martedì 7 gennaio 2025

Al cambiamento

The breakup
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars



Al cambiamento


In una situazione come questa

In cui non c'è più nulla

Che sembra che si possa fare,

Tentare almeno questo,

Sento di dovere, aprire

La strada al cambiamento.


Maurizio Proietti iopropars


La rottura

Di fronte all'alienazione da sé stessi, imperante nella società presente, in cui il linguaggio stesso, sembra aver perso senso, a causa della finzione imperante, in cui tutto ciò che viene detto o fatto, sembra che venga detto e fatto, allo scopo di costruire il proprio personaggio, tale da poter ricevere dagli altri ammirazione, così che qualsiasi scopo, per quanto nobile viene a cadere soffocato, dalla brama di ricevere l'applauso, la verità rimane veramente, l'unico mezzo per restare liberi, e per aprire la strada al cambiamento.

Maurizio Proietti iopropars


Pensavo alla seguente poesia di Bertolt Brecht:


A chi esita

Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.

 

Poesie (Einaudi, 2014), a cura di G. D. Bonino

È appunto questo che anche io penso, se è giusto ciò che in questa poesia io vi leggo, ma che io in ogni caso penso, che ognuno di noi debba trovare in sé stesso, la motivazione ad operare per il cambiamento.

Maurizio Proietti iopropars




 

venerdì 3 gennaio 2025

Pace dalla Giustizia

Let's hope
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Maurizio Proietti iopropars


Pace dalla Giustizia

Penso proprio che avere pace dalla giustizia sia ciò di cui noi tutti esseri umani abbiamo bisogno.

In tempi aridi come questo nostro presente, riaffiorano anche gli epicurei. Io ne ho conosciuti alcuni un po' di tempo fa. 

[ Tra l'altro - lo dico in via forzatamente confidenziale, aprendo una digressione faziosa per i miei lettori - nell'espressione "tempo fa", la sillaba "fa" non è un avverbio, come sostengono parecchi professoroni che danno lezioni sul web, su come secondo loro si dovrebbero scrivere le parole in italiano, e però non capiscono la loro funzione semantica; ovvero non sono capaci di fare una corretta analisi grammaticale, né una corretta analisi logica.

In questo caso, "fa" è la terza persona singolare del verbo "fare", e il suo soggetto è il "tempo". È, nella forma, come quando diciamo "due più due fa quattro"; espressione questa, in cui il soggetto sottinteso è "la somma di". È come dire "fanno due anni da quando ci siamo conosciuti", dove il soggetto sono i due anni, e il verbo "fare" potrebbe essere sostituito con il verbo "essere". Il verbo fare esprime il risultato di una sorta di calcolo, che quando diciamo "un po' di tempo fa" è piuttosto una stima approssimativa. 

Se, ad esempio, "prima" è un avverbio temporale, possiamo dire che "un po' di tempo fa" è una locuzione avverbiale di tipo temporale, e in questa locuzione, "fa" è un predicato, un verbo, non un avverbio. La locuzione in questione potrebbe essere sostituita con la locuzione equivalente "che è poco tempo". "Li ho conosciuti che è poco tempo", "che è passato poco tempo". 

Lancio questa mia filippica perché sono angosciato dal fatto che persone che non capiscono la funzione semantica delle parole, siano accreditate per dettare legge su come si scrivono. 

Per come la vedo io, il discorso sarebbe ancora più lungo di quello che sto facendo, per cui mi limito a dire che secondo me vi sono forme forti e forme deboli dei verbi "fare" e "dare", ma che quando "fa" è inteso come terza persona singolare del presente indicativo del verbo "fare", e anche viene usato in senso metalinguistico, ovvero come oggetto del discorso e non nel suo significato, converrebbe usare la forma forte "fà", ovvero accentata, ad indicare che denota una forma verbale, ovvero un'azione, e non un oggetto. Questo noi nel linguaggio parlato lo esprimiamo dando più forza alla lettera "a".  Pur mantenendo la stessa quantità di accento, pronunciamo la "a" accompagnandola con un colpo di glottide, che produce anche un suono più gutturale di quello che usiamo per indicare nota musicale "Fa".

La stessa cosa accade per la parola "dànno", che io ora ho scritto accentata, in quanto l'ho posta tra virgolette perché la sto usando in senso metalinguistico isolandola dal contesto, e  perché voglio con questa parola indicare la terza persona plurale del presente indicativo del verbo "dare", che ha una sonorità diversa dal sostantivo "danno", inteso come lesione.

Se non fosse così come dico, allora perché scriveremmo con la lettera "h", varie forme del verbo "avere"? Ma le pronunciamo anche, in modo diverso; non nel senso che aspiriamo la vocale preceduta dalla lettera "h", ma che diamo un colpo di glottide nel pronunciarla, che determina l'enfasi che stiamo usando un'espressione verbale. 

Io dico che può certamente passare, e può anche risultare conveniente, che nel caso dei verbi "fare" e "dare" si lasci cadere l'accento dove tradizionalmente andrebbe usato, perché ci si serve del contesto per determinarne il significato; ma  non posso assolutamente accettare che si sostenga che sia un errore grammaticale aggiungerlo.

Questi professori, dagli che insistono che non si devono aggiungere accenti perché il significato è definito dal contesto, ma non tengono conto che nella lingua italiana, al contrario della lingua inglese, in cui il significato di una parola è definito dal contesto, si cerca di usare parole che siano per sé stesse già definite, che siano cioè più precise possibile, indipendentemente dal contesto. 

Questo è il motivo per cui, ad esempio, invece di usare genericamente il verbo "fare", che sarebbe comunque definito dal contesto, noi italiani che parliamo veramente italiano, e non una forma di italiano semplificata, ove possibile, preferiamo usare il verbo preciso, che definisce esattamente l'azione che vogliamo descrivere. 

Ma a che serve parlare? Questo è essenzialmente il punto che collega la lunga parentesi che ho aperto, al discorso che sto portando avanti: a che serve parlare?]

Gli epicurei ricercano appunto la saggezza nella capacità di gestire il piacere, e perdono di vista la circostanza che l'essere umano è un essere in relazione. La condizione umana, lo stato naturale di un essere umano, sussiste nel suo essere in relazione con altri esseri umani. Noi esseri umani dobbiamo dunque ricercare la nostra realizzazione nel modo in cui siamo in relazione con gli altri, e non nel piacere. 

La Giustizia riassume appunto quell'insieme di forme che definiscono il modo corretto di stare in relazione; quel modo per cui la relazione sia ugualmente soddisfacente per tutti.

Se  il fatto che tutti gli esseri umani debbano essere considerati uguali in diritti e dignità sta alla base della giustizia, a me sembra essere evidente, mi sembra che debba essere altrettanto evidente, che la giustizia possa essere cercata e ritrovata, solo nel dialogo e nel confronto.

Così, perché un filosofo si dovrebbe occupare così "cavillosamente" del linguaggio come faccio io? Perché è diversamente abile, o perché è semplicemente un filosofo che pensa che coloro che si occupano del linguaggio, siano figli di una cultura che non porta avanti l'esigenza del confronto, perché al di là dell'ipocrisia del politicamente corretto, esprime un'ideologia sociale al servizio dell'ingiustizia? La domanda, oltre che eccessivamente lunga, è anche tendenziosa.

Per poter andare avanti, i primi con cui dobbiamo confrontarci sono coloro che ci hanno preceduto. In questo modo riassumo il senso della mia digressione. Non permettiamo che vengano strappate le radici ai popoli.

Maurizio Proietti iopropars


 

mercoledì 1 gennaio 2025

Che altro?

Che altro?
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Maurizio Proietti iopropars


Che altro

Come dire che forse talvolta, ciò a cui solennemente si aspira, è un po' poco e alquanto male orientato.

Maurizio Proietti iopropars


 

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martedì 24 dicembre 2024

Eresie

Eresie
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Maurizio Proietti iopropars

Eresie

Il problema sociale con le religioni, in particolare con quella cristiana, è dato da coloro che fanno leva sul sentimento religioso, per costringere gli altri a comportarsi secondo la propria volontà. Sono questi coloro che hanno perseguitato le eresie nel passato. A mio avviso, gli stessi, cercano al giorno d'oggi di privare chi si distacca dai loro insegnamenti, di qualsiasi visibilità; cosa questa che rende la pratica cristiana istituzionalizzata, ai nostri giorni, ancora più settaria che nel passato. 

In realtà il cristianesimo, quello insegnato dal Cristo Gesù, non solo non perseguitava nessun tipo di eresia, ma è stato perseguitato come dottrina eretica, e lo stesso Gesù è stato condannato a morire sulla croce come eretico. 

Inoltre, per focalizzare meglio la questione, Gesù ha anche fermato un tentativo di reazione armata da parte dell'apostolo Pietro, ammonendolo di rinfoderare la spada, dichiarando che il suo regno non era di questo mondo. 

Così, detto questo, cosa significa per me il Natale? 

Io questo ho letto che "...la Luce è venuta al mondo, ma gli uomini preferirono le tenebre alla Luce, perché le loro opere erano malvagie".

Maurizio Proietti iopropars


 

venerdì 20 dicembre 2024

L'istante d'estasi di Emily Dickinson

 

Una precisa misura
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Maurizio Proietti iopropars


L'istante d'estasi di Emily Dickinson


Ho voluto dare una mia versione in italiano di una poesia dell'intensa poetessa americana Emily Dickinson - che riporto in seguito in questo post - perché come spesso mi accade, non mi ritrovavo né con la spiegazione, né con la traduzione che davano di questa poesia, in una pagina di un sito in cui sono andato a leggerla, quando l'ho trovata nel mio "feed". 

Mi piace leggere le altrui poesie, come mi piace senz'altro Emily Dickison, e così mi trovo spesso proposte di poesie nei suggerimenti del browser, e mi sono anche trovato di fronte alla prima strofa di una poesia di questa poetessa:


Per un istante d’estasi
noi paghiamo in angoscia
una misura esatta e trepidante,
proporzionata all’estasi.


Le prime righe della spiegazione che ne davano, mi hanno subito lasciato assai perplesso. Dicevano che questi versi ricordano quanto sia fugace la felicità e quanto dovremmo apprezzarla. E si dilungavano poi in quelle che mi sono apparse come spiegazioni su una supposta relazione mercantilistica sul bilancio tra gioia e dolore nella vita. Sono stato colto allora dall'angosciosa sensazione che chi spiegava i versi, come pure il traduttore, fossero incapaci di lasciarsi lacerare il cuore da una forte espressione di dolore, e ho voluto leggere il testo inglese, che ho tuttavia dovuto ricercare in un altro sito:

                                  For each extatic instant



For each extatic instant

we must an anguish pay
in keen and quivering ratio
to the extasy –

For each beloved hour
sharp pittances of years –
bitter contested farthings –
and coffers heaped with tears!

Vi ho sentito un grido di dolore amaro, pure così composto.
Ma la traduzione che segue - che è poi l'unica che ho trovato in internet - è stata quella che mi è venuta incontro, senza alcuna indicazione di chi fosse l'autore, nel sito dove riportavano il testo inglese:


                       Per un istante d'estasi

Per un istante d'estasi
noi paghiamo in angoscia
una misura esatta e trepidente,
proporzionata all'estasi.

Per un'ora diletta
compensi amari d'anni,
centesimi strappati con dolore,
scrigni pieni di lacrime.


Ho voluto allora tradurre da me stesso, perché ho sentito che quello che leggevo in italiano non corrispondeva a quello che provavo:
     

Per ciascun estatico momento 

Per ciascun estatico momento
Un'angoscia ci è dato di pagare
In esatta e trepidante misura
All' estasi-

Per ciascun' ora diletta
Precise miserie d' anni-
Al centesimo contese amaramente-
E scrigni ricolmi di lacrime!

Emily Dickinson (nella traduzione di Maurizio Proietti iopropars)

Qui non si porta avanti una riflessione filosofica sul bilanciamento di gioia e di dolore nella vita umana. Si esprime una profondamente dolorosa, se pure compassata, constatazione su come dolorosa sia  la vita, e riguardo alla gioia, avara, tanto da farla pagare col dolore, in proporzione così fiscale, quanto terribilmente ingiusta. È un qualcosa innanzitutto da sentire, non un trattato su cui riflettere. È constatare quanto è avara di letizia la vita, ma riuscire anche a comunicarlo attraverso la poesia, ovvero rendere la sensazione di quello che si prova. Ma questa sensazione che la poetessa comunica, si perde a mio avviso in quella traduzione, che è forse la più accreditata, e ancora di più nelle spiegazioni che mi sono ritrovato a leggere, e che mi hanno fatto sentire in una certa misura, mi viene da dire, solo.

La mia impressione è che sempre di più col trascorrere degli anni, insieme alle trasformazioni climatiche, si vada anche perdendo nel mondo la compassione; e che per questo anche molti di coloro che parlano, per così dire ex cattedra, perdono il senso della poesia. Non si tratta di sfoderare chissà quale scienza interpretativa, ma di aprirsi al sentimento.

Io, riguardo alla vita, ho certamente un atteggiamento diverso da quello di Emily Dickinson. Io ho ritrovato un equilibrio nell'esperienza del mio sentimento religioso, anche se questa è una cosa che avrebbe fatto storcere il naso a molti dei miei amici e compagni di lotta della "contestazione giovanile", che ha riempito la mia giovinezza e anche parecchi degli anni successivi. Ma è tuttavia qualcosa, che non solo non ha esaurito in me la volontà di operare per costruire un mondo migliore e più giusto, ma mi dà la forza di continuare ad infrangermi contro i muri dell'indifferenza e dell'ipocrisia, e dell'alienazione da sé; argini eretti contro il cambiamento. Mi ritrovo nelle parole di Jim Morrison: 

"Be always like the sea, than breaking up against cliffs it finds always the force to try again" 

(Jim Morrison)

"Sii sempre come il mare: piuttosto che contro gli scogli rompersi, trova sempre la forza di tentare ancora".

(Jim Morrison, nella traduzione di Maurizio Proietti iopropars)


Come il mare
(poesia di Maurizio Proietti iopropars)

Non è che sia scomparso

Dalla mia mente l'obbiettivo,

Ma che della vittoria

Non ho più bisogno,

Perché perseguendo la giustizia,

Anche nella sconfitta trovo

La realizzazione di me stesso.

In questo sono come il mare

Quando mi infrango contro i muri

Dell'indifferenza e dell'ipocrisia,

E dell'alienazione da sé stessi;

Argini questi

Costruiti contro il cambiamento.


Eppure comunque amo Emily Dickinson, per il modo in cui riporta il proprio animo sensibile nel suo poetare. Amare per me in questo caso non è dare, ma saper ricevere da lei qualcosa; da lei che essendosi resa amabile, ha potuto in questo modo amare. E tuttavia proprio perché posso sentire la sua presenza, compiango la sua assenza. Credo che sia questo ciò che Ugo Foscolo ha chiamato, "corrispondenza d'amorosi sensi".

Maurizio Proietti iopropars



                                          


martedì 26 novembre 2024

Ancora (poesia d'amore)

Ancora
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars



Ancora


È una cosa incredibile

I suoi occhi mi dicono

Che il mondo sia questo.

È questo il modo in cui

Viene, lei tra le mie braccia,

Ed è anche per questo

Che vorrei un mondo migliore

Di questo che ci è dato.

E anche per questo, adesso

Che da troppo tempo

Lei non è più tra le mie braccia,

Io continuo

A desiderare un mondo 

Migliore di questo che ci è dato.

Di questo mondo in cui

Anche ci siamo persi

E di incontrarla ancora

Più non mi è stato dato.


Maurizio Proietti iopropars


 

La libbertà de pensiero. Poesia de Trilussa


 

La libbertà de pensiero
(poesia de Trilussa)


Un gatto bianco, ch’era presidente

der circolo der Libbero Pensiero

sentì che un Gatto nero,

libbero pensatore come lui,

je faceva la critica

riguardo a la politica

ch’era contraria a li principi sui.

“Giacché nun badi a li fattacci tui,

– je disse er Gatto bianco inviperito -,

rassegnerai le proprie dimissione

e uscirai da le file der partito:

che qui la poi pensà libberamente

come te pare a te, ma a condizzione

che t’associ a l’idee der presidente

e a le proposte de la commissione!”

– “E’ vero, ho torto, ho aggito malamente…” –

Rispose er Gatto nero.

E pe’ restà ner Libbero Pensiero

da quela vorta nun pensò più gnente.

Un tuffo nel passato

3D Cyber Vibration dipinto digitale di Maurizio Proietti iopropars   Un tuffo nel passato In questi giorni si è tornato a parlare sui ...