia

Let's hope
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars


Pace dalla Giustizia

Penso proprio che avere pace dalla giustizia sia ciò di cui noi tutti esseri umani abbiamo bisogno.

In tempi aridi come questo nostro presente, riaffiorano anche gli epicurei. Io ne ho conosciuti alcuni un po' di tempo fa. 

[ Tra l'altro - lo dico in via forzatamente confidenziale, aprendo una digressione faziosa per i miei lettori - nell'espressione "tempo fa", la sillaba "fa" non è un avverbio, come sostengono parecchi professoroni che danno lezioni sul web, su come secondo loro si dovrebbero scrivere le parole in italiano, e però non capiscono la loro funzione semantica; ovvero non sono capaci di fare una corretta analisi grammaticale, né una corretta analisi logica.

In questo caso, "fa" è la terza persona singolare del verbo "fare", e il suo soggetto è il "tempo". È, nella forma, come quando diciamo "due più due fa quattro"; espressione questa, in cui il soggetto sottinteso è "la somma di". È come dire "fanno due anni da quando ci siamo conosciuti", dove il soggetto sono i due anni, e il verbo "fare" potrebbe essere sostituito con il verbo "essere". Il verbo fare esprime il risultato di una sorta di calcolo, che quando diciamo "un po' di tempo fa" è piuttosto una stima approssimativa. 

Se, ad esempio, "prima" è un avverbio temporale, possiamo dire che "un po' di tempo fa" è una locuzione avverbiale di tipo temporale, e in questa locuzione, "fa" è un predicato, un verbo, non un avverbio. La locuzione in questione potrebbe essere sostituita con la locuzione equivalente "che è poco tempo". "Li ho conosciuti che è poco tempo", "che è passato poco tempo". 

Lancio questa mia filippica perché sono angosciato dal fatto che persone che non capiscono la funzione semantica delle parole, siano accreditate per dettare legge su come si scrivono. 

Per come la vedo io, il discorso sarebbe ancora più lungo di quello che sto facendo, per cui mi limito a dire che secondo me vi sono forme forti e forme deboli dei verbi "fare" e "dare", ma che quando "fa" è inteso come terza persona singolare del presente indicativo del verbo "fare", e anche viene usato in senso metalinguistico, ovvero come oggetto del discorso e non nel suo significato, converrebbe usare la forma forte "fà", ovvero accentata, ad indicare che denota una forma verbale, ovvero un'azione, e non un oggetto. Questo noi nel linguaggio parlato lo esprimiamo dando più forza alla lettera "a".  Pur mantenendo la stessa quantità di accento, pronunciamo la "a" accompagnandola con un colpo di glottide, che produce anche un suono più gutturale di quello che usiamo per indicare nota musicale "Fa".

La stessa cosa accade per la parola "dànno", che io ora ho scritto accentata, in quanto l'ho posta tra virgolette perché la sto usando in senso metalinguistico isolandola dal contesto, e  perché voglio con questa parola indicare la terza persona plurale del presente indicativo del verbo "dare", che ha una sonorità diversa dal sostantivo "danno", inteso come lesione.

Se non fosse così come dico, allora perché scriveremmo con la lettera "h", varie forme del verbo "avere"? Ma le pronunciamo anche, in modo diverso; non nel senso che aspiriamo la vocale preceduta dalla lettera "h", ma che diamo un colpo di glottide nel pronunciarla, che determina l'enfasi che stiamo usando un'espressione verbale. 

Io dico che può certamente passare, e può anche risultare conveniente, che nel caso dei verbi "fare" e "dare" si lasci cadere l'accento dove tradizionalmente andrebbe usato, perché ci si serve del contesto per determinarne il significato; ma  non posso assolutamente accettare che si sostenga che sia un errore grammaticale aggiungerlo.

Questi professori, dagli che insistono che non si devono aggiungere accenti perché il significato è definito dal contesto, ma non tengono conto che nella lingua italiana, al contrario della lingua inglese, in cui il significato di una parola è definito dal contesto, si cerca di usare parole che siano per sé stesse già definite, che siano cioè più precise possibile, indipendentemente dal contesto. 

Questo è il motivo per cui, ad esempio, invece di usare genericamente il verbo "fare", che sarebbe comunque definito dal contesto, noi italiani che parliamo veramente italiano, e non una forma di italiano semplificata, ove possibile, preferiamo usare il verbo preciso, che definisce esattamente l'azione che vogliamo descrivere. 

Ma a che serve parlare? Questo è essenzialmente il punto che collega la lunga parentesi che ho aperto, al discorso che sto portando avanti: a che serve parlare?]

Gli epicurei ricercano appunto la saggezza nella capacità di gestire il piacere, e perdono di vista la circostanza che l'essere umano è un essere in relazione. La condizione umana, lo stato naturale di un essere umano, sussiste nel suo essere in relazione con altri esseri umani. Noi esseri umani dobbiamo dunque ricercare la nostra realizzazione nel modo in cui siamo in relazione con gli altri, e non nel piacere. 

La Giustizia riassume appunto quell'insieme di forme che definiscono il modo corretto di stare in relazione; quel modo per cui la relazione sia ugualmente soddisfacente per tutti.

Se  il fatto che tutti gli esseri umani debbano essere considerati uguali in diritti e dignità sta alla base della giustizia, a me sembra essere evidente, mi sembra che debba essere altrettanto evidente, che la giustizia possa essere cercata e ritrovata, solo nel dialogo e nel confronto.

Così, perché un filosofo si dovrebbe occupare così "cavillosamente" del linguaggio come faccio io? Perché è diversamente abile, o perché è semplicemente un filosofo che pensa che coloro che si occupano del linguaggio, siano figli di una cultura che non porta avanti l'esigenza del confronto, perché al di là dell'ipocrisia del politicamente corretto, esprime un'ideologia sociale al servizio dell'ingiustizia? La domanda, oltre che eccessivamente lunga, è anche tendenziosa.

Per poter andare avanti, i primi con cui dobbiamo confrontarci sono coloro che ci hanno preceduto. In questo modo riassumo il senso della mia digressione. Non permettiamo che vengano strappate le radici ai popoli.

Maurizio Proietti iopropars


 

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