sabato 31 agosto 2024

L' alienazione nella vanagloria


Se il portone non fosse chiuso
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars


Una realtà alienata


Cosa vuol dire una realtà

Sociale alienata?

È la verità che mi sta a cuore,

E non m'importa della vostra gloria.

Non m'importa di questa gloria 

Che voi vi attribuite,

Gli uni agli altri,

Che a vicenda vi tributate

Per i vostri luoghi comuni,

Queste frasi ad effetto 

Che voi condividete

Senza smuovere nulla.

Pubblici riconoscimenti

Voi cercate, che sono necessari 

Laddove sempre di più 

Nella cultura che portate avanti 

Decade la facoltà di giudizio.

Io a cuore ho la verità

E voi mi ignorate perché 

Lontane dal luogo comune 

Sono le mie sentenze,

E l' originalità 

Suscita in voi l' invidia,

Non vi interessa afferrarne 

Il senso, perché voi non siete 

Alla ricerca di senso, 

E per questo condividete

Frasi ad effetto per fare colpo, 

Per costruire per voi stessi 

La vostra immagine sociale, 

E non per migliorare 

Il modo di stare insieme agli altri,

Che è invece ciò di cui vi fate

Fregio, per cui cercate 

Dagli altri ammirazione, 

Cercando però di rendere 

In sostanza migliore solo

La vostra personale condizione,

Mentre nulla cambia intorno a voi.

Non ha senso per me rapportarmi 

A voi che non siete interessati

A costruire un mondo migliore, 

Ma solo ad essere considerati

Più importanti in questo mondo.

È questa vostra 

Una realtà alienata, una realtà

In cui diventa quello che si dice 

Un ornamento, dunque perde senso.

È nel bene che si trova il senso;

Questa condizione diventa

Alienata per via del fatto 

Che il bene non è oggetto 

Di una ricerca autentica.


Maurizio Proietti iopropars 


L'autenticità dell' essere 


Io che ho disperato 

Io che sono stato alla ricerca 

Dell' autenticità dell' essere,

Mi sento di affermare 

Che è eterna 

L' autenticità dell' essere,

Che l' autenticità 

Dell' essere è amore.


Maurizio Proietti iopropars 


Se il portone non fosse chiuso

"Se il portone non fosse chiuso" è il titolo del dipinto digitale con cui accompagno le poesie del presente blog. Questo titolo si riferisce al fatto che non sempre dobbiamo trovare che tutte le porte siano aperte, ossia di non avere ostacoli, per scegliere una meta, che anzi gli stessi ostacoli che ne limitano l'accesso, nascondono alla nostra visuale. Così è per l'autenticità dell'essere, che è la nostra propria autenticità nel determinare il corso della nostra esistenza in vita. Questa stessa autenticità è resa difficile a volte dal tessuto stesso delle nostre relazioni umane, nelle quali soltanto però ci è possibile ritrovarla, se come io sostengo, questa autenticità è amore.

Io questo ho creduto e continuo a credere, che questo paradosso si risolva solo nella fede (e ancora una volta rendo omaggio al profondo filosofo danese Søren Kierkegaard).

Ora la vanagloria, è appunto la motivazione che ha spinto i farisei, a far morire il Cristo Gesù sulla croce.

Io penso che anche la smodata brama di ricchezza e di potere, che muove i più ricchi in questa nostra società neoliberista, possa essere riportata alla ricerca della vanagloria.

Maurizio Proietti iopropars 






lunedì 19 agosto 2024

Verso la meta

Verso la meta 
Dipinto digitale di 
Maurizio Proietti iopropars 



Verso la meta 

"Conosci te stesso" è il fulcro della lezione di Socrate; una meta da tenere sempre presente, da non perdere d'occhio. Possiamo porre problemi di metodo, ma sicuramente per l' essere umano questa è la meta. Come cristiano io posso affermare che la mia meta sia quella di conoscere Dio; certamente. Eppure questo chiaramente intuisco, che i due percorsi non sono distinti. 

D'altra parte se parliamo di metodo, come più volte ho già affermato nei miei post, è la tensione verso l'obbiettivo che ci permette di determinare il metodo; non si può determinare il metodo di un qualsiasi compito che ci prefiggiamo, a prescindere dalla sua esecuzione. È semplicemente necessario confrontarsi con la realtà per sapere come operare su di essa. Su che base si potrebbe costruire il metodo se non ci si confronta con lo scopo che si persegue? Se non ci si confronta con lo scopo, si può solo costruire un sistema metafisico. Io in questo senso posso affermare che in me i due obbiettivi di conoscere me stesso e di conoscere Dio, per quanto ovviamente distinti, si praticano in un unico percorso di vita.

Conoscere sé stessi e conoscere Dio sono due obbiettivi che delineano la nostra vita, e richiedono le medesime scelte e le medesime azioni; richiedono per essere portati avanti, di aderire agli stessi principi. Sono due forme di conoscenza che plasmano il nostro modo di essere, e che non possono essere disgiunte dall' etica. 

D'altra parte, tuttavia, nemmeno l' organizzazione sociale può essere disgiunta dall' etica, proprio perché l' etica comprende quell' insieme di principi su cui si basa la convivenza civile. Dunque in questo senso si può dire che un periodo storico di un popolo può essere più o meno buio o luminoso.

Il mio giudizio sul presente periodo storico, a livello mondiale, ma in particolare riguardo all' Italia, è che questo sia un periodo piuttosto buio. È un periodo storico che si potrebbe definire dell' "Anticiviltà", per cui potrebbe essere anche quello dell' Anticristo. 

È questo un periodo storico in cui l' individualismo sfrenato viene propagandato come spinta propulsiva della produzione, e dunque del benessere; ma poi anche, in ultima analisi, come fondamento della civiltà, perché si dice che dove le pance sono vuote, anche le teste non possono pensare.

In tal modo viene propagandata questa utopia della meritocrazia, che sarebbe un sistema sociale in cui coloro che maggiormente si impegnano, ottengono riconoscimenti e ricompense da parte della società. Si riconoscerebbe il merito di chi si impegna.

A me sembra che in tutto ciò sia presente una contraddizione nei presupposti etici, che si rivela non poco disfunzionale. La contraddizione nell' etica, è che questa valorizzazione del merito non si fonda su valori di solidarietà, ma sulla contemporanea valorizzazione dell' individualismo anche sfrenato. Si sostiene più o meno velatamente, che la solidarietà offusca l' impegno individuale impedendo che venga remunerato. Però in questo modo ad essere esaltato è l' impegno piuttosto di coloro che sono scarsamente interessati al benessere collettivo, e sono invece motivati da desiderio di ricevere riconoscimenti e dal proprio tornaconto.

Questa circostanza porta alla formazione di individui piuttosto vani. Sono individui che quando si tratta di produrre opere che siano realmente a vantaggio della collettività, sono molto protesi alle apparenze e poco alla sostanza; semplicemente perché vengono cresciuti nell' egoismo, nel disinteresse per il benessere della collettività. Viene disprezzato quel sentimento della collettività che fonda la convivenza civile. Si dice che quello che qualcuno fa per sé stesso, in quanto aumenta la ricchezza globale, è ciò che realmente torna a vantaggio della società nel suo complesso. 

A me tutto questo sembra piuttosto una frode, perché chi lavora per sé stesso, riceve la propria ricompensa da ciò che produce per lui il suo lavoro, mentre il merito andrebbe semmai attribuito a chi rinuncia al proprio vantaggio in favore di quello della collettività.

Ora poi, se si sostiene che però la situazione è tale che l' impegno individuale in un qualsiasi lavoro, comunque non produce risultati per chi vi si impegna, io dico che qui il discorso non riguarda il merito ma l' equità nella retribuzione.

In questa confusione terminologica e ancora prima ideologica, hanno preso forma atteggiamenti rivolti a costruire un prestigio sociale che si lega allo svolgimento di una qualsiasi professione. Questi atteggiamenti sono costruiti nella mimesi del modello medico. Il medico viene cioè preso come modello ideale di figura professionale. Il problema è che la grade maggioranza delle persone viene ad essere poco abituata e poco incline a forme di pensiero più profondo. Per questo vi è  incapacità di distinguere le condizioni che permettono a certe figure professionali, come i medici, di portare avanti correttamente tutto ciò che è richiesto dalla loro professione, da ciò che conferisce loro prestigio sociale, e di cui il professionista serio non si dovrebbe curare.

Abbiamo che la maggior parte della gente sembra essere animata principalmente dalla smania di ottenere prestigio sociale, e risulta molto spesso priva di intendimento, ossia non ha cognizione della natura delle cose e di come rapportarsi con esse. Si fanno strada individui infantili pieni di spocchia, che vengono portati avanti da coloro che ne condividono i valori.

Prendiamo come esempio la diagnosi medica. È abbastanza ovvio che questa richiede competenze mediche e sia dunque prerogativa dei medici. Se applichiamo il modello medico alla psicologa, si possono però ottenere conseguenze aberranti. 

Non è poca la gente che conosco, che nella mimesi del modello medico, pensa che la consapevolezza debba essere prerogativa esclusiva dello psicologo o dello psicoterapeuta. In questo modo si tende ad espropriare la persona umana, di quella che è una sua funzione fondamentale. 

Il compito dello psicologo o dello psicoterapeuta dovrebbe essere invece quello di aiutare a ripristinare la funzione della consapevolezza, ove a causa di un complesso di circostanze fosse venuta a cadere, o aiutare a svilupparla dove non fosse sufficientemente sviluppata. Altrimenti sarebbe come affermare, che deve essere il fisioterapista a portare in braccio la gente ovunque questa voglia andare.

Inoltre, visto che ho portato l'esempio della fisioterapia e più in generale del ruolo di aiuto al recupero di certe funzioni negli individui, aiuto che è proprio di certe figure professionali, sottolineo che anche qui c'è da considerare la specificità di queste situazioni rispetto al modello medico. Se in una cura a base di antibiotici, il paziente non deve fare altro che seguire la cura secondo le indicazioni del medico, nel percorso di recupero di una qualsiasi funzione è invece necessario che da parte della persona che richiede aiuto alla figura professionale, vi sia la tensione verso questo recupero. Il professionista diventa allora piuttosto un consulente che un curatore.

In queste forme di consulenza, la misura del successo è data dalla perdita del proprio ruolo da parte del consulente. Ma dove il consulente cerca auto-gratificazione nel proprio ruolo, si produce un modello di intervento professionale che per sé stesso riduce la sua capacità di successo.

Sono questi alcuni dei motivi per cui dico che la società contemporanea è organizzata e continua ad organizzarsi in forme che ostacolano il progresso degli individui verso la conoscenza di sé stessi.

Eppure la meta continua a stagliarsi all' orizzonte di coloro che verso di essa sappiano orientarsi.


Maurizio Proietti iopropars 


 

sabato 17 agosto 2024

Si tinge di colori strani

"Si tinge di colori strani"
Dipinto digitale di 
Maurizio Proietti iopropars



Si tinge di colori strani
(a Dino Campana)


Sentirsi soli, circondati 

Da un contesto sociale ostile, 

Con gente che pretende 

Che sia una società inclusiva,

Questa società inclusiva

Solo quando alla fine accetti

Di sottometterti e chinar la testa:

Di sentirti inadeguato

Per aver scelto la tua strada,

Questa società inclusiva

Che ti costringe a dare conto

Delle tue proprie scelte,

Questa società inclusiva

Che decide che non sei sano

Quando sei fuori dagli schemi dati.

In questa società inclusiva

Si tinge il cielo di colori strani.


Maurizio Proietti iopropars 


Riporto di seguito una poesia di Dino Campana 


"Nel manicomio di Castel Pulci"


Ero buono per la chimica, per la chimica pura.

Ma preferii fare il vagabondo.

Vidi l’amore di mia madre nelle bufere del pianeta.

Vidi occhi senza corpo, occhi sospesi orbitando sul mio letto.

Dicevano che non stavo bene di testa.

Presi treni e barche, percorsi la terra dei giusti

di buon mattino e con la gente più umile:

gitani e mercanti.

Mi svegliavo presto o non dormivo.

Nell’ora in cui la nebbia non era ancora svanita

e i fantasmi a guardia del sonno comunicano inutilmente.

Sentivo gli avvisi e gli allarmi ma non ho saputo decifrarli.


Non erano diretti a me bensì a quelli che dormivano,

però non ho saputo decifrarli.

Parole inintelligibili, grugniti, gridi di dolore, lingue

straniere sentivo ovunque andassi.

Esercitai i mestieri più umili.

Percorsi l’Argentina e tutta l’Europa nell’ora in cui tutti

dormono e appaiono i fantasmi a guardia del sonno.

Ma proteggevano il sonno degli altri e non ho saputo

decifrare i loro urgenti messaggi.

Frammenti, forse sì, e per questo visitai i manicomi

e le prigioni. Frammenti, sillabe brucianti.

Non credevo alla posterità, benché talvolta

credevo alla Chimera.

Ero buono per la chimica, per la chimica pura.


Dino Campana 


Democrazia e società inclusiva 


Io dico che dalla poesia di Dino Campana che ho riportato, emerge che lui avesse un' idea diversa del suo internamento in manicomio, da quella che viene generalmente accreditata, anche in film di successo.

Io sostegno che finché si cercherà di interpretare il disturbo psichico secondo il modello medico, ovvero di spiegarlo come un aspetto disfunzionale della personalità degli individui, la psichiatria sarà sempre a rischio di cadere in meccanismi con funzione di controllo sociale, anziché svolgere il suo compito di alleviare forme di sofferenza.

Io sostegno, che per quanto aspetti disfunzionali nella personalità di ognuno di noi ci possono sempre indubbiamente essere, il disturbo psichico va sempre interpretato nella relazione con il contesto sociale, che anch'esso di aspetti disfunzionali può sempre indubbiamente averne. E se alcuni individui non si adattano a certi schemi sociali precostituiti, andrebbe evitato di applicare nei loro confronti misure restrittive, con lo scopo dichiarato di aiutarli, ma senza curarsi essenzialmente di chi sono e cosa fanno, del perché ciò che va bene per tanti altri per loro non va bene. 

Sarebbe inclusiva una società in cui l' individuo non fosse annichilito dalla maggioranza; in cui potesse trovare il modo di essere ascoltato; in cui il suo malessere potesse essere per tutti stimolo al miglioramento.

In questa nostra società è riconosciuto il diritto di parola, ma è una società incapace di dare ascolto, e a chi ad essa non si adatta, non perché non sia capace di adattarsi, ma perché non accetta di lasciarsi plasmare in un'identità in cui lui non si riconosce, può capitare di sentirsi smarrito, e vanificato nelle sue proprie azioni. Ma allora l' aiuto consisterebbe nel facilitarlo nel recuperare le sue capacità reattive.

Il punto è che già sarebbe democratica, una società che non presupponesse di essere perfetta; sarebbe già democratica una società che ammettesse, che il torto nell' incapacità di alcuni ad adeguarsi ad essa, potesse essere anche il proprio.

Io dico che in una società democratica si aprirebbero nuove prospettive alla cura dei disturbi psichici.


Maurizio Proietti iopropars 












mercoledì 14 agosto 2024

Il Brahman e l' Atman

"Nel cemento e accanto a ruderi
(la vita continua)"
Foto di 
Maurizio Proietti iopropars 



Il Brahman e l' Atman 


Prima di esporre la mia interpretazione di questi due concetti di Atman e Brahman, espongo la prospettiva in cui mi muovo, che è già per sé stessa esplicativa al loro riguardo. Questi concetti sono importanti nel sistema filosofico-religioso induista, e in particolare nei Veda, ma sono importanti anche per noi, perché attraverso di essi si considera la relazione tra gli individui e l'universo che li circonda.

Sono venuto a contatto con i Veda quando ero ancora molto giovane. Avevo iniziato il 5° anno di Liceo Scientifico e avevo da pochi mesi compiuto 18 anni.

In quegli anni ero avvolto nel dubbio pervasivo e alla ricerca di fondamenti. Mi ero ritrovato in quella condizione, da quando piuttosto presto, verso i 14-15 anni, avevo non tanto perduto la mia fede cristiana, ma piuttosto l'avevo lasciata. L'avevo lasciata perché avevo perso la fiducia in coloro che mi avevano impartito l'insegnamento, ed ero alla ricerca della verità quale che fosse, ma che avesse fondamento.

Non che io avessi accantonato la mia fede, lasciandola da parte senza di lei più curarmi. Mi ero invece accomiatato dal mio Dio, al quale tutte le sere prima di andare a dormire mi rivolgevo in preghiera, rivolgendomi ancora una volta a Lui nel dubbio sulla sua esistenza; quel dubbio dovuto al fatto, che per onestà non potevo più credere, a coloro che di Lui mi avevano dato testimonianza. Gli avevo esposto la mia situazione dicendogli che se Lui esisteva, sapeva perché abbandonavo una fede che vedevo come priva di fondamento, e che ero sicuro che se Lui esisteva, avrebbe fatto sì che nella mia ricerca io lo ritrovassi, perché se io lo lasciavo, era perché sopra ogni cosa, era la verità che io volevo.

Adesso baso la mia fede sulla testimonianza dello Spirito Santo. Sono da molto tempo arrivato al punto di capire, che su sé stesso il pensiero razionale non può essere fondato, e che altro fondamento non può essere trovato al di fuori della fede. Sempre il pensiero razionale ha bisogno di ammissioni non dimostrate per procedere per ricavarne altre, il cui valore di verità sia pari, a ciò che senza dimostrazione è stato ammesso. Il pensiero razionale ha bisogno di presupposti, per giungere alle proprie conclusioni.

Quando sono venuto in contatto con i Veda, ero ancora alla ricerca. Ma pur essendo un robusto pensatore, con una mente allenata alle lunghe riflessioni, non ero uno che rimuginava. Ero sempre pronto al dialogo e al confronto. 

In un pomeriggio di ottobrata romana, a Piazza San Giovanni in Laterano, mi misi a dialogare con un Hare Krishna, che mi voleva convincere a cantare Hare Krishna. Lui mi disse che se anche, io ero nel dubbio, Krishna era anche il dubbio, e che pertanto ciò che dovevo fare, era cantare Hare Krishna. Disse "Krishna è tutto e dunque è anche il dubbio. Quindi la tua soluzione è cantare Hare Krishna". Impossibile spiegargli che per arrivare a questo bisognava prima credere che Krishna fosse tutto.

Volli tuttavia approfondire la dottrina degli Hare Krishna, e cominciai a visitare la loro sede dove mi avevano invitato ad andare- o forse meglio sarebbe dire la loro dimora e il loro tempio - in Via di Porta Latina, dove allora si trovava. Era una villa con piscina e un luogo accogliente che ancora ricordo con piacere. E passai alla fine anche un periodo con loro fermandomi a dormire e ad abitare in quel posto, praticando la loro vita.

Furono giorni di discussioni infervorate e poste all' interno di una pratica induista che riempiva in diverse forme tutta la giornata, e che aveva il proprio centro nella recitazione individuale del mantra "Hare Krishna", interrotto dall' esplosione del canto collettivo dello stesso mantra, accompagnato dalla musica. Il maestro iniziava a suonare, e tutti noi si iniziava a cantare, e a muoverci ballando al suono della musica e del canto.

Loro dicevano che il loro era Bhakti Yoga, lo Yoga del servizio alla divinità. Quella forma che loro proclamavano essere la forma più coerente di Yoga; perché affermano che se qualcuno ad esempio praticava Hata Yoga, e non rispettava i precetti dello Yoga così come era possibile evincerli dalla lettura della Bhagavad Gita, non faceva Yoga ma solo ginnastica.

Mi resi conto che era una forma di vita la loro, che solo si poteva scegliere per vocazione, ossia perché da quella forma di vita ci si sentiva attratti. E non che per me non fosse in una certa misura anche attraente, ma quanto fosse o più o meno per me attraente, per me poco contava, perché io ero alla ricerca di certezza, non di ciò in cui potessi incontrare soddisfazione. 

Questo posso dire che da ateo ho amato la verità con tutte le mie forze e al di sopra di me stesso. Questo pertanto posso dire, che da ateo in questo modo adoravo Dio. Ed era per questo, che c'era per me negli Hare Krishna, qualcosa di attraente, ma cosa fosse io non lo sapevo. Ciò che mi attraeva era effettivamente la dedizione a Dio. Era Lui che stavo cercando perché Dio è Verità, oltre che Amore. Ma la via che verso di Lui io stavo percorrendo, la mia via, era un' altra via.

La via che stavo percorrendo, come appresi solo dopo aver raggiunto la meta, guardando il vecchio film con Tyron Power "Sul filo del rasoio", era "la via della conoscenza che conduce alla saggezza". Ma altro non ha potuto fare la mia saggezza, che riportarmi sulla via della fede. Riportare sulla via della fede me, che mai avevo rinunciato alle buone opere. 

Secondo un saggio che dà in quel film la spiegazione, quella delle buone opere è un' altra delle vie che conducono a Dio, insieme a quella della fede e a quella della conoscenza, benché le tre vie siano in realtà un' unica via. 

Alle buone opere, o per meglio dire al ben operare, non avevo rinunciato perché ero convinto che il bene esistesse e fosse uno, e fosse nella verità, e andava praticato, sebbene fosse talvolta difficile trovarlo.

Ho precisato "il ben operare" perché ero e sono convinto, che non si può praticare il bene nei ritagli di tempo, o ritagliarsi dei momenti in cui praticarlo. Il bene è una condizione, verso cui lo spirito dell' uomo si protende, che lo porta a ben operare, e da cui scaturiscono dunque buone opere.

Per la difficoltà nel praticare il bene e la giustizia, così come dal dubbio ero lacerato, ho accettato la mano che mi tendeva Gesù nostro Signore, quando dice "Venga a me chiunque sia assetato e stanco". Se a un Dio che mi conteneva in sé stesso, in quanto era "il tutto", il Dio degli Hare Krishna che è il nostro stesso Dio perché non v'è che un solo Dio, non sono riuscito a credere, sono tornato invece a credere a un Dio che mi tendeva amorevolmente la mano, sebbene che Egli sia tutto, dopo che sono tornato a credere in lui, non posso negarlo. 

Io credo che solo nel cristianesimo, vi sia piena rivelazione del divino. 

Chi si sente portato all' amore verso Dio, per questo amore deve riconoscere che ci ama Lui a noi per primo, e ci ama fino al sacrificio sulla croce. Io so che questo è ciò che testimonia lo Spirito Santo. La mia fede consiste nell' accettare questa testimonianza che si manifesta come sentimento, e quindi nell' accettare come verità qualcosa che sento come vero, così come sento il mio proprio corpo che per questo stesso sentire io conosco.

Avere fede è dunque, per come io conosco la mia fede, accettare come verità un sentire, che mi parla di qualcosa che non è in altro modo oggetto della mia esperienza. Ma appunto per questo, come ci dice Paolo Apostolo, la fede cristiana era considerata follia nel pensiero greco.

Eppure si capisce l' errore del pensiero greco se si pensa che il bene si conosce solo praticando il bene. Non si può arrivare a determinare razionalmente cosa sia il bene, per poi decidere di praticarlo. È la nostra intenzione verso il bene che ci guida a fare il bene e a conoscerlo come bene.

La buona intenzione si manifesta come un sentimento che conduce al tempo stesso alla comprensione della buona azione e alla sua messa in opera. Capire e operare sono due momenti che tra loro interagiscono, e sono prodotti da un' unica intenzione. È una situazione in cui la nostra intelligenza è posta al servizio della realizzazione della buona azione, dove il nostro sentimento fa da guida, nel senso che segna la meta.

La mia saggezza ha fatto sì, che nella buona intenzione rinascesse la mia fede, in cui ho trovato il bene.

Ho posto dunque la prospettiva all' interno della quale mi soffermo sui concetti induisti di Atman e Brahman.

Si può affermare che il primo termine si riferisce all' anima individuale. Riguardo al secondo termine si potrebbe affermare che si riferisce all' anima del tutto che contiene e circonda l'anima individuale. A me tuttavia sembra più corretto dire che il Brahman è il tutto che ci circonda, se lo si vede come manifestazione del divino.

Se si pone il Brahman come l' anima del tutto,  si è portati a pensare che sia qualcosa che sottostà all' accadere fenomenico, e che è offuscato dallo stesso accadere fenomenico, che risulta essere un' illusione che copre la vera realtà, quella del Brahman sottostante, che solo può essere colta quando si rompe il "Velo di Maya", il velo dell' illusione. 

Io invece interpreto quel pensiero religioso, nel senso che l' illusione consiste nel considerare l' anima individuale come separata dal tutto che la contiene. È questo pensiero erroneo che genera l' illusione riguardo all' accadere fenomenico. È proprio correggendo questo errore attraverso una pratica quotidiana, che ha preso il nome di Yoga, ovvero Unione, che si supera l' illusione e si riesce a vedere che l'insieme dell' accadere fenomenico è il Brahman, la manifestazione del divino, e che a questa manifestazione anche noi apparteniamo.

Io sostengo che l' altro modo di esporre la situazione non è del tutto scorretto, ma che è fuorviante. Allo stesso modo, se noi osserviamo un oggetto attraverso una lente deformante, potremmo dire che l'oggetto guardato senza lente sottostà alla sua immagine deformata che noi vediamo, overo che in qualche modo la produce. Ma sono due modi di guardare la stessa cosa. Non conviene dire che l' oggetto guardato senza lente deformante sottostà alla visione con la lente, perché noi della lente e dell' immagine deformata che produce ci vogliamo sbarazzare. A noi l' oggetto deformato non interessa. L' oggetto deformato è ciò che risulta dall' errata prospettiva in cui ci poniamo.

Se vogliamo focalizzare meglio la differenza tra i due punti di vista, possiamo dire che è la divinità che è l'anima del tutto, perché il tutto è sua manifestazione. Ma quindi la divinità è anche l' anima dell' anima individuale, perché anche l' anima individuale è sua manifestazione. La stessa anima individuale che considera sé stessa come separata dal tutto, dunque è l'illusione, ed è l' illusione che genera le altre illusioni. E ora io dico che arrivare a capire questo è praticare Yoga, perché Yoga significa Unione.

Io come cristiano credo che nessuno ha nulla che non gli sia dato da Dio. Inoltre, Gesù nostro Signore, nella notte di preghiera prima del suo sacrificio sulla croce, pregò che fosse fatta la volontà del Padre e non la propria.

Vorrei concludere dicendo che questo mi venne da pensare di me stesso a certo punto del mio percorso, dopo che avevo ripreso la mia fede: "Io sono fermo, perché procedo verso il punto da cui provengo". Questa è la formula della mia meditazione.


Maurizio Proietti iopropars 




 

martedì 13 agosto 2024

Che ne infonda al patire virtù

Vi può nascere la vita 
dipinto digitale di 
Maurizio Proietti iopropars 


Sofferenza e Saggezza 


È questa la domanda: perché 

Cose, a volte, che non sono

Secondo la nostra volontà 

Ugualmente ci accadono poiché 

Sono secondo la volontà di Dio?

Di Dio che è Amore...

Saggezza è capire questo 

E solo può venire a noi

Come dono dal Padre nostro Dio

Dal quale solo amore riceviamo

Così come crediamo noi per fede.

Saggezza è saper scegliere 

Cosa per noi sia bene

E rigettare il male.

È saggio

Chiedere dunque a Dio

In dono la saggezza:

Capire

L' amore di Dio Padre 

Nel quale si è creduto.

Noi siamo suoi bambini.


Maurizio Proietti iopropars 



Che ne infonda al patire virtù 

 

Riporto di seguito il testo di "Va Pensiero" dall' opera "Nabucco" di Giuseppe Verdi, su libretto di Temistocle Solera. Io dico che è meravigliosa la musica ma anche il testo è sublime. 

Mi sembra che molta gente non faccia caso ai versi che vanno da "Arpa d'or dei fatidici vati" fino alla fine del brano. Questo dicono appunto alla fine: "O, t'ispiri il Signore un concento/ Che ne infonda al patire virtù". È meraviglioso. Si tratta di trovare nella fede, un senso alle avversità e alla sofferenza.


Va, pensiero, sull’ali dorate;

Va, ti posa sui clivi, sui colli,

Ove olezzano tepide e molli

L’aure dolci del suolo natal!

Del Giordano le rive saluta,

Di Sionne le torri atterrate…

Oh, mia patria si bella e perduta!

O membranza sì cara e fatal!

Arpa d’or dei fatidici vati,

Perché muta dal salice pendi?

Le memorie nel petto raccendi,

Ci favella del tempo che fu!

O simile dei Solima ai fati

Traggi un suono di crudo lamento,

O, t’ispiri il Signore un concento

Che ne infonda al patire virtù.


Temistocle Solera 

(Commento di Maurizio Proietti iopropars) 


Contro Epicuro


Il senso della vita umana non può risiedere nel piacere ma nel bene. Il bene non sempre ci dà piacere, e ciò che ci permette di distinguere il bene dal male, non sono le nostre sensazioni, ma la nostra intelligenza. 

Se questo è vero, il senso della vita umana trascende l'esistenza individuale per allargarsi oltre noi stessi. Questa è la sostanziale unità tra l' anima individuale e il tutto che la circonda, tra Atman e Brahman di cui parlano i Veda e in particolar modo le Upanishad. Yoga vuol dire appunto "Unione", ed è dunque una pratica che va oltre l' obbiettivo di avere le articolazioni più sciolte e l' essere più tranquilli. 

Dico questo perché spesso incontro modi piuttosto epicurei di intendere lo Yoga, in una società dove la dottrina dell'individualismo, arriva ad essere in qualche modo imposta come "normalità" dell' essere umano, che viene dalla società alienato da sé stesso, ovvero allontanato dalla possibilità di trovare il proprio senso. 

È una società la nostra, che è dominata da un'ideologia sociale che tutto fagocita e asserve alla produzione e al consumo. Viviamo in una società in cui il cristianesimo è difficile, in quanto più che perseguitare i cristiani, cerca di confonderli.

Dio che è Amore, non è il dio privato di nessuno, e la sofferenza che intorno a noi vediamo, non ci deve condurre a negare la nostra fede, ma a provare compassione.

Maurizio Proietti iopropars 









 

domenica 11 agosto 2024

Un'aurora e Ischia da Minturno

Un'aurora e Ischia da Minturno
Foto di
Maurizio Proietti iopropars 


Un'aurora e Ischia da Minturno 

Come mi avvolge di serenità l' aurora stamattina, dalla finestra della mia casa di Minturno, con Ischia che occhieggia in lontananza, e sembra dire che anche a lei farebbe piacere  forse, venire qui per prendersi un caffè. Ma guardala che occhieggia in lontananza e non si muove. Lì resta a dare mostra di sé stessa e non si muove, e forse altro non vuole che appunto dare mostra di sé stessa, magari suscitando il desiderio di essere noi che l' ammiriamo, ad andare da lei a raggiungerla. Io tuttavia mi appago ad ammirarla da lontano avvolto, come sono di serenità a Minturno, da questa aurora rosea e azzurra e verde. Anch'io solo con gli occhi la saluto in pace, come saluto il nuovo giorno. Pace a voi che avete letto, questo mio breve scritto.


(Prosa lirica di Maurizio Proietti iopropars)


 

domenica 21 luglio 2024

Ho scavato (poesia)


 Ho scavato
dipinto digitale di
Maurizio Proietti iopropars



Ho scavato

Ho scavato trincee,
E cunicoli anche ho scavato,
Profonde
Fosse, gallerie sotterranee,
Per difendermi
Dai pavoneggiamenti poetici.
Ero
Alla ricerca di gemme preziose.
È questo che cerco nella poesia.

Maurizio Proietti iopropars


Una poesia

A me non piace solo scrivere ma anche leggere poesia. E però nel leggere certa poesia, provavo da bambino, e poi da ragazzo, e ho continuato a provare, a volte un indefinito malessere, che mi allonanava e continua ad allontanarmi dalla poesia. Era ed è un autocompiacimento nel poetare, che è poi anche ricerca dell'altrui ammirazione. Era una poesia che sentivo che mi portava ad allonanarmi da me stesso; una sorta di veleno dell'anima; qualcosa che non giova a chi come me è alla ricerca di senso: poter dire di non aver vissuto invano. Il senso della vita non può essere nell'aver vissuto momenti piacevoli. Il senso non può che essere nell'espandersi oltre sé stessi. Altro senso non vi può essere dunque che nell'amore. Così che esprimersi, perché si è alla ricerca più autentica di sé stessi, è in questo che ritrovo il poetare. Ma arrivare a sé stessi, non per fermarsi a sé stessi, ma per andare oltre sé stessi. Una poesia che aiuti ad amare.

Maurizio Proietti iopropars

Favorevole a legalizzare l'ora

Vignetta di Maurizio Proietti iopropars Favorevole a legalizzare l'ora Pensavo ai miei amici di quando ero giovane, quando mi è venuta i...