"Nel cemento e accanto a ruderi (la vita continua)" Foto di Maurizio Proietti iopropars
Il Brahman e l' Atman
Prima di esporre la mia interpretazione di questi due concetti di Atman e Brahman, espongo la prospettiva in cui mi muovo, che è già per sé stessa esplicativa al loro riguardo. Questi concetti sono importanti nel sistema filosofico-religioso induista, e in particolare nei Veda, ma sono importanti anche per noi, perché attraverso di essi si considera la relazione tra gli individui e l'universo che li circonda. Sono venuto a contatto con i Veda quando ero ancora molto giovane. Avevo iniziato il 5° anno di Liceo Scientifico e avevo da pochi mesi compiuto 18 anni. In quegli anni ero avvolto nel dubbio pervasivo e alla ricerca di fondamenti. Mi ero ritrovato in quella condizione, da quando piuttosto presto, verso i 14-15 anni, avevo non tanto perduto la mia fede cristiana, ma piuttosto l'avevo lasciata. L'avevo lasciata perché avevo perso la fiducia in coloro che mi avevano impartito l'insegnamento, ed ero alla ricerca della verità quale che fosse, ma che avesse fondamento. Non che io avessi accantonato la mia fede, lasciandola da parte senza di lei più curarmi. Mi ero invece accomiatato dal mio Dio, al quale tutte le sere prima di andare a dormire mi rivolgevo in preghiera, rivolgendomi ancora una volta a Lui nel dubbio sulla sua esistenza; quel dubbio dovuto al fatto, che per onestà non potevo più credere, a coloro che di Lui mi avevano dato testimonianza. Gli avevo esposto la mia situazione dicendogli che se Lui esisteva, sapeva perché abbandonavo una fede che vedevo come priva di fondamento, e che ero sicuro che se Lui esisteva, avrebbe fatto sì che nella mia ricerca io lo ritrovassi, perché se io lo lasciavo, era perché sopra ogni cosa, era la verità che io volevo. Adesso baso la mia fede sulla testimonianza dello Spirito Santo. Sono da molto tempo arrivato al punto di capire, che su sé stesso il pensiero razionale non può essere fondato, e che altro fondamento non può essere trovato al di fuori della fede. Sempre il pensiero razionale ha bisogno di ammissioni non dimostrate per procedere per ricavarne altre, il cui valore di verità sia pari, a ciò che senza dimostrazione è stato ammesso. Il pensiero razionale ha bisogno di presupposti, per giungere alle proprie conclusioni. Quando sono venuto in contatto con i Veda, ero ancora alla ricerca. Ma pur essendo un robusto pensatore, con una mente allenata alle lunghe riflessioni, non ero uno che rimuginava. Ero sempre pronto al dialogo e al confronto. In un pomeriggio di ottobrata romana, a Piazza San Giovanni in Laterano, mi misi a dialogare con un Hare Krishna, che mi voleva convincere a cantare Hare Krishna. Lui mi disse che se anche, io ero nel dubbio, Krishna era anche il dubbio, e che pertanto ciò che dovevo fare, era cantare Hare Krishna. Disse "Krishna è tutto e dunque è anche il dubbio. Quindi la tua soluzione è cantare Hare Krishna". Impossibile spiegargli che per arrivare a questo bisognava prima credere che Krishna fosse tutto. Volli tuttavia approfondire la dottrina degli Hare Krishna, e cominciai a visitare la loro sede dove mi avevano invitato ad andare- o forse meglio sarebbe dire la loro dimora e il loro tempio - in Via di Porta Latina, dove allora si trovava. Era una villa con piscina e un luogo accogliente che ancora ricordo con piacere. E passai alla fine anche un periodo con loro fermandomi a dormire e ad abitare in quel posto, praticando la loro vita. Furono giorni di discussioni infervorate e poste all' interno di una pratica induista che riempiva in diverse forme tutta la giornata, e che aveva il proprio centro nella recitazione individuale del mantra "Hare Krishna", interrotto dall' esplosione del canto collettivo dello stesso mantra, accompagnato dalla musica. Il maestro iniziava a suonare, e tutti noi si iniziava a cantare, e a muoverci ballando al suono della musica e del canto. Loro dicevano che il loro era Bhakti Yoga, lo Yoga del servizio alla divinità. Quella forma che loro proclamavano essere la forma più coerente di Yoga; perché affermano che se qualcuno ad esempio praticava Hata Yoga, e non rispettava i precetti dello Yoga così come era possibile evincerli dalla lettura della Bhagavad Gita, non faceva Yoga ma solo ginnastica. Mi resi conto che era una forma di vita la loro, che solo si poteva scegliere per vocazione, ossia perché da quella forma di vita ci si sentiva attratti. E non che per me non fosse in una certa misura anche attraente, ma quanto fosse o più o meno per me attraente, per me poco contava, perché io ero alla ricerca di certezza, non di ciò in cui potessi incontrare soddisfazione. Questo posso dire che da ateo ho amato la verità con tutte le mie forze e al di sopra di me stesso. Questo pertanto posso dire, che da ateo in questo modo adoravo Dio. Ed era per questo, che c'era per me negli Hare Krishna, qualcosa di attraente, ma cosa fosse io non lo sapevo. Ciò che mi attraeva era effettivamente la dedizione a Dio. Era Lui che stavo cercando perché Dio è Verità, oltre che Amore. Ma la via che verso di Lui io stavo percorrendo, la mia via, era un' altra via. La via che stavo percorrendo, come appresi solo dopo aver raggiunto la meta, guardando il vecchio film con Tyron Power "Sul filo del rasoio", era "la via della conoscenza che conduce alla saggezza". Ma altro non ha potuto fare la mia saggezza, che riportarmi sulla via della fede. Riportare sulla via della fede me, che mai avevo rinunciato alle buone opere. Secondo un saggio che dà in quel film la spiegazione, quella delle buone opere è un' altra delle vie che conducono a Dio, insieme a quella della fede e a quella della conoscenza, benché le tre vie siano in realtà un' unica via. Alle buone opere, o per meglio dire al ben operare, non avevo rinunciato perché ero convinto che il bene esistesse e fosse uno, e fosse nella verità, e andava praticato, sebbene fosse talvolta difficile trovarlo. Ho precisato "il ben operare" perché ero e sono convinto, che non si può praticare il bene nei ritagli di tempo, o ritagliarsi dei momenti in cui praticarlo. Il bene è una condizione, verso cui lo spirito dell' uomo si protende, che lo porta a ben operare, e da cui scaturiscono dunque buone opere. Per la difficoltà nel praticare il bene e la giustizia, così come dal dubbio ero lacerato, ho accettato la mano che mi tendeva Gesù nostro Signore, quando dice "Venga a me chiunque sia assetato e stanco". Se a un Dio che mi conteneva in sé stesso, in quanto era "il tutto", il Dio degli Hare Krishna che è il nostro stesso Dio perché non v'è che un solo Dio, non sono riuscito a credere, sono tornato invece a credere a un Dio che mi tendeva amorevolmente la mano, sebbene che Egli sia tutto, dopo che sono tornato a credere in lui, non posso negarlo. Io credo che solo nel cristianesimo, vi sia piena rivelazione del divino. Chi si sente portato all' amore verso Dio, per questo amore deve riconoscere che ci ama Lui a noi per primo, e ci ama fino al sacrificio sulla croce. Io so che questo è ciò che testimonia lo Spirito Santo. La mia fede consiste nell' accettare questa testimonianza che si manifesta come sentimento, e quindi nell' accettare come verità qualcosa che sento come vero, così come sento il mio proprio corpo che per questo stesso sentire io conosco. Avere fede è dunque, per come io conosco la mia fede, accettare come verità un sentire, che mi parla di qualcosa che non è in altro modo oggetto della mia esperienza. Ma appunto per questo, come ci dice Paolo Apostolo, la fede cristiana era considerata follia nel pensiero greco. Eppure si capisce l' errore del pensiero greco se si pensa che il bene si conosce solo praticando il bene. Non si può arrivare a determinare razionalmente cosa sia il bene, per poi decidere di praticarlo. È la nostra intenzione verso il bene che ci guida a fare il bene e a conoscerlo come bene. La buona intenzione si manifesta come un sentimento che conduce al tempo stesso alla comprensione della buona azione e alla sua messa in opera. Capire e operare sono due momenti che tra loro interagiscono, e sono prodotti da un' unica intenzione. È una situazione in cui la nostra intelligenza è posta al servizio della realizzazione della buona azione, dove il nostro sentimento fa da guida, nel senso che segna la meta. La mia saggezza ha fatto sì, che nella buona intenzione rinascesse la mia fede, in cui ho trovato il bene. Ho posto dunque la prospettiva all' interno della quale mi soffermo sui concetti induisti di Atman e Brahman. Si può affermare che il primo termine si riferisce all' anima individuale. Riguardo al secondo termine si potrebbe affermare che si riferisce all' anima del tutto che contiene e circonda l'anima individuale. A me tuttavia sembra più corretto dire che il Brahman è il tutto che ci circonda, se lo si vede come manifestazione del divino. Se si pone il Brahman come l' anima del tutto, si è portati a pensare che sia qualcosa che sottostà all' accadere fenomenico, e che è offuscato dallo stesso accadere fenomenico, che risulta essere un' illusione che copre la vera realtà, quella del Brahman sottostante, che solo può essere colta quando si rompe il "Velo di Maya", il velo dell' illusione. Io invece interpreto quel pensiero religioso, nel senso che l' illusione consiste nel considerare l' anima individuale come separata dal tutto che la contiene. È questo pensiero erroneo che genera l' illusione riguardo all' accadere fenomenico. È proprio correggendo questo errore attraverso una pratica quotidiana, che ha preso il nome di Yoga, ovvero Unione, che si supera l' illusione e si riesce a vedere che l'insieme dell' accadere fenomenico è il Brahman, la manifestazione del divino, e che a questa manifestazione anche noi apparteniamo. Io sostengo che l' altro modo di esporre la situazione non è del tutto scorretto, ma che è fuorviante. Allo stesso modo, se noi osserviamo un oggetto attraverso una lente deformante, potremmo dire che l'oggetto guardato senza lente sottostà alla sua immagine deformata che noi vediamo, overo che in qualche modo la produce. Ma sono due modi di guardare la stessa cosa. Non conviene dire che l' oggetto guardato senza lente deformante sottostà alla visione con la lente, perché noi della lente e dell' immagine deformata che produce ci vogliamo sbarazzare. A noi l' oggetto deformato non interessa. L' oggetto deformato è ciò che risulta dall' errata prospettiva in cui ci poniamo. Se vogliamo focalizzare meglio la differenza tra i due punti di vista, possiamo dire che è la divinità che è l'anima del tutto, perché il tutto è sua manifestazione. Ma quindi la divinità è anche l' anima dell' anima individuale, perché anche l' anima individuale è sua manifestazione. La stessa anima individuale che considera sé stessa come separata dal tutto, dunque è l'illusione, ed è l' illusione che genera le altre illusioni. E ora io dico che arrivare a capire questo è praticare Yoga, perché Yoga significa Unione. Io come cristiano credo che nessuno ha nulla che non gli sia dato da Dio. Inoltre, Gesù nostro Signore, nella notte di preghiera prima del suo sacrificio sulla croce, pregò che fosse fatta la volontà del Padre e non la propria. Vorrei concludere dicendo che questo mi venne da pensare di me stesso a certo punto del mio percorso, dopo che avevo ripreso la mia fede: "Io sono fermo, perché procedo verso il punto da cui provengo". Questa è la formula della mia meditazione.
Maurizio Proietti iopropars
|