"Alchimia Umana" dipinto digitale di Maurizio Proietti iopropars |
Con quanto scritto di seguito, non intendo spiegare il dipinto, ma piuttosto illustrare le mie emozioni coinvolte nella sua creazione.
Io penso all'alchimia, storicamente, come a un'aspirazione alla chimica di cui intuiva la possibilità. E più ancora che un'aspirazione la vedo come reificazione di una fantasia in cui alla possibilità che veniva intuita, si dava una forma di pratica effettiva. Così che per me è alchimia un mescolare elementi, senza produrre, se non occasionalmente, interazioni reali, ovvero reazioni chimiche.
Con "Alchimia Umana" intendo una condizione esistenziale che può venire prodotta da contesti organizzativi che non producono interazione umana reale, alienando gli individui che vi partecipano, di parte delle loro naturali modalità relazionali, e dunque delle loro emozioni. Si producono questi individui in certa misura assenti da sé stessi, che a volte compensano guardando la televisione e sognando la vita di altri. Alcuni sognano la vita dei personaggi famosi in cui si immedesimano. Forme di compensazione ci sono perché vengono elaborate ed offerte.
A me sembra che la tonalità emotiva che fa da sfondo all'alchimia umana, sia quella del sentimento di colpa, soprattutto per chi è nei gradi inferiori della scala gerarchica dei contesti organizzativi che la producono. Questo sfondo del sentimento di colpa, si affaccia in gran parte della produzione letteraria di Franz Kafka, come ad esempio il racconto "Il colpo contro il portone". La mancanza di interazione reale non permette di chiarire i motivi di conflitto, generando attribuzioni di responsabilità che si trasformano in colpa, soprattuto per chi ha meno potere sugli altri.
Un esempio senz'altro banale, ma a mio avviso esplicativo del mio pensiero, per quanto potrei farne numerosi altri, lo ritrovo in un'interazione che ho avuto oggi pomeriggio, con una giovane donna al supermercato. Io, dopo avere pagato alla cassa, stavo molto rapidamente terminando di mettere le mie provviste dentro le buste, quando ho rallentato un pochino per mettere due buste chiuse di insalata lavata e in atmosfera protettiva, in modo che non si forassero durante il tragitto a piedi fino a casa, come mi era un'altra volta successo. Immediatamente allora, la signora che stava dietro a me, si è fatta avanti, senza esattamente spingermi, ma comunque facendo pressione con la sua spalla sul mio braccio, e facendo capire che era il suo turno di prendere possesso della posizione, e iniziare a mettere a posto la sua mercanzia, e che non poteva tenere più conto della mia presenza in quel posto nemmeno per un altro secondo, come effettivamente nel suo modo di fare non ne teneva più conto, se non quel tanto da non poter essere accusata di esercitare la forza. Si potrebbe definire una reazione maleducata, senza dubbio. Ma è maleducata appunto perché in quel modo di fare vi è un'attribuzione di colpa, l'attribuzione di una resposabilità da parte mia per un live rallentamento, che io non avevo, come lei certamente aveva potuto osservare, e su cui sarebbe potuta passare sopra. Diciamo che in quel modo ha cercato di farmi pesare la situazione. Si è mostrata infastidita, sia pure senza protestare apertamente. Se solamente non avesse voluto attendere, sarebbe semplicemente bastato dire un breve "Mi scusi", e iniziare a prendere le sue cose senza interferire con i miei movimenti. Le sarebbe bastato essere interattiva, ovvero tenere conto della mia presenza. Le sarebbe bastato comportarsi da essere umano, e portare avanti le sue esigenze, tenendo conto di quelle degli altri.
Nel mio dipinto vi è appunto una forma di organizzazione che tuttavia non esprime interazione.
Io oggi pomeriggio al supermercato mi sono guardato bene dal rivolgere un educato appunto a quella signora, del tipo "Signora mi scusi un istante, se mi consente ho quasi finito". Infatti ho idea, per esperienza, che abbastanza verosimilmente in questo modo avrei scatenato le ire del cassiere e delle altre persone in fila, non perché penso che tutti ce l'abbiano con me, ma perché attribuire colpa a qualcuno, a ragione o a torto, costituisce una condizione di vantaggio su quella persona. La mia netta impressione è di vivere in una società in cui moltissima gente, forse la maggior parte delle persone, non ha alcuna remora ad accusare ingiustamente qualcuno. In questa lotta di tutti contro tutti, anche le accuse ingiuste risultano utili, sebbene di solito non vengono formulate apertamente, ma piuttosto ventilate, fatte capire, in modo che più facilmente ci si possa ritrarre, e poi anche per non dare all'altro modo di difendersi ed eventualmente scagionarsi - è ovvio ci mancherebbe.
I contesti organizzativi di cui parlo, possono a volte determinare in coloro che occupano i gradi inferiori della scala gerarchica, la sensazione di non potersi sottrarre dall'essere trovati sempre colpevoli, perché non riescono a soddisfare le condizioni troppo gravose che vengono loro imposte. È quacosa di diverso dal problema "di avere un super-ego troppo potente", come può essere espresso in chiave freudiana, perché dipende dalle modalità organizzative a cui si è sottoposti. Intendo dire che non nego che la condizione descritta da Freud possa verificarsi, e cioè che l'istanza psichica preposta al controllo sul nostro comportamento morale, esageri nella sua funzione. Dico però che a determinare la sensazione di non poter sfuggire la colpa, in certe situazioni, vi possono essere innanzitutto dinamiche sociali, e solo di riflesso intrapsichiche.
Passando sul piano religioso, che occupa uno spazio profondo nel mio vissuto emotivo, dico che in questi casi mai dobbiamo pensare che il vissuto di non potersi sottrarre alla colpa venga da Dio. Perché anzi, quando il popolo di Israele era schiavo in Egitto, in una circostaza di questo genere Dio inviò Mosè a liberarlo. Infatti gli egiziani aggravarono la condizione di schiavitù degli israeliti, imponendo loro che dovessero procurarsi anche la paglia necessaria per fabbricare i mattoni che poi avrebbero utilizzato per le costruzioni, e che prima era loro fornita dagli stessi egiziani. Gli israeliti si trovarono allora in una condizione, non più solo di schiavitù, ma in cui non ce la potevano fare a soddisfare le richieste di coloro che li avevano ridotti in schiavitù.
Diciamo che al giorno d'oggi in Italia, un senso di insopprimibile inadeguatezza nei subalterni, si produce con meccanismi meno aparenti e non così gravosi, e ad esserne vittime sono le persone meno spregiudicate.
A Mosè fu data da Dio la Legge, che avrebbe dovuto garantire al suo popolo la coesistenza pacifica e la collaborazione. In realtà la Legge venne applicata, col passare del tempo, solo nei suoi aspetti esteriori, allo scopo di fare del rispetto della Legge un motivo per sé stessi di vanto.
Successivamente è venuto Gesù che ha sostituito la parola della Legge con il senso della Legge, che è, e anche prima avrebbe dovuto essere, nell'amore.
Gesù è morto per il perdono dei peccati, perdonando coloro che lo avevano crocifisso, e rivelando la disposizione di Dio riguardo alla colpa.
L'ipocrisia ha tuttavia, per come mi appare, di nuovo preso il sopravvento, trasformando anche il Cristianesimo, almeno in una larga parte, in una forma esteriore di culto. Le stesse "buone maniere" vengono sfoggiate come motivo di vanto da chi, essendo in condizione privileggiata, in un cerso senso "se le può permettere". Questo comunque è stato predetto, come sta scritto "Avranno le forme della pietà, ma prive di quanto ne costituisce l'essenza".
Per meglio chiarire le forme che prende l'alchimia umana, mi viene l'esempio di San Francesco D'Assisi in relazione all'organizzazione della Chiesa Cattolica. Per me è evidente che le crociate fossero una pratica anti-cristiana, ma nessuno mai avrebbe a quel tempo avuto il coraggio nemmeno di pensarlo. Se San Francesco lo avesse detto, anziché essere proclamato santo, sarebbe stato bruciato sul rogo. Ora tutta la gerarchia cattolica è retta dalla regola dell'obbedienza, che è qualcosa di diverso dall'amore fraterno con cui si possono risolvere le divergenze. Io sul Vangelo leggo "Non chiamate nessuno padre vostro sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei Cieli". Vai a dirlo a loro! I sacerdoti sono tutti "padri", e l'autorità suprema "Santo Padre". Un sacerdote mi ha risposto "Ci sono pure i protestanti", con un tono di voce che intendeva "Che scuse vai cercando?".
Non c'è interazione perché non c'è dialogo, perché sostanzialmente non c'è amore. Ecco allora che si genera "un'alchimia umana".
Maurizio Proietti iopropars
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