sabato 18 gennaio 2025

Er presepio - Trilussa


 


Er Presepio - Trilussa


Ve ringrazio de core, brava gente,
pè 'sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v'odiate,
si de st'amore nun capite gnente ...

Pè st'amore so nato e ce so morto,
da secoli lo spargo da la croce,
ma la parola mia pare 'na voce
sperduta ner deserto senza ascolto.

La gente fa er presepe e nun me sente,
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l'amore
è cianfrusaja che nun cià valore.




Qualche parola sulla mia lettura della poesia.

Qualcuno potrebbe pensare, come mi è sembrato, che io leggo questa poesia più con i toni di un tribuno che arringa il popolo che di Gesù. In questo caso io faccio notare che questo è contenuto nella struttura stessa della poesia, che inizia con una retorica da arringa al popolo. Gesù, prima ringrazia "de core" la "brava gente" per i presepi, per poi rimproverarla aspramente, giungendo a dire che del suo amore non capiscono niente. L'ironia è amara e giunge al sarcasmo. Chi pensa che questo non si addice a Gesù, dimentica che Gesù ha anche cacciato i mercanti dal Tempio, dopo essersi intrecciato uno scudiscio, e rovesciando poi i banchi dei cambiamonete. In un altro caso ha anche detto "O generazione incredula e perversa...fino a quando vi dovrò sopportare?" (Matteo cap. 17 versetti 14-18). Io interpreto questa poesia nel senso che rimproverare per i presepi sfarzosi, quando non c'è amore, si avvicina molto al fatto di scacciare i mercanti dal Tempio.
Un'altra cosa che vorrei ricordare, per questa come per altre poesie, è che le poesie hanno una metrica, e che la metrica conferisce espressione e dunque veicola significato. Ritmi diversi esprimono emozioni diverse. Non si può "recitare" una poesia cercando di interpretarla "al meglio" e tuttavia non rispettarne la metrica. Chi lo fa potrà anche essere un bravo attore, ma nel caso della poesia, opera necessariamente un fraintendimento del testo, perché le intenzioni espressive di un autore che scrive in poesia, sono appunto veicolate dalla metrica che usa.

Direi che in questo caso, proprio la metrica permette di "riferire" parole che nella concezione dell' autore potrebbero essere di Gesù, senza dover cercare di rappresentare esattamente la persona di Gesù. Perché, chi può farlo? Sebbene ogni cristiano è chiamato a costruire la propria vita a sua imitazione.

Infine, di me stesso posso dire che sono io stesso poeta e romano de Roma, oltre che cristiano. Per dire qualcosa sul mio rapporto col dialetto romanesco, posso dire che mio padre mi parlava di suo nonno che viveva nella Roma dei Papi, per cui direi che la tradizione romana della mia famiglia precede almeno l'unità d'Italia, e io mio padre l'ho sentito sempre parlare solo romano, sebbene lui dicesse che da giovane sapeva parlare francese.

Maurizio Proietti iopropars

sabato 11 gennaio 2025

Il sentimento della vita

A smiling friend
foto di 
Maurizio Proietti iopropars



Capita di incontrarne


La donna fondamento,

Per me che sono un uomo, 

Della bellezza, dell'amore

Mi parla con la sua esistenza;

Mi dice che la vita 

È governata dall'amore

Almeno quanto a governarla

È la lotta per la sopravvivenza,

Che seleziona gli individui

Nel meccanismo dell'evoluzione.


Chissà che invece dell' amore

Quasi completamente 

Sono stati rimossi i resti

Nella società in cui vivo.

Però di questi amici,

Come quell'albero stracolmo

Di arance, alcune volte capita,

A me che sono solo,

Di incontrarne quando vado

A passeggiare in mezzo ai campi.


Si trova tra gli amici

Reciproco sostegno,

Dunque piacevole per questo

È il trovarsi in compagnia.

Questo proprio è ciò che sento

Quando vado a passeggiare,

Che io rispetto la natura

E lei sostiene la mia vita.

Così che ho avuto l'impressione 

Di vedere un bel sorriso

In quell'albero alla vita.

L'impressione alcune volte

Si affaccia alla mia mente

Che le piante non solo siano vive

Ma possano sentir la vita.


Da sola, questo penso,

La lotta per la sopravvivenza

Non ci consente di spiegare 

L' evoluzione naturale,

Se non consideriamo

Come sia importante per la vita,

La collaborazione.

Importante è anche la simbiosi.

Penso che alla vita

Più adatti siano gli individui

Che sono sostenuti

E che sostengono la vita,

E questo è il senso, credo,

Della riproduzione sessuata.

Ecco allora che ho quest' impressione 

Che le piante che sono vive,

La vita animale, anche

Riescano a sentire,

E che ad essa siano favorevoli.


Se volere conservare sé stesso

Caratterizza l'essere vivente,

Anche l'amore che consiste

Nel volere conservare in vita

Un altro essere vivente,

Caratterizza l'essere vivente.

A conservarsi è appunto la vita,

Non il vivente che invece muore,

Perché a morire è destinato

A causa delle leggi

Dell' universo materiale 

In cui avere origine 

Ha potuto comunque la vita. 

La materia è destinata

Al degrado dalle sue proprie leggi.

Al degrado invece

Si oppone la vita.


Non sarebbe riuscita

A conservare sé stessa la vita

In questo universo

Se anche l'amore non fosse

Una parte della sua essenza.

E spero che voi mi scusiate

Se di questo a me parla la donna,

La sua presenza nell'umana specie.


Io sono convinto che sia di questo

Che la bellezza mi parla, mi dice 

Che nella vita è presente l'amore.

E anche la bellezza

Dell'universo materiale 

Di questo mi parla, mi dice 

Che nelle leggi di questo universo 

Ha potuto generarsi la vita.

In questo così vasto, 

Terribile universo,

Io ci sono e sono vivo.


Ritrovo l' essenza del bello

Nel sentimento della vita.


Maurizio Proietti iopropars



De rerum natura


Il poemetto che vi ho presentato qui sopra, è ispirato al "De rerum natura" di Tito Lucrezio Caro, poeta nell'antica Roma ed epicureo, che dà una descrizione della natura e del suo divenire, nei termini della filosofia del Maestro Epicuro. 

Io muovo una critica all'epicureismo nel mio precedente post del 3 gennaio 2025 in questo stesso blog. 

Ciò che tuttavia può lasciare alcuni perplessi, è che il tipo di poesia che qui vi ho presentato, esula alquanto dai contenuti della poesia contemporanea. Io però non credo che questo possa risultare un problema, quando la mia poesia riporta una mia esperienza sentita. E anzi arrivo ad affermare che proprio l'autenticità del sentimento che l'ha suscitata, la rende intuitivamente profonda, e tale da aprire la strada alla comprensione razionale.

Ciò che può suscitare diffidenza, è che la ricerca dell'oggettività nella quale si è sviluppato il pensiero scientifico moderno, ci ha portati a porre una separazione netta tra gli aspetti emotivi e quelli razionali dei nostri vissuti psichici. 

Ciò che io sostengo, tuttavia, è che mentre la conferma delle ipotesi teoriche che vanno a costruire l'impianto scientifico, va trovata in osservazioni rigorose e distaccate, invece, per loro formulazione, perché abbiano forza esplicativa - o meglio, se vogliamo, descrittiva - dei fenomeni che si vogliono comprendere, si può e si deve essere in contatto con la parte più profonda ed emotiva di noi stessi; quella stessa parte che ci porta a produrre l'opera d'arte.

Nel poemetto che vi ho proposto, le mie conoscenze scientifiche si fondono con il sentimento dell'ambiente naturale intorno a me.

Un sentimento che in me emerge, è che le piante siano dotate di sensibilità, e so di non essere il solo a provarlo, perché ad esempio anche mia nonna, ma non solo, mi raccontava di essere convinta di questa cosa. Mi sembra impossibile che le piante che producono fiori, assomiglino a forze cieche della natura come possono essere una cascata o un rivolo d'acqua. Penso che sia più verosimile che sentano anche come vivi, sia pure senza averne cognizione, ad esempio gli insetti impollinatori. Mi sembra che le piante, pur non avendo pensiero, non per questo non abbiano una sensibilità che consenta loro di distinguere ciò che ha vita da ciò che non ha vita, e che producano nel tempo una reazione diversa, alle diverse forme di vita. Può darsi che io mi sbagli, ma può darsi invece che io abbia ragione.

Oltre a questo però, se la prospettiva che espongo sull'evoluzione delle specie, si serve di argomenti già presenti nel contesto scientifico, la prospettiva psicologica sulla natura del bello e della bellezza mi sembra decisamente innovativa, oltre che importante perché è un argomento su cui ci si è interrogati durante i secoli, nella storia del pensiero filosofico.

Pensiamo a quanto a noi esseri umani piacciono i fiori, ma che i fiori offrono la propria estetica essenzialmente agli insetti impollinatori. E tuttavia a noi uomini, maschi della specie umana, cosa viene in mente, come prima cosa, di offrire ad una donna per mostrare apprezzamento nei suoi confronti, se non i fiori? Ecco quel che dico, che i fiori esprimono la vita.

Maurizio Proietti iopropars









 

martedì 7 gennaio 2025

Al cambiamento

The breakup
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars



Al cambiamento


In una situazione come questa

In cui non c'è più nulla

Che sembra che si possa fare,

Tentare almeno questo,

Sento di dovere, aprire

La strada al cambiamento.


Maurizio Proietti iopropars


La rottura

Di fronte all'alienazione da sé stessi, imperante nella società presente, in cui il linguaggio stesso, sembra aver perso senso, a causa della finzione imperante, in cui tutto ciò che viene detto o fatto, sembra che venga detto e fatto, allo scopo di costruire il proprio personaggio, tale da poter ricevere dagli altri ammirazione, così che qualsiasi scopo, per quanto nobile viene a cadere soffocato, dalla brama di ricevere l'applauso, la verità rimane veramente, l'unico mezzo per restare liberi, e per aprire la strada al cambiamento.

Maurizio Proietti iopropars


Pensavo alla seguente poesia di Bertolt Brecht:


A chi esita

Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.

 

Poesie (Einaudi, 2014), a cura di G. D. Bonino

È appunto questo che anche io penso, se è giusto ciò che in questa poesia io vi leggo, ma che io in ogni caso penso, che ognuno di noi debba trovare in sé stesso, la motivazione ad operare per il cambiamento.

Maurizio Proietti iopropars




 

venerdì 3 gennaio 2025

Pace dalla Giustizia

Let's hope
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars


Pace dalla Giustizia

Penso proprio che avere pace dalla giustizia sia ciò di cui noi tutti esseri umani abbiamo bisogno.

In tempi aridi come questo nostro presente, riaffiorano anche gli epicurei. Io ne ho conosciuti alcuni un po' di tempo fa. 

[ Tra l'altro - lo dico in via forzatamente confidenziale, aprendo una digressione faziosa per i miei lettori - nell'espressione "tempo fa", la sillaba "fa" non è un avverbio, come sostengono parecchi professoroni che danno lezioni sul web, su come secondo loro si dovrebbero scrivere le parole in italiano, e però non capiscono la loro funzione semantica; ovvero non sono capaci di fare una corretta analisi grammaticale, né una corretta analisi logica.

In questo caso, "fa" è la terza persona singolare del verbo "fare", e il suo soggetto è il "tempo". È, nella forma, come quando diciamo "due più due fa quattro"; espressione questa, in cui il soggetto sottinteso è "la somma di". È come dire "fanno due anni da quando ci siamo conosciuti", dove il soggetto sono i due anni, e il verbo "fare" potrebbe essere sostituito con il verbo "essere". Il verbo fare esprime il risultato di una sorta di calcolo, che quando diciamo "un po' di tempo fa" è piuttosto una stima approssimativa. 

Se, ad esempio, "prima" è un avverbio temporale, possiamo dire che "un po' di tempo fa" è una locuzione avverbiale di tipo temporale, e in questa locuzione, "fa" è un predicato, un verbo, non un avverbio. La locuzione in questione potrebbe essere sostituita con la locuzione equivalente "che è poco tempo". "Li ho conosciuti che è poco tempo", "che è passato poco tempo". 

Lancio questa mia filippica perché sono angosciato dal fatto che persone che non capiscono la funzione semantica delle parole, siano accreditate per dettare legge su come si scrivono. 

Per come la vedo io, il discorso sarebbe ancora più lungo di quello che sto facendo, per cui mi limito a dire che secondo me vi sono forme forti e forme deboli dei verbi "fare" e "dare", ma che quando "fa" è inteso come terza persona singolare del presente indicativo del verbo "fare", e anche viene usato in senso metalinguistico, ovvero come oggetto del discorso e non nel suo significato, converrebbe usare la forma forte "fà", ovvero accentata, ad indicare che denota una forma verbale, ovvero un'azione, e non un oggetto. Questo noi nel linguaggio parlato lo esprimiamo dando più forza alla lettera "a".  Pur mantenendo la stessa quantità di accento, pronunciamo la "a" accompagnandola con un colpo di glottide, che produce anche un suono più gutturale di quello che usiamo per indicare nota musicale "Fa".

La stessa cosa accade per la parola "dànno", che io ora ho scritto accentata, in quanto l'ho posta tra virgolette perché la sto usando in senso metalinguistico isolandola dal contesto, e  perché voglio con questa parola indicare la terza persona plurale del presente indicativo del verbo "dare", che ha una sonorità diversa dal sostantivo "danno", inteso come lesione.

Se non fosse così come dico, allora perché scriveremmo con la lettera "h", varie forme del verbo "avere"? Ma le pronunciamo anche, in modo diverso; non nel senso che aspiriamo la vocale preceduta dalla lettera "h", ma che diamo un colpo di glottide nel pronunciarla, che determina l'enfasi che stiamo usando un'espressione verbale. 

Io dico che può certamente passare, e può anche risultare conveniente, che nel caso dei verbi "fare" e "dare" si lasci cadere l'accento dove tradizionalmente andrebbe usato, perché ci si serve del contesto per determinarne il significato; ma  non posso assolutamente accettare che si sostenga che sia un errore grammaticale aggiungerlo.

Questi professori, dagli che insistono che non si devono aggiungere accenti perché il significato è definito dal contesto, ma non tengono conto che nella lingua italiana, al contrario della lingua inglese, in cui il significato di una parola è definito dal contesto, si cerca di usare parole che siano per sé stesse già definite, che siano cioè più precise possibile, indipendentemente dal contesto. 

Questo è il motivo per cui, ad esempio, invece di usare genericamente il verbo "fare", che sarebbe comunque definito dal contesto, noi italiani che parliamo veramente italiano, e non una forma di italiano semplificata, ove possibile, preferiamo usare il verbo preciso, che definisce esattamente l'azione che vogliamo descrivere. 

Ma a che serve parlare? Questo è essenzialmente il punto che collega la lunga parentesi che ho aperto, al discorso che sto portando avanti: a che serve parlare?]

Gli epicurei ricercano appunto la saggezza nella capacità di gestire il piacere, e perdono di vista la circostanza che l'essere umano è un essere in relazione. La condizione umana, lo stato naturale di un essere umano, sussiste nel suo essere in relazione con altri esseri umani. Noi esseri umani dobbiamo dunque ricercare la nostra realizzazione nel modo in cui siamo in relazione con gli altri, e non nel piacere. 

La Giustizia riassume appunto quell'insieme di forme che definiscono il modo corretto di stare in relazione; quel modo per cui la relazione sia ugualmente soddisfacente per tutti.

Se  il fatto che tutti gli esseri umani debbano essere considerati uguali in diritti e dignità sta alla base della giustizia, a me sembra essere evidente, mi sembra che debba essere altrettanto evidente, che la giustizia possa essere cercata e ritrovata, solo nel dialogo e nel confronto.

Così, perché un filosofo si dovrebbe occupare così "cavillosamente" del linguaggio come faccio io? Perché è diversamente abile, o perché è semplicemente un filosofo che pensa che coloro che si occupano del linguaggio, siano figli di una cultura che non porta avanti l'esigenza del confronto, perché al di là dell'ipocrisia del politicamente corretto, esprime un'ideologia sociale al servizio dell'ingiustizia? La domanda, oltre che eccessivamente lunga, è anche tendenziosa.

Per poter andare avanti, i primi con cui dobbiamo confrontarci sono coloro che ci hanno preceduto. In questo modo riassumo il senso della mia digressione. Non permettiamo che vengano strappate le radici ai popoli.

Maurizio Proietti iopropars


 

mercoledì 1 gennaio 2025

Che altro?

Che altro?
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars


Che altro

Come dire che forse talvolta, ciò a cui solennemente si aspira, è un po' poco e alquanto male orientato.

Maurizio Proietti iopropars


 

Er presepio - Trilussa

  Er Presepio - Trilussa V e ringrazio de core, brava gente, pè 'sti presepi che me preparate, ma che li fate a fa? Si poi v'odiate,...