È come se vi fosse gente impegnata nella costruzione di un'opera, e vi fosse qualcuno che grida loro che si devono fermare, perché stanno sbagliando e bisogna fare delle modifiche, e gli altri invece di fermarsi, ripetono quello che quell'uomo dice, imitando il suono della sua voce, perché a loro piace il suono della sua voce, perché a loro piace la passione che lui mette nella sua voce, la sentono come qualcosa di bello e vogliono attribuirsela e farsene fregio. Ma ciò che sentono e pensano bello è l'amore che quell'uomo porta per loro. Ma quest'amore cade nel vuoto, perché l'insegnamento che scaturisce da quest'amore viene ignorato, perché a loro interessa attribuirselo e niente più. È questo il modo in cui si chiudono all'ascolto.
Nietzsche alla sua opera "Così parlò Zarathustra" ha dato il sottotitolo "Un libro per tutti e per nessuno". Penso che egli abbia voluto esprimere in questo modo la sua percezione di sentirsi circondato da una chiusura alla comprensione della sua opera. Dire che non vi sia una categoria di individui, in particolare, per cui il libro è stato scritto, mi sembra che indichi la sua determinazione a non andare incontro ai lettori. Sta ai lettori operare al fine di trarre vantaggio dall'opera. Nessuno viene escluso, ma anche a nessuno si va incontro, "rendendogliela più facile". E Zarathustra lo dichiara "Io sono l'argine sull'orlo del precipizio. Si aggrappi chi può, ma non sono le vostre stampelle".
Una metafora di Nietzsche che è parecchio abusata, riguarda proprio il passo del caos che anche io ho citato, ma è stata modificata per farne una sorta di slogan. Il modo in cui viene citata è: "Solo dal caos può nascere una stella danzante". In questo modo sembra una frase atta a distinguere le persone che hanno il caos da quelle che non ce l'hanno, conferendo alle prime, una potenzialità che le seconde non hanno. Avere questa potenzialità, significa avere un valore che sta a loro saper fare fruttare. Questo non è quanto intendeva dire Nietzsche in quel passo. La presenza di un caos in sé stessi era una condizione culturale che riguardava tutti. Lui, così io l'ho inteso, parlava dello sviluppo da dare alla cultura del suo tempo.
Questo travisamento che ho appena esposto del pensiero di Nietzsche, a volte avviene in rete, anche in modi che mi danno un po' fastidio. Ad esempio, una persona che conosco, e che va spesso soggetta a delle crisi di nervi, ha pubblicato anche lui il suo bravo post con la frase "Solo dal caos può nascere una stella danzante", e a me è sembrata una sorta di rivendicazione personale. È come se avesse messo la metafora al servizio dell'inclusione sociale, ma in modo parecchio distorto. Come dire che solo chi ha qualche problema può produrre qualcosa di eccellente. Così, secondo questa logica, chi ne ha, dovrebbe acquistare valore agli occhi degli altri, a causa delle sue potenzialità. A me la cosa dà fastidio perché è sempre una forma di autoesaltazione e dunque anche di discriminazione. Io credo che l'accettazione sociale debba riguardare tutti, indipendentemente dal fatto che possano o meno generare stelle danzanti, e che non vi siano gerarchie di valore tra gli esseri umani. Per come la vedo io, è come se questa persona avesse rivendicato di non essere tra i discriminabili, ma tra gli ammirabili.
Il punto non è che io voglio impedire di perseguire l'ammirazione sociale a chi ha qualche problema, ma che penso che cercare l'ammirazione degli altri sia una cosa sbagliata per tutti. Io penso che ciò che causa la discriminazione di alcune categorie, sia proprio il fatto che le relazioni sociali sono basate sulla ricerca dell'ammirazione.
Nel parlare di Nietzsche, ma anche nel parlare della capacità di fruire dell'opera d'arte, è importante riflettere sul fenomeno della ricerca dell'ammirazione degli altri. Potremmo dire la ricerca del proprio prestigio personale.
È proprio il fatto che Nietzsche parli di mete elevate, a risvegliare la vanagloria di molti suoi lettori. E però chi ricerca l'ammirazione degli altri viene ad essere ancorato al giudizio degli altri. Una cosa che dice Zarathustra nel capitolo della prima parte intitolato "Delle mosche e il mercato" è:
Poco comprende il popolo la grandezza, cioè la creazione, ma ha occhi ed orecchi per i commedianti, per quelli che rappresentano le cose grandi.
Il mondo gira intorno agli inventori di nuovi valori: — gira invisibilmente. Ma intorno ai commedianti volgono il popolo e la gloria: tale è la vita.
Il commediante possiede lo spirito, non la coscienza dello spirito. Egli sempre crede in ciò a cui suol persuadere gli altri: — crede cioè in sé stesso !
A me sembra che "Così parlò Zarathustra" sia un'opera che invita a rivolgere i propri sforzi verso l'elevazione del genere umano, procedendo nella direzione opposta della ricerca del proprio prestigio personale o accettazione sociale, o anche esaltazione di sé. Qualcuno potrebbe dire che questo testo è tale che ognuno riesce a leggervi ciò che più desidera. Io però do ai lettori del mio blog il link di Wikisource, così, se vogliono potranno dirmi come si fa a negare che almeno nella "Prefazione di Zarathustra" non si parli di abnegazione a favore dello sviluppo del genere umano.
it.wikisource.org/wiki/Così_parlò_Zarathustra/Parte_prima/Prefazione
Su come la vanagloria si opponga alla comprensione del senso dell'opera d'arte, come di quello della vita, ho espresso la mia opinione in un mio precedente post sul presente blog "Generale dietro alla collina"
iopropars.blogspot.com/2022/07/generale-dietro-alla-collina.html
Inventori di valori nuovi, per me, potrebbero essere stati coloro che in Italia, tra difficoltà ed errori, hanno voluto la chiusura dei manicomi (per fare un esempio). Senza di loro io, quasi certamente, adesso sarei rinchiuso in un manicomio, anziché condividere le mie idee in rete.
Maurizio Proietti iopropars