giovedì 16 giugno 2022

Qualche considerazione politica

 Tempo fa ho incontrato un marxista leninista che faceva diffusione di una pubblicazione porta a porta. Ci siamo messi brevemente a parlare, e lui mi ha invitato a partecipare a qualche riunione nella loro sede. Ci siamo scambiati anche i numeri di cellulare e io gli ho inviato il messaggio che segue su questo post. Lui a tutt'oggi non mi ha inviato alcuna risposta. Poiché tuttavia ho espresso queste mie considerazioni, e suppongo che a qualcuno potrebbero interessare, le riporto sul mio blog. Ho sostituito il suo nome con delle x, a tutela della sua privacy.

Ciao Xxxxx. Voglio spiegarti un po' come la penso, per cercare di capire insieme se possiamo arrivare a condividere la pratica politica. 

Io penso che al giorno d'oggi, una posizione teorica rigorosamente leninista non tenga conto del sostanziale fallimento della rivoluzione bolscevica. Non che lo sviluppo che Lenin ha dato al pensiero marxista non abbia raggiunto lo scopo di dare avvio e di vincere la rivoluzione, ma il sistema politico che ne è seguito si è rivelato inadatto ad appianare l'ingiustizia sociale. L'ingiustizia sociale è il fulcro del problema che porta i soggetti sociali antagonisti a voler cambiare radicalmente l'organizzazione della società in cui vivono. È facile comprendere come l'ingiustizia sociale non dipende dalla mala sorte di chi ne è vittima, ma è il risultato di un'organizzazione sociale che la rende necessaria ai danni di una certa quantità di individui che partecipano a questa organizzazione. Non vi può essere altra soluzione che la radicale ristrutturazione dei sistemi sociali che non garantiscono equità e giustizia sociale. Allora, a mio avviso, bisogna certamente vedere come la questione è stata affrontata da coloro che ci hanno preceduto , ma senza assumere un atteggiamento fideistico. Si tratta di capire eventuali errori commessi in passato, per poter operare nel presente al fine di attuare il nostro obiettivo di trasformazione e cambiamento; il nostro obiettivo rivoluzionario. Dobbiamo tenere presente, comunque, che anche noi come chi ci ha preceduto siamo fallibili, anche se questo non ci deve mai fermare dal tentare di perseguire la nostra strada, senza però mai smettere di riflettere sul nostro operato. Dobbiamo riflettervi sia in termini teorici, ma anche in termini etici. In altre parole dobbiamo stare attenti a non commettere noi stessi, in nome della rivoluzione, altre ingiustizie al pari di quelle che ci proponiamo di combattere.

In un momento di riflusso come quello presente, io penso che sia importante soprattutto muoversi su un piano culturale, in modo che chi vive una qualsiasi forma di disagio sociale, sia esso uno svantaggiato o un disadattato, capisca che è nel suo interesse rifiutare l'ideologia dominante, il cui scopo è il mantenimento dell'ordine sociale che produce la sua condizione.


Quanto riportato è quanto gli ho scritto inviandogli anche il link al presente blog. Non ho idea di cosa lui ne pensi, e il messaggio gliel'ho inviato più di due settimane fa. Posso solo dire che sento che le parole che ho riportato mi rappresentano.


Maurizio Proietti iopropars





lunedì 13 giugno 2022

Nega il logos, e vince il premio di filosofia


Consultando le notizie on-line mi sono imbattuto nella storia, quanto meno stravagante, di una studentessa italiana di quinto liceo, di cui un articolo diceva che, confutando Eraclito, aveva vinto, tu pensa, le Olimpiadi Internazionali di Filosofia, tenutesi a Lisbona. No, dico, "confutando Eraclito" si vincono le "Olimpiadi Internazionali di Filosofia". Mi sembra che qui non ci si renda nemmeno conto della statura intellettuale del pensatore che viene citato.

Non è uno scherzo, e vi fornisco i link

https://www.zazoom.it/2022-05-31/giulia-pession-a-19-anni-confuta-eraclito-e-diventa-campionessa-mondiale-di-filosofia-non-esiste/10990419/

https://luce.lanazione.it/giulia-pession-filosofia/

Innanzitutto mi pare interessante sapere perché, non le regolari Olimpiadi, ma le "Olimpiadi Internazionali"; come se vi fossero le Olimpiadi nazionali, quelle cittadine, e anche quelle di quartiere. A questo c'è una spiegazione che svelerò in seguito.

Poi c'è il giornalista autore dell'articolo, che non si rende conto del significato della parola "confutare", che implica che un'argomentazione "confutata" debba essere necessariamente respinta. Questo non sembra proprio essere il caso narrato nell'articolo, vista l'argomentazione che io definirei insensata, che la studentessa vincitrice oppone a una considerazione dell'antico pensatore. Lei semplicemente sostiene che non esiste un logos comune a tutti gli esserei umani, e che dunque ognuno ha pensieri propri.

La sciocca argomentazione di questa studentessa, è proprio in risposta all'amareggiata constatazione di Eraclito che si lamentava: "Sebbene il logos sia comune, la maggior parte delle persone vive come avesse pensieri propri". A me sembra evidente che Eraclito si lamentasse che la maggior parte dei suoi contemporanei non ragionasse, e che questa circostanza determinasse che anziché giungere a conclusioni logiche condivisibili, si giungesse a conclusioni personali e private. "Avere pensieri propri" qui si cotrappone con evidenza al "raggiungere la verità condivisibile", cosa resa possibile dal logos comune a tutti. La studentessa risponde che non c'è un logos comune ed è per questo che ognuno ha pensieri propri. 

È da fare ridere i polli, ma suscita invece sgomento perché con tale argomentazione ha vinto un premio internazionale di filosofia, e nessuno si rende conto dell'assurdità della cosa.

A me sembra anche grave che queste "Olimpiadi" di filosofia si tengano realmente e abbiano una veste ufficiale, producendo confusione sul fondamento dialogico del pensiero filosofico, che fa sì che questo non debba essere presentato in forma di competizione ma di confronto. A dimostrazione di quanto siano una cosa, non mi sento di dire "seria", ma senza dubbio "ufficiale", rilevo che anche il Ministero dell'Istruzione italiano riporta la notizia:

https://www.miur.gov.it/web/guest/-/olimpiadi-internazionali-di-filosofia-l-italia-vince-la-medaglia-d-oro-con-una-studentessa-del-liceo-classico

Da questo sito è possibile sapere chi sono gli organizzatori della bizzarra competizione:

"Le Olimpiadi Internazionali di Filosofia sono organizzate dalla Fisp (International Federation of Philosophical Societies) e sostenute dall’Unesco. Le Olimpiadi di Filosofia sono promosse e organizzate dal Ministero dell’Istruzione d’intesa con la Società Filosofica Italiana e rientrano nel Progetto della Valorizzazione delle eccellenze."

Allora si capisce che gli organizzatori della "manifestazione culturale", per così dire, chiamano "Olimpiadi di Filosofia" le selezioni nazionali per queste "Olimpidi Internazionali", dimostrando di avere anch'essi scarse capacità espressive. E sgomento nasce dal fatto che sono sostenute  dell'Unesco e organizzate da associazioni culturali internazionali e nazionali, e anche, in Italia, dal Ministero della Pubblica Istruzione.

Qui si parla addirittura di "valorizzazione delle eccellenze". Un'affermazione insensata come è quella che "non esiste il logos", va considerata evidentemente un'eccellenza. Questo dimostra che la cultura filosofica ufficiale, o se vogliamo istituzionale, è gestita da persone di cui io non dubito che siano dotate di vastissime conoscenze, ma che mostrano di non avere comprensione dei testi. Per ironia della sorte, è proprio il genere di persone contro cui Epicuro polemizzava. È ovvio, e potrebbe anche essere esilarante se non fosse drammatico, che le persone che non esercitano comprensione, ma sono ricche di dottrina perché hanno accumulato un grande bagaglio di nozioni, neghino l'esistenza di un logos comune, perché appunto esse stesse ne fanno a meno. Il problema è che senza logos non è possibile alcuna argomentazione, né alcun confronto.

Mi pare che solo senza capire cosa significhi il logos in Eraclito, si possa negare la sua esistenza, perchè ci si troverebbe in tal modo a negare la possibilità del pensiero razionale. E d'altra parte mi pare evidente che il logos di Eraclito indichi le leggi del pensiero, sebbene egli riconosca anche un logos presente in natura, ovvero delle leggi che governano il mondo naturale. 

Da uomo moderno mi sembra corretto pensare che l'universo sia governato da leggi che regolano i suoi mutamenti, e che dunque vi sia in questo senso un logos nella natura, come sosteneva Eraclito. E mi sembra corretto pensare che l'umano intelletto, a cui questo universo in qualche modo ha dato origine, sia anch'esso governato da leggi, e che vi sia dunque un logos nel pensiero umano. Mi sembra corretto pensare che tramite le proprie leggi, l'umano intelletto possa comprendere le leggi che governano l'universo, unificando in tal modo il molteplice, come sosteneva Eraclito, e capire che in esso vi sono dinamiche dovute alla coesistenza di opposti, come sosteneva Eraclito. 

Alla studentessa di quinto anno di liceo, avrei chiesto almeno di comprendere la frase citata, prima di argomentare su di essa. Almeno avrebbe dovuto capire che il logos a cui si riferisce la considerazione citata di Eraclito, indica l'elemento razionale dell'umano intelletto. Chiunque voglia argomentare, deve anche ammettere che l'umano intelletto sia governato da leggi, che rendono necessario che partendo dalle stesse premesse, ogni essere umano giunga alle stesse conclusioni. Le differenze di pensiero, talvolta apparentemente inconciliabili, possono semmai essere attribuite a differenti esperienze e patrimonio culturale, che spesso caratterizzano persone di diversa estrazione, e dunque a differenti premesse, ma mai alla non esistenza di principi comuni ad ogni umano intelletto. 

Anche La Repubblica riporta la notizia:

https://torino.repubblica.it/cronaca/2022/05/31/news/giulia_pession_valdostana_e_campionessa_mondiale_di_filosofia_ho_vinto_argomentando_su_eraclito-351927462/

Su questo giornale hanno l'accortezza di dire che la studentessa italiana ha vinto "argomentando" su Eraclito, perché è esattamente ciò che lei ha fatto. Non ha nemmeno "contraddetto" una sua sentenza, come lei afferma di aver fatto, poiché ha semplicemente espresso una tesi opposta alla sua, senza però sostenerla con alcuna argomentazione con cui contraddirla, e dunque meno che mai l'ha confutata. Tuttavia ha argomentato in un modo che rivela una non comprensione del testo sul quale ha argomentato, vincendo, ahimé, il primo premio della penosa contesa.

Volendo promuovere la filosofia e lo sviluppo del pensiero filosofico, si sarebbero potuti organizzare degli "Incontri Internazionali", in cui dei riconoscimenti e dei premi si sarebbero anche potuti assegnare, ma in cui si sarebbe tuttavia dato più rilievo al confronto che alla competizione. Il fatto che si siano invece organizzate queste "Olimpiadi Internazionali", mette in luce come l'ideologia neoliberista, che pretende che ogni aspetto della civiltà debba essere basato sulla competizione, si sia impossessata della gestione della cultura. La stessa cultura dominante, quella che viene spacciata come unica e sola cultura esistente, è una cultura mercantilistica.

È forse proprio all'interno di questa cultura mercantilistica che ci si può permettere di commentare un testo senza cercare di capirne il significato. Questo testo è per loro un prodotto che si incontra sul mercato, e questa studentessa valdostana, Giulia Pesson, ha argomentato in modo da rendere attraente ai loro occhi il suo prodotto. Riporto dall'articolo de La Repubblica

"La prova - racconta Giulia Pession - presentava quattro tracce: un frammento di Eraclito, un brano di Kant tratto dalla 'Critica del Giudizio', un altro di Hannah Arendt da 'La Banalità del male' e una citazione del filosofo cinese Laozi."

 Giulia ha scelto Eraclito: "Sono partita da una sua citazione: 'Sebbene il logos sia comune, la maggior parte delle persone vive come avesse pensieri propri'. Ho organizzato il mio testo sul fatto che non c’è un logos comune e che le persone pensano in modo diverso perché sono tutte diverse. È la grande sfida che devono affrontare le democrazie. E' stato poi molto interessante vedere come, a partire da una stessa traccia, ogni partecipante abbia argomentato in modo molto differente, e confrontarci sui diversi presupposti culturali. Non mi aspettavo che sarebbe andata così bene, ero già molto felice di aver potuto partecipare alla finale".

Sarei curioso di sapere in che modo le democrazie potrebbero affrontare la sfida della diversità, se non esistesse un logos che ci accomuna.

È senza alcun dubbio vero che le persone sono tutte diverse, ma i principi secondo cui si sviluppa il pensiero devono essere necessariamente gli stessi. Altrimenti non avrebbe alcun senso il confronto, non sarebbe possibile arrivare a un accordo, e nessuma scienza sarebbe parimenti possibile. È lo stesso principio che ci porta a distinguere il vero dal falso, rendendo tra l'altro anche efficace il nostro operare nel mondo che ci circonda, che permette il confronto tra noi esseri umani sul nostro pensiero. È questo il principio che chiamiamo "logos", che vuol dire appunto "ragione" e "discorso".

Non si può affermare che le persone sono tutte diverse, senza anche capire che tuttavia vi è anche qualcosa che tutte hanno in comune. Io per l'affermazione che non esiste il logos, sono preso da angoscia, e sostengo che è un'affermazione atta a generare angoscia, in quanto è la negazione della possibilità di ogni civiltà. Io non vedo cosa altro potrebbe fondare un accordo in seguito al confronto, se non l'unità dei principi del nostro intelletto. Laddove, poi, si giunge al confronto attraverso il sentimento che ci unisce in quanto ci riconosciamo, per quanto diversi, sostanzialmente identici.

Tuttavia bisogna ammettere che un discorso sulla diversità come quello elaborato da questa studentessa, oggi come oggi, ai tempi del "politicamente corretto", è un discorso che vende. Penso che sia questo quello che conta. Suona molto inclusivo.

Che poi la studentessa abbia un po' il vizio di argomentare usando parole che non capisce con precisione, lo dimostra quello che segue, sempre tratto da La Repubblica:

"Bisogna anche ragionare sul fatto che la scienza non sarebbe mai sorta senza le domande filosofiche: la filosofia non è assolutamente ossimorica rispetto alla scienza, anzi continua ad essere un fondamentale punto di confronto per la scienza stessa".

A parte il fatto che se non vi fosse il logos non sarebbe possibile nemmeno il pensiero scientifico, dire che la filosofia "non è ossimorica" rispetto alla scienza non significa nulla.

Per essere ossimorica la filosofia dovrebbe produrre ossimori, ovvero figure retoriche in cui elementi apparentemente in opposizione sono presenti nella stessa sentenza, del tipo "silenzio assordante". Non vedo come la filosofia potrebbe essere "ossimorica rispetto alla scienza". Penso che quello che la studentessa abbia voluto dire è che la filosofia non è in antitesi col pensiero scientifico, o in contrapposizione ad esso. In realtà le due figure retoriche, quella dell'antitesi e quella dell'ossimoro sono abbastanza simili. Tuttavia la parola "antitesi" può anche non essere riferita alla figura retorica, ed essere intesa come sinonimo di "conflitto". Al contrario la parola "ossimoro" è esclusivamente riferita alla figura retorica. Ma se vogliamo valorizzare le eccellenze, qualche parola difficile ce la dobbimo mettere, mi pare.


Il punto è che la cultura non può essere vista come una competizione, ma come collaborazione per ampliare la comprensione di noi stessi e del mondo che ci circonda. In questo senso la cultura è quanto di più collettivo che come esseri umani ci è dato.

Maurizio Proietti iopropars

lunedì 6 giugno 2022

La prudenza de noi romani



 




Il mio "Stato" di WhatsApp che ho pubblicato stamattina, mi è parso importate e ho voluto riportarlo sul mio blog.







sabato 4 giugno 2022

Espoliazione


 

Io dico che abbiamo tutto il diritto di prenderci il vaiolo delle scimmie."Ma questo non è il diritto del più forte?" Sì, è proprio il diritto del più forte. Abbiamo portato molte specie all'estinzione, e questo certamente è stato un errore. Nonostante ciò abbiamo comunque il diritto di prenderci questo vaiolo come tutte le altre malattie degli animali. Ne abbiamo il diritto in qualità di specie più evoluta esistente sulla terra. Dobbiamo essere disposti anche a morire per questo ( "che sarebbe ora" ).

Maurizio Proietti iopropars

martedì 24 maggio 2022

Josè Martì, un poeta in cui mi ritrovo.

Josè Martì (1853-1895), eroe nazionale cubano, è un poeta in lingua spagnola, nel quale io mi ritrovo. 

Così semplice e diretto, ma così capace di proporre contenuti importanti, che portano l'animo al cambiamento, in chi leggendo poesie si vuole arricchire, ovvero migliorare sé stesso.

Così, se dico che in lui mi ritrovo, intendo che mi aiuta in quella ricerca di me stesso che io mi prefiggo, e che è anche autodeterminazione, scelta e persecuzione della direzione verso cui orientare il mio sviluppo. 

La prima sua poesia in cui io mi sono imbattuto, appartiene alla raccolta "Versos sencillos" del 1891, in cui porta il numero 39. 

Questa poesia è stata tradotta e messa in musica da Sergio Endrigo, ed io ebbi modo di ascoltare la canzone da lui ricavata da questo testo, alla fine del film "La Rimpatriata", di Damiano Damiani, con Walter Chiari. Riporto il video con la canzone da YouTube per chi volesse ascoltarla.



Il motivo che mi ha spinto a scrivere questo post è che in rete ho letto commenti e spiegazioni di questa poesia, che a me sembra che banalizzino il testo della poesia. Intendo dire sia commenti in italiano che in spagnolo.

Sentire dire che questa è una poesia sull'amicizia e sul porgere l'altra guancia, richiama alla mia mente il perbenismo benpensante, che tutto assorbe ed appiattisce. Per un benpensante, l'opera d'arte è come un qualsiasi gioco del settimanale di enigmistica, e quello che bisogna fare è di capirne il significato, e in questo modo, uno è una persona colta.

Riporto il testo spagnolo, e poi la traduzione che io stesso ho dato.

Cultivo una rosa blanca
En julio como en enero,
Para el amigo sincero
Que me da su mano franca.
Y para el cruel que me arranca
El corazón con que vivo,
Cardo ni oruga cultivo;
Cultivo la rosa blanca.

Coltivo una rosa bianca
In luglio come in gennaio,
Per l'amico sincero
Che mi dà la sua mano franca.
Per il crudele
Che mi strappa il cuore mio stesso
Col quale vivo,
Né cardo né ortica coltivo;
Coltivo la rosa bianca.

Non è semplicemente il porgere l'altra guancia, perché qui il poeta non parla di un'offesa moderata, simboleggiata dallo schiaffo, ma del "crudele che gli strappa il cuore con cui vive". Io nella mia traduzione ho evidenziato il peso dell'offesa subita, perché il poeta non dice solo che il crudele gli strappa il cuore, ma il cuore con cui vive. Parla di qualcuno che lo fa soffrire al punto da togliergli la vita. Ecco allora che l'amore puro che egli coltiva in ogni condizione, gli permette di continuare a vivere e di distogliersi dal ricercare la vendetta. "Ecco allora" io dico, perché coltivare la rosa bianca viene posto come alternativa conclusiva.

È una poesia fortemente cristiana che esalta l'amicizia come fonte di vita e di pace.

Che poi questo sia il pensiero di questo poeta si trova conferma nella poesia numero 35 della stessa raccolta.

¿Qué importa que tu puñal
Se me clave en el riñón?
¡Tengo mis versos, que son
Más fuerte que tu puñal!
¿Qué importa que este dolor
Seque el mar y nuble el cielo?
El verso, dulce consuelo,
Nace al lado del dolor.

Che importa che il tuo pugnale
Sia conficcato nei miei reni?
Ho i miei versi, che sono
Più forti del tuo pugnale!
Che importa che questo dolore
Il mare prosciughi e oscuri il cielo?
Il verso, dolce consolazione,
Nasce al fianco del dolore.

Maurizio Proietti iopropars

lunedì 16 maggio 2022

La #pace ha bisogno di #verità. #Paceproibita

 L'attuale conflitto bellico tra Russia e NATO, nella devastata Ucraina, determina in me maggiore urgenza di riflettere sull'iniqua distribuzione delle ricchezze e dunque del potere, in Italia come nel resto del mondo. Pervertire la giustizia e il diritto, genera conflitto. Chi detiene il potere confonde la verità, in modo che chi è spinto, anche se non costretto, a infrangere le regole, non trovi sostegno, anche se è in parte vittima del sistema. È come giocare al casinò. Non è che i giochi del casinò siano truccati; è che le regole sono tali per cui i gestori del casinò sono gli unici che guadagnano sempre. Ecco, io sono stufo di vivere nel casino.

Vorrei proporre ai lettori del mio blog due brevi video. Sono le registrazioni di due interventi all'iniziativa #Paceproibita, organizzata da Michele Santoro. Il primo, della durata di 6':50", è di Sabina Guzzanti. Nel secondo, della durata di 4':47", Elio Germano legge Gino Strada. Io mi riconosco in entrambi gli interventi, che sono in linea con le perplessità e le idee che io stesso ho espresso nel presente blog.

La mia personale opinione è che i reali motivi di questo conflitto bellico russo-ucraino vengano taciuti sia dai governanti russi che da quelli ucraini ed europei e americani. È molto verosimile che il Dombass sia così conteso perché ricco di metalli rari necessari all'alta tecnologia. Che tuttavia vi sia anche un conflitto etnico in corso, mi sembra che sia evidente. Per fare una guerra, occorre che essa sia negli interessi di chi la finanzia, ma anche dei poveri disgraziati che la combattono.

Il punto è che se non vi fossero gli interessi di chi la finanzia, gli interessi dei poveri disgraziati che la combattono potrebbero essere oggetto di una mediazione che porterebbe a un compromesso soddisfacente per tutti e, senza alcun dubbio, più umano che scannarsi a vicenda. Se però noi inviamo una spropositata quantità di armi e neghiamo che qualsiasi conflitto etnico sia presente in Ucraina, questo a mio avviso vuol dire che siamo parte belligerante. Ma noi chi? Io no dicerto, ma neanche molti altri poveracci come me. 

Quello che io dico è che vanificare l'ordine democratico - ovvero il potere condiviso - con l'astuzia, con l'inganno, e con il sotterfugio, sarà magari meno cruento che sovvertirlo con la violenza, ma è comunque un abuso, una sopraffazione, e conduce comunque, indirettamente, ad altre forme di crudeltà.

La mia valutazione della società italiana - ma questo sarà vero in altre forme, anche negli altri paesi europei e negli Stati Uniti d'America - è che la società italiana è una società clientelare. 

 Ora, per quanto questa è una circostanza che quasi mai viene spiegata a chiare lettere, lo Stato fascista è l'istituzionalizazione del clientelismo. A capire questa circostanza ci si può arrivare analizzando cosa era e come era organizzata la società italiana durante gli anni della dittatura fascista.

Il punto essenziale, nel presente momento storico in occidente, è che il clientelismo non è istituzionalizzato, per cui è possibile arrivare a una più equa distribuzione del potere e delle ricchezze, tramite la pacifica  "denuncia sociale", ovvero attraverso l'analisi condivisa dei meccanismi che regolano la distribuzione del potere. 

Alla base di tutto vi è una sproporzione così grande nella distribuzione delle ricchezze, che non è possibile che non produca inquità nella distribuzione del potere. Questa iniquità in una spirale perversa, va a sua volta ad amplificare la sproporzione nella distribuzione delle ricchezze.

Avere e potere sono due elementi fra loro intrecciati, e occorre che le masse dei meno abienti ne prendano coscienza.

Il problema è che per giungere a questo occorrerebbe più gente matura e meno gigioni. Il problema è che la maggioranza delle persone parla ed esprime opinioni esclusivamente per costruirsi un'immagine sociale. In parole povere si atteggiano e basta.

Tuttavia anche il fenomeno sociale di una scarsa autenticità diffusa nella nostra società, è un fenomeno culturale relato all'organizzazione sociale che viene prodotta, rivolta all'organizzazione della produzione e alla distribuzione dei beni di consumo. Io non credo che l'organizzazione della produzione, e la società che al servizio di questa viene strutturata, determini univocamente l'individuo, ma di certo privilegia alcune sue scelte a discapito di altre.

A me sembra che la situazione intorno a me sia piuttosto drammatica. La stessa dimensione dell'autenticità è stata assunta da coloro che si atteggiano, come fattore di cui farsi fregio. C'è una persona che io conosco, che è certamente tra i più atteggioni privi di spessore morale che io abbia mai conosciuto, che ha aperto un gruppo su WhatsApp, insieme ad altri fasulli come lui, e forse insieme anche a qualche sprovveduto, e l'hanno chiamato "Gente Vera".

Come emerge dalle analisi del gigantesco pensatore danese Soren Kierkegaard, vi è una dimensione estetica nell'operare umano, e una etica. Lui vi aggiunge anche quella morale, che insorge quando la persona che si muove sul piano etico si accorge della condizione disperata della propria scelta etica, e trova stabilità e fondamento nella fede. Al di là di questa dimensione morale, in cui io tuttavia mi ritrovo ad essere, è importante tuttavia che ciascuno di noi si rivolga autenticamente a perseguire valori etici, interrogandosi anche su questa autenticità, ovvero sul fatto di perseguire i propri valori etici in modo disgiunto da ogni interesse personale.

Il bene va amato per sé stesso, al di sopra dell'amore che si ha per sé stessi. Questo riassume appieno il cristianesimo nel suo comandamento più grande, di amare Dio al di sopra di tutto, e nell'altro, che direttamente da esso discende, di amare il prossimo come sé stessi.

Tra i video di questo convegno Pace Proibita, ho visionato anche interventi di persone che autentiche non mi sono apparse affatto, e mi sono sembrate invece alla caccia di successo, e pertanto tese ad occupare una nicchia ecologica non ancora intensamente sfruttata dalla concorrenza. Come dire che così va il mondo. L'antidoto è imparare a pensare con la propria testa. Non abbiamo bisogno di leaders, ma di pensare e decidere autonomamente, accettando sempre anche il confronto con gli altri.

                               Maurizio Proietti iopropars





sabato 7 maggio 2022



           

                      Oltre me stesso

Ciò che avrebbe potuto essere
E non è stato,
Ciò che è stato disprezzato,
Non per questo non esiste
Più nella mia mente.
Non per questo più non può
Essere presente
In me, nella mia persona, 
In ciò che sono io.
Ma è anzi quello che mi spinge,
Che richiede
In me l'impegno di portare
Ciò che mi circonda al cambiamento,
Affinché possa trovare
Io piena espressione di me stesso.
Ma se non io
Altri almeno                                                   
Che dopo di me verranno
Coi mie stessi sentimenti,
Perché possano trovare loro,
Questi sentimenti,
Un posto in questo mondo.
Così che nel mio canto
Oltre me stesso,
Nella fede si espande la mia mente. 
                            
Maurizio Proietti iopropars 





                                                    
                                                 



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