mercoledì 22 gennaio 2025

Una contraddizione apparente

Bursting into life
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars

 


Una contraddizione apparente

(breve saggio esistenzialista)


Per introdurre il presente discorso, dico che sono sicuro che non a tutti è dato di capire la circostanza che andrò ad esporre, e che tuttavia si tratta di una circostanza reale. Riguardo a coloro che non riescono a coglierla, mi sento di affermare che vi possono essere due motivi. Il primo è che queste persone non ricercano la saggezza, e questa è una scelta che ognuno è libero di fare; l'altro è che non sono ancora abbastanza avanti nel percorso verso la saggezza, e  questa è una situazione in cui per una parte del percorso, si viene a trovare chiunque intraprenda un qualsiasi percorso. 

La circostanza di cui parlo pone una contraddizione apparente nella natura dell'operare umano. 

Tale circostanza, è che per operare saggiamente, l'essere umano deve intendere, che per quanto egli debba impegnarsi a conseguire gli obiettivi che egli si prefigge, non è tanto importante il conseguimento di quegli obbiettivi, quanto la tensione verso di essi, ovvero che si proceda nel modo migliore per poterli conseguire. La meta, o l'obiettivo, in questo modo viene ad essere importante perché richiede l'impegno, ma al tempo stesso non importante, perché la realizzazione di sé stessi viene dall'impegno, e non del conseguimento di ciò per cui ci si impegna.

La contraddizione si acuisce per il fatto che la meta che ci si prefigge deve essere sensata, ovvero deve avere uno scopo ritenuto valido; se vogliamo, deve migliorare in qualche modo la condizione di chi quella meta si prefigge. E tuttavia per lui non ha importanza che quella meta sia raggiunta, quanto piuttosto che vi si proceda nel modo più adeguato. Ciò che importa per l'essere umano è di perseguire nel modo più adeguato gli obbiettivi sensati che egli si prefigge, non che gli obbiettivi vengano raggiunti.

L'apparente paradosso è mitigato dal fatto che l'azione, per essere efficacie, va sempre adeguata all'obiettivo, e che per quanto si possa fallire nel raggiungerlo, perseverando nel tentativo, non si mancherà di riuscirci; a patto che continuino a sussistere le condizioni che lo rendono possibile, perché appunto non ha senso perseguire un obiettivo irraggiungibile.

La prospettiva che ho appena esposto offre però anche una visuale in cui il paradosso già si manifesta come condizione solo apparente. Infatti in questo modo possiamo vedere che il conseguimento dello scopo può essere emotivamente già presente nell' azione volta a conseguirlo. È quello che si dice quando si dice che perché il nostro operare sia efficace, bisogna credere in ciò che si fa. Ma è anche quello che è portato avanti nella filosofia Zen, quando avvisa di stare nel presente, che non vuole dire perdere di vista i propri scopi, ma che essi siano uno con l'azione volta a conseguirli.

La circostanza da me posta come condizione di saggezza, effettivamente non è contraddittoria come appare, perché ci parla in qualche modo della natura umana. È come se l'essere umano debba essere al servizio di sé stesso, rimanendo distaccato da sé stesso. L'essere umano nei confronti di sé stesso non deve avere attaccamento. Questo è ciò che io penso della natura umana.

D'altra parte la filosofia Buddista, di cui lo Zen è uno sviluppo, indica appunto la via della realizzazione di sé nella rinuncia al desiderio. Ma anche il cristianesimo dice di non concupire, e cioè non desiderare con brama, e di rimettersi alla volontà di Dio.

Ma non è che queste religioni, che sono anche filosofie di vita, non indichino atteggiamenti che non siano presenti in altre filosofie di vita presso vari popoli.

Anche presso gli antichi romani vi era una filosofia di vita che era un modo di essere romani; se vogliamo, un' etica che distingueva l'essere romano dall' appartenere ad altri popoli. Presso di loro era di fondamentale importanza il modo in cui si affrontava la morte. Io credo che questo fosse proprio perché il modo in cui si affrontava la morte era visto come prova di distacco da sé stessi.

Io credo che sia questo distacco da sé stessi, ciò che distingue gli esseri umani dal resto degli animali, e mi sembra che anche per gli antichi romani dovesse essere così. Infatti Sallustio nella sua narrazione storica della Congiura di Catilina, dà conto delle proprie motivazioni ad affrontare il lavoro di storico che si era prefissato, nella necessità per gli esseri umani di elevarsi al di sopra degli altri animali, ovvero non di non vivere da schiavi delle proprie passioni.

Io, al contrario dei vegani, sono decisamente specista, e cioè credo che la specie umana sia superiore a qualsiasi altra specie animale, e che ogni essere umano non debba mai dimenticarsene e che debba sempre comportarsi di conseguenza. 

Tuttavia, se io richiamo alla nobiltà dell'essere umano, ricordo anche "noblesse oblige". 

Con questo voglio dire, ad esempio, che bisogna comunque ricordare che c'è una differenza abissale tra un animale e un macchinario industriale. Dico che poter disporre della natura non significa poterla distruggere. Agricoltura e allevamento dovrebbero per come io la vedo, essere un prendersi cura di parte dell'ambiente naturale, e utilizzarlo anche per i propri scopi e sostentamento.

D'altra parte, quale sarebbe dovuto essere il compito dei nobili, se non quello di richiamare alla nobiltà il popolo? Intendo, anziché quello troppo frainteso di godere di ingiusti privilegi... Richiamare alla nobiltà il popolo da parte del Senato, è proprio il modo in cui avrebbero dovuto procedere le cose nell'antica Roma, e il modo in cui invece non sono andate.

Ricordare che l'essere umano è superiore alle altre specie animali, è a mio avviso una consapevolezza che doveva essere ben presente presso i nostri preistorici progenitori. Uscire da questa consapevolezza significava e significa, andare verso l'abbrutimento, come restarvi significava e significa continuare nel progresso civile. Io penso che dovesse essere questo originariamente il motivo che richiamava gli antichi romani ad essere fedeli ai costumi degli antenati. Poi però, anche questa fedeltà ha potuto essere fraintesa come opposizione ad ogni forma di cambiamento.

A me non sembra che vi sia nulla di antiscientifico nel supporre che l'intelligenza umana sia qualcosa di qualitativamente, e non solo quantitativamente, superiore a quella di qualsiasi altro animale. Io dico che è vero che noi esseri umani siamo animali, ma è vero che siamo anche qualcosa di diverso da loro e di cui nell'ambiente naturale non vi è nulla di uguale. Non è antiscientifico supporlo semplicemente perché è possibile. 

Non è antiscientifico supporlo, anche se bisogna dimostrarlo. Ma è certamente antiscientifico negarlo a priori. Anche per poter affermare il contrario bisogna dare una dimostrazione; per quanto anche supporre il contrario non sia antiscientifico, fino a prova contraria.

Tuttavia non ci farebbe orrore chi dovendo salvare la vita, supponiamo da un incendio, a un gruppo di esseri umani e di animali che stessero nello stesso posto, ponesse le loro vite sullo stesso piano? Io penso che ci sembrerebbe un mostro da un punto di vista morale, oppure completamente pazzo. Ve lo immaginate il tipo? "Visto che avevo tratto in salvo già tre esseri umani, piuttosto che trarre in salvo il quarto, ho preferito salvare almeno uno dei cani...".

Che gli esseri umani siano superiori agli altri animali, è senza dubbio ciò che nel concreto tutti gli esseri umani sentono. Gli esseri umani sentono nel concreto, che come non è possibile porre sullo stesso piano, da un punto di vista etico, un animale e una pianta, non è nemmeno possibile, da un punto di vista etico, mettere sullo stesso piano un essere umano e un animale. 

Mi vengono in mente ora i discorsi di alcune persone che conosco, che dicono che anche gli animali comunicano, che sono capaci di esercitare solidarietà e via discorrendo, e dicono che sembra anche che i delfini per comunicare usino una specie di linguaggio, e via di questo passo. Il punto è che io sono perfettamente d'accordo con questi discorsi. Io però aggiungo che il linguaggio umano è di natura differente, perché la mente dell'essere umano è di natura differente. E anche l'amore umano è differente, per quanto io non ho dubbi che l'amore esiste anche nel regno animale.

Io penso invece che l'amore governi la vita, e che nell'essere umano la vita raggiunge il suo massimo sviluppo, producendo qualcosa che si distingue per natura, da tutti gli altri esseri viventi.

Noi esseri umani per mezzo del linguaggio, evochiamo la presenza di ciò che è assente. È questo che ci permette, attraverso il linguaggio, di descrivere il mondo in cui viviamo e che ci ha prodotto, e di narrare ad altri esseri umani le nostre esperienze. Noi esseri umani siamo in grado di raccontare la nostra storia. Questo è ciò che fa appunto anche Sallustio quando parla della Congiura di Catilina, producendo un'opera che a secoli di distanza dalla sua morte, è ancora in grado di offrirci insegnamenti, e soprattutto di farci capire il nostro passato. Io non ho dubbi che rispetto al linguaggio dei delfini, questo sia "altra roba".

Se dunque c'è distinzione tra un essere umano e qualsiasi altro animale, noi esseri umani siamo anche chiamati a realizzare in noi stessi la nostra condizione umana. Io sostengo che un elemento essenziale di questa condizione sia appunto quel distacco da sé stessi di cui parlo. La realizzazione di questo distacco, ci fa provare per un altro essere umano ammirazione, perché vediamo in lui realizzata appieno la nostra condizione, a cui aspira la parte più intima di noi stessi, il nostro "cuore", che ci chiama a realizzarla.

Io affermo che nella natura umana sussiste il fatto, che gli esseri umani si sentano chiamati a realizzare in sé stessi la propria umana natura; anche se tuttavia la risposta a questa chiamata, kantianamente, può essere disattesa.

Il realizzarsi in qualcuno, della più autentica condizione umana, se provoca ammirazione nelle persone rette, provoca invece l'invidia dei vili, che avendo degradato sé stessi ad essere schiavi delle proprie passioni, vogliono negare che vi sia qualcosa di nobile alla quale aspirare, e per questo odiano i giusti senza averne motivo.

Io, considerando il sacrificio di Isacco, del figlio della promessa, il sacrificio che Dio chiede ad Abramo, ritrovo proprio una spinta verso il  distacco. Abramo può avere Isacco dopo aver saputo rinunciare a lui, accettando di essere egli stesso artefice della sua morte. Abramo può rinunciare alla sua massima aspirazione in nome del suo amore per qualcosa di più grande, per amore del suo Dio che egli ama con tutte le sue forze, ovvero anche al di sopra di sé stesso. Mai Abramo avrebbe potuto accettare di sacrificare Isacco, se egli stesso non fosse stato disposto a morire, e la sua vita non fosse stata completamente al servizio di Dio.

Io però di questa situazione ne ravviso lo sviluppo nel Cristianesimo. Dico che Dio nel suo amore non avrebbe chiesto ad Abramo un sacrificio che Abramo, pure accettandolo nella sua volontà, non era pronto ad affrontare. Questo è il sacrificio che invece affronta il Cristo Gesù, mio Signore e Maestro.

Io, come cristiano, mi sento di affermare che non c'è di fatto distinzione tra la fede e l'amore verso Dio. Cristianamente, è proprio l'amore verso Dio, che ci permette di non dubitare nella nostra fede. Così che è appunto scritto che il giusto vivrà per fede.

Al di là della fede tuttavia, questo anche affermo, per esercitare la giustizia, occorre esercitare distacco da sé stessi. Ma anche per esercitare misericordia occorre esercitare distacco da sé stessi. Così vediamo che il distacco da sé stessi è ciò che fonda ogni virtù morale.

Questo ci insegna il Cristo Gesù, che di amare Dio con tutte le proprie forze è il primo dei comandamenti, e che il secondo che da questo discende è di amare il prossimo come sé stessi. Amarlo come sé stessi: questo è il comandamento.

Ora, a parte le molte guerre, cosa hanno dato gli antichi romani al mondo? Gli antichi romani hanno fondato la civiltà del diritto.

A questo punto non c'è da stupirsi che molti tra gli antichi romani aderissero allo Stoicismo, perché presentava una sistematizzazione di tendenze già presenti nelle loro tradizioni.

Anche l'Epicureismo tuttavia propone un distacco dalle passioni. Andiamo però ad analizzare il celebre esempio dell'Atarassia nell'Epicureismo. Guardare in lontananza un uomo che sta affogando, non poter fare nulla per aiutarlo e goderne, non come sentimento verso quel poveretto, ma verso sé stessi per essere fuori da quella situazione. Che il principio sia fallace è a mio avviso evidente. È fallace perché isola l'individuo dalla relazione con l'altro che sta affogando.

Io sostengo che ciò che è giusto provare, ciò che è umano, è un dolore verso il poveretto perché questa è compassione. Il dolore può essere mitigato solo dalla consapevolezza che potendo fare qualcosa per lui, noi senza dubbio la faremmo. E se è giusto continuare a provare rammarico per la sorte del pover'uomo, la pace può e deve essere trovata solo nella consapevolezza della nostra assoluta determinazione ad aiutarlo, e che se non lo facciamo è solo perché non ci è possibile. Tuttavia il rammarico non ci deve lasciare perché sta a rammentarci che chi sta in quella condizione, non è un essere separato da noi stessi. Noi possimo trovare pace nella rassegnazione, nell'accettazione di un evento che per quanto è doloroso, è anche ineluttabile. Se si aggiunge a questo la fede in un ordine cosmico benigno, si arriva sia allo Stoicismo che al Cristianesimo; ma credo anche al Buddismo e all'Induismo, e ad altre religioni. 

Io sostengo che è umano avere la consapevolezza, che quell' essere umano non è un essere separato da noi stessi, e che dunque questa deve essere della natura umana la condizione fondante. 

Il distacco dell'essere umano verso sé stesso nasce dal fatto che l'essere umano è un essere che non è rinchiuso nella propria individualità. Questa è la natura umana.

Maurizio Proietti iopropars



sabato 18 gennaio 2025

Er presepio - Trilussa


 


Er Presepio - Trilussa


Ve ringrazio de core, brava gente,
pè 'sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v'odiate,
si de st'amore nun capite gnente ...

Pè st'amore so nato e ce so morto,
da secoli lo spargo da la croce,
ma la parola mia pare 'na voce
sperduta ner deserto senza ascolto.

La gente fa er presepe e nun me sente,
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l'amore
è cianfrusaja che nun cià valore.




Qualche parola sulla mia lettura della poesia.

Qualcuno potrebbe pensare, come mi è sembrato, che io leggo questa poesia più con i toni di un tribuno che arringa il popolo che di Gesù. In questo caso io faccio notare che questo è contenuto nella struttura stessa della poesia, che inizia con una retorica da arringa al popolo. Gesù, prima ringrazia "de core" la "brava gente" per i presepi, per poi rimproverarla aspramente, giungendo a dire che del suo amore non capiscono niente. L'ironia è amara e giunge al sarcasmo. Chi pensa che questo non si addice a Gesù, dimentica che Gesù ha anche cacciato i mercanti dal Tempio, dopo essersi intrecciato uno scudiscio, e rovesciando poi i banchi dei cambiamonete. In un altro caso ha anche detto "O generazione incredula e perversa...fino a quando vi dovrò sopportare?" (Matteo cap. 17 versetti 14-18). Io interpreto questa poesia nel senso che rimproverare per i presepi sfarzosi, quando non c'è amore, si avvicina molto al fatto di scacciare i mercanti dal Tempio.
Un'altra cosa che vorrei ricordare, per questa come per altre poesie, è che le poesie hanno una metrica, e che la metrica conferisce espressione e dunque veicola significato. Ritmi diversi esprimono emozioni diverse. Non si può "recitare" una poesia cercando di interpretarla "al meglio" e tuttavia non rispettarne la metrica. Chi lo fa potrà anche essere un bravo attore, ma nel caso della poesia, opera necessariamente un fraintendimento del testo, perché le intenzioni espressive di un autore che scrive in poesia, sono appunto veicolate dalla metrica che usa.

Direi che in questo caso, proprio la metrica permette di "riferire" parole che nella concezione dell' autore potrebbero essere di Gesù, senza dover cercare di rappresentare esattamente la persona di Gesù. Perché, chi può farlo? Sebbene ogni cristiano è chiamato a costruire la propria vita a sua imitazione.

Infine, di me stesso posso dire che sono io stesso poeta e romano de Roma, oltre che cristiano. Per dire qualcosa sul mio rapporto col dialetto romanesco, posso dire che mio padre mi parlava di suo nonno che viveva nella Roma dei Papi, per cui direi che la tradizione romana della mia famiglia precede almeno l'unità d'Italia, e io mio padre l'ho sentito sempre parlare solo romano, sebbene lui dicesse che da giovane sapeva parlare francese.

Maurizio Proietti iopropars

sabato 11 gennaio 2025

Il sentimento della vita

A smiling friend
foto di 
Maurizio Proietti iopropars



Capita di incontrarne


La donna fondamento,

Per me che sono un uomo, 

Della bellezza, dell'amore

Mi parla con la sua esistenza;

Mi dice che la vita 

È governata dall'amore

Almeno quanto a governarla

È la lotta per la sopravvivenza,

Che seleziona gli individui

Nel meccanismo dell'evoluzione.


Chissà che invece dell' amore

Quasi completamente 

Sono stati rimossi i resti

Nella società in cui vivo.

Però di questi amici,

Come quell'albero stracolmo

Di arance, alcune volte capita,

A me che sono solo,

Di incontrarne quando vado

A passeggiare in mezzo ai campi.


Si trova tra gli amici

Reciproco sostegno,

Dunque piacevole per questo

È il trovarsi in compagnia.

Questo proprio è ciò che sento

Quando vado a passeggiare,

Che io rispetto la natura

E lei sostiene la mia vita.

Così che ho avuto l'impressione 

Di vedere un bel sorriso

In quell'albero alla vita.

L'impressione alcune volte

Si affaccia alla mia mente

Che le piante non solo siano vive

Ma possano sentir la vita.


Da sola, questo penso,

La lotta per la sopravvivenza

Non ci consente di spiegare 

L' evoluzione naturale,

Se non consideriamo

Come sia importante per la vita,

La collaborazione.

Importante è anche la simbiosi.

Penso che alla vita

Più adatti siano gli individui

Che sono sostenuti

E che sostengono la vita,

E questo è il senso, credo,

Della riproduzione sessuata.

Ecco allora che ho quest' impressione 

Che le piante che sono vive,

La vita animale, anche

Riescano a sentire,

E che ad essa siano favorevoli.


Se volere conservare sé stesso

Caratterizza l'essere vivente,

Anche l'amore che consiste

Nel volere conservare in vita

Un altro essere vivente,

Caratterizza l'essere vivente.

A conservarsi è appunto la vita,

Non il vivente che invece muore,

Perché a morire è destinato

A causa delle leggi

Dell' universo materiale 

In cui avere origine 

Ha potuto comunque la vita. 

La materia è destinata

Al degrado dalle sue proprie leggi.

Al degrado invece

Si oppone la vita.


Non sarebbe riuscita

A conservare sé stessa la vita

In questo universo

Se anche l'amore non fosse

Una parte della sua essenza.

E spero che voi mi scusiate

Se di questo a me parla la donna,

La sua presenza nell'umana specie.


Io sono convinto che sia di questo

Che la bellezza mi parla, mi dice 

Che nella vita è presente l'amore.

E anche la bellezza

Dell'universo materiale 

Di questo mi parla, mi dice 

Che nelle leggi di questo universo 

Ha potuto generarsi la vita.

In questo così vasto, 

Terribile universo,

Io ci sono e sono vivo.


Ritrovo l' essenza del bello

Nel sentimento della vita.


Maurizio Proietti iopropars



De rerum natura


Il poemetto che vi ho presentato qui sopra, è ispirato al "De rerum natura" di Tito Lucrezio Caro, poeta nell'antica Roma ed epicureo, che dà una descrizione della natura e del suo divenire, nei termini della filosofia del Maestro Epicuro. 

Io muovo una critica all'epicureismo nel mio precedente post del 3 gennaio 2025 in questo stesso blog. 

Ciò che tuttavia può lasciare alcuni perplessi, è che il tipo di poesia che qui vi ho presentato, esula alquanto dai contenuti della poesia contemporanea. Io però non credo che questo possa risultare un problema, quando la mia poesia riporta una mia esperienza sentita. E anzi arrivo ad affermare che proprio l'autenticità del sentimento che l'ha suscitata, la rende intuitivamente profonda, e tale da aprire la strada alla comprensione razionale.

Ciò che può suscitare diffidenza, è che la ricerca dell'oggettività nella quale si è sviluppato il pensiero scientifico moderno, ci ha portati a porre una separazione netta tra gli aspetti emotivi e quelli razionali dei nostri vissuti psichici. 

Ciò che io sostengo, tuttavia, è che mentre la conferma delle ipotesi teoriche che vanno a costruire l'impianto scientifico, va trovata in osservazioni rigorose e distaccate, invece, per loro formulazione, perché abbiano forza esplicativa - o meglio, se vogliamo, descrittiva - dei fenomeni che si vogliono comprendere, si può e si deve essere in contatto con la parte più profonda ed emotiva di noi stessi; quella stessa parte che ci porta a produrre l'opera d'arte.

Nel poemetto che vi ho proposto, le mie conoscenze scientifiche si fondono con il sentimento dell'ambiente naturale intorno a me.

Un sentimento che in me emerge, è che le piante siano dotate di sensibilità, e so di non essere il solo a provarlo, perché ad esempio anche mia nonna, ma non solo, mi raccontava di essere convinta di questa cosa. Mi sembra impossibile che le piante che producono fiori, assomiglino a forze cieche della natura come possono essere una cascata o un rivolo d'acqua. Penso che sia più verosimile che sentano anche come vivi, sia pure senza averne cognizione, ad esempio gli insetti impollinatori. Mi sembra che le piante, pur non avendo pensiero, non per questo non abbiano una sensibilità che consenta loro di distinguere ciò che ha vita da ciò che non ha vita, e che producano nel tempo una reazione diversa, alle diverse forme di vita. Può darsi che io mi sbagli, ma può darsi invece che io abbia ragione.

Oltre a questo però, se la prospettiva che espongo sull'evoluzione delle specie, si serve di argomenti già presenti nel contesto scientifico, la prospettiva psicologica sulla natura del bello e della bellezza mi sembra decisamente innovativa, oltre che importante perché è un argomento su cui ci si è interrogati durante i secoli, nella storia del pensiero filosofico.

Pensiamo a quanto a noi esseri umani piacciono i fiori, ma che i fiori offrono la propria estetica essenzialmente agli insetti impollinatori. E tuttavia a noi uomini, maschi della specie umana, cosa viene in mente, come prima cosa, di offrire ad una donna per mostrare apprezzamento nei suoi confronti, se non i fiori? Ecco quel che dico, che i fiori esprimono la vita.

Maurizio Proietti iopropars









 

martedì 7 gennaio 2025

Al cambiamento

The breakup
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars



Al cambiamento


In una situazione come questa

In cui non c'è più nulla

Che sembra che si possa fare,

Tentare almeno questo,

Sento di dovere, aprire

La strada al cambiamento.


Maurizio Proietti iopropars


La rottura

Di fronte all'alienazione da sé stessi, imperante nella società presente, in cui il linguaggio stesso, sembra aver perso senso, a causa della finzione imperante, in cui tutto ciò che viene detto o fatto, sembra che venga detto e fatto, allo scopo di costruire il proprio personaggio, tale da poter ricevere dagli altri ammirazione, così che qualsiasi scopo, per quanto nobile viene a cadere soffocato, dalla brama di ricevere l'applauso, la verità rimane veramente, l'unico mezzo per restare liberi, e per aprire la strada al cambiamento.

Maurizio Proietti iopropars


Pensavo alla seguente poesia di Bertolt Brecht:


A chi esita

Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.

 

Poesie (Einaudi, 2014), a cura di G. D. Bonino

È appunto questo che anche io penso, se è giusto ciò che in questa poesia io vi leggo, ma che io in ogni caso penso, che ognuno di noi debba trovare in sé stesso, la motivazione ad operare per il cambiamento.

Maurizio Proietti iopropars




 

venerdì 3 gennaio 2025

Pace dalla Giustizia

Let's hope
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars


Pace dalla Giustizia

Penso proprio che avere pace dalla giustizia sia ciò di cui noi tutti esseri umani abbiamo bisogno.

In tempi aridi come questo nostro presente, riaffiorano anche gli epicurei. Io ne ho conosciuti alcuni un po' di tempo fa. 

[ Tra l'altro - lo dico in via forzatamente confidenziale, aprendo una digressione faziosa per i miei lettori - nell'espressione "tempo fa", la sillaba "fa" non è un avverbio, come sostengono parecchi professoroni che danno lezioni sul web, su come secondo loro si dovrebbero scrivere le parole in italiano, e però non capiscono la loro funzione semantica; ovvero non sono capaci di fare una corretta analisi grammaticale, né una corretta analisi logica.

In questo caso, "fa" è la terza persona singolare del verbo "fare", e il suo soggetto è il "tempo". È, nella forma, come quando diciamo "due più due fa quattro"; espressione questa, in cui il soggetto sottinteso è "la somma di". È come dire "fanno due anni da quando ci siamo conosciuti", dove il soggetto sono i due anni, e il verbo "fare" potrebbe essere sostituito con il verbo "essere". Il verbo fare esprime il risultato di una sorta di calcolo, che quando diciamo "un po' di tempo fa" è piuttosto una stima approssimativa. 

Se, ad esempio, "prima" è un avverbio temporale, possiamo dire che "un po' di tempo fa" è una locuzione avverbiale di tipo temporale, e in questa locuzione, "fa" è un predicato, un verbo, non un avverbio. La locuzione in questione potrebbe essere sostituita con la locuzione equivalente "che è poco tempo". "Li ho conosciuti che è poco tempo", "che è passato poco tempo". 

Lancio questa mia filippica perché sono angosciato dal fatto che persone che non capiscono la funzione semantica delle parole, siano accreditate per dettare legge su come si scrivono. 

Per come la vedo io, il discorso sarebbe ancora più lungo di quello che sto facendo, per cui mi limito a dire che secondo me vi sono forme forti e forme deboli dei verbi "fare" e "dare", ma che quando "fa" è inteso come terza persona singolare del presente indicativo del verbo "fare", e anche viene usato in senso metalinguistico, ovvero come oggetto del discorso e non nel suo significato, converrebbe usare la forma forte "fà", ovvero accentata, ad indicare che denota una forma verbale, ovvero un'azione, e non un oggetto. Questo noi nel linguaggio parlato lo esprimiamo dando più forza alla lettera "a".  Pur mantenendo la stessa quantità di accento, pronunciamo la "a" accompagnandola con un colpo di glottide, che produce anche un suono più gutturale di quello che usiamo per indicare nota musicale "Fa".

La stessa cosa accade per la parola "dànno", che io ora ho scritto accentata, in quanto l'ho posta tra virgolette perché la sto usando in senso metalinguistico isolandola dal contesto, e  perché voglio con questa parola indicare la terza persona plurale del presente indicativo del verbo "dare", che ha una sonorità diversa dal sostantivo "danno", inteso come lesione.

Se non fosse così come dico, allora perché scriveremmo con la lettera "h", varie forme del verbo "avere"? Ma le pronunciamo anche, in modo diverso; non nel senso che aspiriamo la vocale preceduta dalla lettera "h", ma che diamo un colpo di glottide nel pronunciarla, che determina l'enfasi che stiamo usando un'espressione verbale. 

Io dico che può certamente passare, e può anche risultare conveniente, che nel caso dei verbi "fare" e "dare" si lasci cadere l'accento dove tradizionalmente andrebbe usato, perché ci si serve del contesto per determinarne il significato; ma  non posso assolutamente accettare che si sostenga che sia un errore grammaticale aggiungerlo.

Questi professori, dagli che insistono che non si devono aggiungere accenti perché il significato è definito dal contesto, ma non tengono conto che nella lingua italiana, al contrario della lingua inglese, in cui il significato di una parola è definito dal contesto, si cerca di usare parole che siano per sé stesse già definite, che siano cioè più precise possibile, indipendentemente dal contesto. 

Questo è il motivo per cui, ad esempio, invece di usare genericamente il verbo "fare", che sarebbe comunque definito dal contesto, noi italiani che parliamo veramente italiano, e non una forma di italiano semplificata, ove possibile, preferiamo usare il verbo preciso, che definisce esattamente l'azione che vogliamo descrivere. 

Ma a che serve parlare? Questo è essenzialmente il punto che collega la lunga parentesi che ho aperto, al discorso che sto portando avanti: a che serve parlare?]

Gli epicurei ricercano appunto la saggezza nella capacità di gestire il piacere, e perdono di vista la circostanza che l'essere umano è un essere in relazione. La condizione umana, lo stato naturale di un essere umano, sussiste nel suo essere in relazione con altri esseri umani. Noi esseri umani dobbiamo dunque ricercare la nostra realizzazione nel modo in cui siamo in relazione con gli altri, e non nel piacere. 

La Giustizia riassume appunto quell'insieme di forme che definiscono il modo corretto di stare in relazione; quel modo per cui la relazione sia ugualmente soddisfacente per tutti.

Se  il fatto che tutti gli esseri umani debbano essere considerati uguali in diritti e dignità sta alla base della giustizia, a me sembra essere evidente, mi sembra che debba essere altrettanto evidente, che la giustizia possa essere cercata e ritrovata, solo nel dialogo e nel confronto.

Così, perché un filosofo si dovrebbe occupare così "cavillosamente" del linguaggio come faccio io? Perché è diversamente abile, o perché è semplicemente un filosofo che pensa che coloro che si occupano del linguaggio, siano figli di una cultura che non porta avanti l'esigenza del confronto, perché al di là dell'ipocrisia del politicamente corretto, esprime un'ideologia sociale al servizio dell'ingiustizia? La domanda, oltre che eccessivamente lunga, è anche tendenziosa.

Per poter andare avanti, i primi con cui dobbiamo confrontarci sono coloro che ci hanno preceduto. In questo modo riassumo il senso della mia digressione. Non permettiamo che vengano strappate le radici ai popoli.

Maurizio Proietti iopropars


 

mercoledì 1 gennaio 2025

Che altro?

Che altro?
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars


Che altro

Come dire che forse talvolta, ciò a cui solennemente si aspira, è un po' poco e alquanto male orientato.

Maurizio Proietti iopropars


 

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martedì 24 dicembre 2024

Eresie

Eresie
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars

Eresie

Il problema sociale con le religioni, in particolare con quella cristiana, è dato da coloro che fanno leva sul sentimento religioso, per costringere gli altri a comportarsi secondo la propria volontà. Sono questi coloro che hanno perseguitato le eresie nel passato. A mio avviso, gli stessi, cercano al giorno d'oggi di privare chi si distacca dai loro insegnamenti, di qualsiasi visibilità; cosa questa che rende la pratica cristiana istituzionalizzata, ai nostri giorni, ancora più settaria che nel passato. 

In realtà il cristianesimo, quello insegnato dal Cristo Gesù, non solo non perseguitava nessun tipo di eresia, ma è stato perseguitato come dottrina eretica, e lo stesso Gesù è stato condannato a morire sulla croce come eretico. 

Inoltre, per focalizzare meglio la questione, Gesù ha anche fermato un tentativo di reazione armata da parte dell'apostolo Pietro, ammonendolo di rinfoderare la spada, dichiarando che il suo regno non era di questo mondo. 

Così, detto questo, cosa significa per me il Natale? 

Io questo ho letto che "...la Luce è venuta al mondo, ma gli uomini preferirono le tenebre alla Luce, perché le loro opere erano malvagie".

Maurizio Proietti iopropars


 

Festa della donna 2025 (con un sorriso)

Giornata della pesca alla trota dipinto digitale di Maurizio Proietti iopropars Alle donne e alla pesca alla trota Dal circolo della pesca d...